editoriale

aiuto!

“Sottoscrivete per noi; fate conoscere il giornale, fate fare abbonamenti; dobbiamo farcela, spalla a spalla, come sempre, per ritornare in edicola il più presto possibile”.

settembre 1979

care compagne, è stato molto difficile per noi scrivere questo editoriale, perché potrebbe essere l’ultimo. Effe sospende le pubblicazioni: non abbiamo più soldi.

Già da due numeri, come avete visto, avevamo abolito le pagine colorate; questo è ancora più povero; 16 pagine in meno, per ridurre i costi. Col nuovo progetto di Effe avevamo fatto un tentativo; inventare un giornale che raggiungesse un gran numero di donne, di donne diverse da quelle che solitamente ci leggevano, donne che non fossero strettamente “del movimento”, che non usassero il linguaggio dei collettivi e dei documenti, quello cioè che per tanto tempo abbiamo usato anche noi. Per questo e non per megalomania o malintesa smania “emancipatoria” avevamo cambiato la struttura della rivista, per renderla più agibile, più scorrevole, più aperta alla realtà intorno a noi. Avevamo aumentato la tiratura, le pagine. Un progetto \ ambizioso: mantenere la correttezza! dei nostri contenuti femministi (troppo spesso falsati e travisati) rendendoli più piacevoli da recepire e più gradevoli da leggere. Le vostre lettere ci hanno confermato che in buona parte ci siamo riuscite. Ma non è bastato. Il nuovo progetto era, ovviamente, anche molto più costoso. Come ci è venuto in mente di farlo? come ce lo siamo potute permettere? Avevamo un attivo, frutto degli anni di lavoro, non pagato o pagato pochissimo, di alcune di noi, che abbiamo investito nel progetto. Amiamo chiamarlo “progetto” perché fra le nostre ambizioni c’era anche quella di creare dei veri e propri posti di lavoro per le donne, una cooperativa di donne che reagisce alla disoccupazione creando lavoro. Così avevamo avviato anche altre iniziative, come la biblioteca e la rassegna cinematografica, All’inizio solo alcune, quelle che ci lavoravano a tempo pieno, erano pagate, ma col tempo, se il giornale fosse andato bene, speravamo di aumentare I’ “organico”, come dicono i maschi. Ci sembrava molto bello e molto importante, ci crediamo ancora. Non ci siamo riuscite. Ogni numero che abbiamo fatto da marzo accumulava un passivo di 2 milioni e l’attivo iniziale è servito a coprirlo. Da luglio le compagne a tempo pieno non hanno più stipendio. Le collaboratrici, le fotografe, le compagne del collettivo non sono state pagate da marzo. E chissà se riusciremo mai a pagarle. Perché tutto questo? Nonostante l’effettivo aumento delle vendite, non abbiamo raggiunto quelle cifre che ci servivano per sopravvivere: le 35.000 copie vendute rimangono un sogno o forse una sfida. I costi della carta e della tipografia sono aumentati sensibilmente nel giro di sei mesi (un esempio per la carta: da 610 lire a 680 al chilogrammo; noi ne usiamo 70 quintali). Insomma Effe non ha più soldi. Col ricavato di questo numero di settembre riusciremo a malapena a sospendere l’attività senza debiti, che significherebbero noie legali per la cooperativa, cioè per noi che ci abbiamo investito amore e lavoro. Nel mese di maggio avevamo aperto una sottoscrizione, ma la risposta non c’è stata: in quattro mesi saranno arrivate sì e no 100.000 lire. Perché? Forse non abbiamo spiegato bene la questione? Forse non ci si crede più alle sottoscrizioni ai giornali? sono troppe? ma è un fatto reale che la stampa indipendente è strangolata, e i giornali delle donne ancora di più. L’autogestione non ha più spazi per sopravvivere? l’informazione separata, autonoma delle donne, non ha più ragion d’essere? non sappiamo bene neanche noi.

E’ certo che far vivere un giornale in autogestione e con poche forze a disposizione è molto difficile. E’ difficile farsi conoscere, difficile controllare una buona distribuzione, avere peso contrattuale con le varie ditte di cui ci dobbiamo servire per gli abbonamenti (come molte di voi ben sanno), per le edicole, per le librerie; persino la diffusione militante, capillare, che prima era la nostra forza è difficile, se non quasi impossibile, da realizzare oggi. La disgregazione del movimento, la chiusura dei collettivi, l’isolamento delle donne hanno colpito di riflesso anche la nostra diffusione. E come poteva essere altrimenti? Care compagne, è vera la crisi economica, è vera la disoccupazione, è vero che le donne non hanno soldi, ma se Effe è in crisi è anche vero che c’è qualcosa di più profondo da analizzare e che riguarda il movimento delle donne. Crediamo di poterlo dire perché in questi sei anni di attività abbiamo sempre funzionato come cartina di tornasole. Trascorrere una giornata in redazione ha sempre significato avere preciso il polso della situazione delle donne. Ed abbiamo sempre cercato di tenere il passo con I cambiamenti. Se esaminiamo la storia di Effe in questi anni possiamo avanzare una ipotesi di analisi. All’inizio e per molto tempo il giornale è stato Innanzitutto uno spazio aperto di comunicazione fra donne, da donna a donna, diretto. Era il momento in cui venivamo letteralmente sommerse di documenti, lettere, articoli, scritti estemporanei, riflessioni di gruppi o di donne singole, incredibilmente omogenei fra loro. A poco a poco questa ondata si è come disfatta. Le lettere erano più di richiesta che non di apporto: dovevamo essere noi a dare le informazioni, i documenti non arrivavano più, i gruppi si erano sciolti. Ricordate l’indirizzario del ’77: 8 pagine fitte di indirizzi di collettivi. Se dovessimo rifarlo adesso (e ci abbiamo provato) lo spazio richiesto sarebbe molto meno. Il movimento è cambiato, dicevamo allora. Lo pensiamo tuttora, ma come è cambiato, verso quale direzione, chi sono le donne che hanno preso coscienza oggi, quali sono i loro bisogni, come si incontrano, che fanno, questo, oggi, ci sembra di non saperlo. Si può constatare la grande crescita di iniziative radicalmente diverse dal passato: un bar, una trattoria, una bottega artigiana, un corso di danza, una biblioteca, un film, un bollettino di quartiere. Non più piccoli gruppi, certo non più grandi collettivi, né grandi mobilitazioni dirompenti. Un lavoro più sotterraneo, forse più concreto.

Tutto questo, oggi, chi come noi lavora nell’informazione delle donne se lo deve chiedere, Chi legge i giornali delle donne? Quanto ha influito l’ apertura al femminismo dei mass media, dei femminili, del cinema? Come si fa a fare un’informazione radicalmente diversa da quella maschile? A chi serve? Deve mobilitare? deve dare “cultura”? Deve riscoprire? Deve inventare formule nuove, un nuovo linguaggio? Forse tutte queste cose insieme. Ma quanto è difficile. Perché poi, tutto questo immenso progetto alternativo è necessariamente portato avanti da un gruppo di donne sulle quali pesa, come su tutte noi, un condizionamento fortissimo, pesano la disabitudine alla stima reciproca, al prendere sul serio un lavoro fatto solo fra donne; pesa la sfiducia nelle proprie capacità di contrattare coi maschi, pesa la paura di essere troppo “maschili” se si riesce ad organizzare perfettamente una struttura. Pesa anche l’ideologismo che noi stesse ci siamo create in tanti anni di femminismo secondo il quale l’efficienza è un mito maschile da distruggere. E’ difficile districarsi fra le mille contraddizioni di essere una struttura — come quella di Effe — che deve vincere le regole della sopravvivenza capitalista ma deve dare un prodotto anticapitalista non solo nei contenuti, ma anche nelle relazioni personali fra chi ci lavora. Forse non ci siamo riuscite. Forse non eravamo brave noi.’ Non lo sappiamo.

Ma è certo che quelli che affrontiamo noi, sono i problemi di tutte le donne che tentano una strada analoga alla nostra, nell’informazione o in qualunque altro campo che imponga un confronto diretto con l’esterno e — soprattutto — col denaro e la produttività. Care compagne, la crisi di Effe significa per noi aprire un confronto, capire, trarre tutti i frutti possibili da questa esperienza bella, faticosa e importante, che ha coinvolto così tante donne.

Per questo proprio in questo ultimo numero della nuova serie inseriamo un questionario, affinché le vostre risposte ci aiutino a capire se c’è ancora bisogno di Effe,

Se pensate che Effe non debba morire, che è necessario conservare questo spazio di informazione libera mandateci soldi. Duemila abbonamenti entro ottobre, 22 milioni, significherebbero per noi la forza economica per pagare i debiti e ricominciare, 22 milioni da investire in un giornale che continuerà ad essere vostro e nostro insieme, per crescere insieme, se ancora vogliamo crescere. Significherà dimostrare a noi tutte che anche delle donne possono farcela a battere la crisi economica ed anche la crisi che il movimento sta attraversando. Dipenderà tutto da voi. Da parte nostra, come avevamo annunciato già sul numero scorso, stiamo cercando pubblicità. Ma la cosa non è così facile come sembra: non possiamo affidarci semplicemente ad una agenzia che ci costringerebbe ad accettare qualsiasi pubblicità per assicurarci un minimo garantito (soldi fissi ogni mese). Stiamo cercando pubblicità “pulita”, e questo richiede tempo, non è detto che ce la concedano, e anche se riusciamo ad averla non risolverà del tutto i nostri problemi. Ma fin da subito vogliamo ringraziarvi delle testimonianze di affetto e di stima che in tutti questi anni ci avete dato, anche con le vostre critiche, con le mille lettere e foglietti e telefonate che ci avete fatto. Così come ringraziamo le compagne degli altri giornali (Noi donne, DWF, Quotidiano donna) e il coordinamento giornaliste di Roma e della Lombardia per la solidarietà che ci hanno dimostrato.

Care compagne, non lasciate che Effe muoia così: sottoscrivete per noi, fate conoscere il giornale, fate fare abbonamenti; dobbiamo farcela, spalla a spalla, come sempre, per ritornare in edicola il più presto possibile.