scuola : che ci facciamo al magistero?

febbraio 1976

l’esimio Jean Jacques Rousseau, gran tempra di filosofo e pensatore, geniale antesignano dei principi della Rivoluzione Francese, così si esprime circa un argomento che spesso aveva sotto gli occhi: le donne.

1) «Devono essere allenate fin da principio a portare il giogo e a sottomettersi alla volontà altrui».

2) «I pensieri della donna, al di là dell’orizzonte dei doveri femminili immediati, dovranno essere orientati allo studio degli uomini o all’acquisizione di un sapere gradevole… poiché infatti le opere di genio sono fuori della sua portata».

3) «La ricerca delle verità astratte e speculative, dei princìpi e degli assiomi

scientifici va al di là delle capacità di intendere della donna, i cui studi devono perciò avere veste assolutamente pratica».

Molte si chiederanno perché mai ci permettiamo di citare con tale familiarità e così su due piedi tale insigne rappresentante della filosofia. Il fatto è che molte delle lunghe e tediose giornate che noi studentesse di Magistero passiamo su ponderosi temi, le dobbiamo proprio alla testa fine succitata. Infatti il Nostro è dai più egregi luminari considerato uno dei fondatori della moderna Pedagogia e anche (notizia curiosa) si può considerare abbia gettato la prima pietra e la prima cazzuolata della nostra gloriosa facoltà di Magistero.

In un certo punto della sua opera Rousseau dice: «La schiavitù non è naturale ma è costretta». Se ne deduce che quella donna che «deva essere allenata al giogo» evidentemente prima era libera: la sua è quindi una schiavitù costretta. Il punto più alto dell’allenamento consiste nella facoltà di Magistero. Ci devono dunque addestrare, altrimenti saremmo libere: ci pensa bene prima la famiglia e la scuola elementare con l’elegia del focolare e la mistica del lavoro domestico. Ecco a questo proposito un piccolo esempio tratto da testi scolastici di uso corrente nelle nostre scuole: da «I miei perchè» di Angelo Bruni e Luisa Boninsegna – Seci – MI – 4° eletti… «…anche Luisa, una bella bimbetta di 4″ elementare, quando è necessario, sa rendersi utile in casa. Quando la mamma sta poco bene, ella spazza, prepara la cena, lava i piatti». Gli autori continuano: «Le parole è, sa rendersi, sta, spazza, prepara, lava, indicano ciascuna una azione o un modo di essere: sono perciò verbi».

Da «L’eco del mondo» di Mario Buzzetti e Moisé Giuseppe Orlandi – Ed. Le Stelle – MI – IV elem. «… sei una bambina e per giunta sciocca. Ecco perché queste cose non le capisci». «… e anche le bambine possono fare lo sport?». «Anche le bambine. Naturalmente debbono scegliere gli sport adatti alle donne».

Da «I miei perché» – «Ve un angelo nella famiglia che rende, con una misteriosa influenza di grazia, di dolcezza e di amore, il compimento dei doveri meno arido, i dolori meno amari. Le sole gioie pure e non miste di tristezza, che sia dato all’uomo di godere sulla terra, sono mercé quell’angelo, le gioie, della famiglia» (Giuseppe Mazzini). Molte di noi riescono a superare lo scoglio delle medie, malgrado le scarse attitudini mentali, la deficienza teorica, l’ottusità insomma che ci è stata attribuita. Ma, arrivate alla fine delle medie inferiori, il bagaglio culturale e ideologico ci ha già plasmato. Le applicazioni tecniche femminili, contribuiscono a convincerci che la cucina, i ricami, i bambini ecc. sono «cose da donne» ben distinte (anche per quanto riguarda le aule) dalle applicazioni tecniche maschili di diretto aggancio con il mondo del lavoro. L’educazione fisica femminile, da parte sua, ci ha castrato le nostre migliori possibilità fisiche: non ci ha fatto usare del nostro corpo nella forma più naturale, non ci ha fatto sperimentare la nostra forza, ci ha imposto schemi di movimento, entro canoni di grazia e leggiadria che corrispondono all’ideale maschile della donna concepita come oggetto da proteggere, cosa carina da possedere, da esibire come simbolo di successo. Dunque già dall’età di 13-14 anni ci hanno ben fatto capire che l’ambiente in cui ci muoveremo sarà la casa, che il nostro ruolo sarà essenzialmente di oggetti aggraziati da guardare, e che un nostro eventuale ruolo sociale sarà in funzione del ruolo primario di madri e mogli.

Dopo questo lavaggio del cervello (che altri chiamano tendenze naturali della donna) viene come logica conseguenza la così detta «scelta» delle donne per le materie umanistiche, per le «belle lettere» e il rifiuto «istintivo» di tutto quello che può essere tecnico scientifico. Poche si salvano, poche riescono a mantenere integro il loro interesse per la scienza: la società le disapprova, gli uomini le temono e le giudicano poco femminili, devono arrivare ad un compromesso per non essere rifiutate del tutto.

Scelgono il compromesso fra la scienza e il ruolo imposto, un indirizzo scientifico di secondo ordine (biologia, farmacia, matematica) con uno sbocco professionale (professoresse) compatibile con il ruolo di donne e di madri. Ciò esprime praticamente la consapevolezza che non c’è spazio per la donna scienziato se non a prezzo della rinuncia del proprio sesso.

Questa organizzazione degli studi non è sorta a caso, è un preciso calcolo dell’organizzazione del lavoro nella società: alla donna un ruolo passivo e di trasmissione meccanica di valori imposti, all’uomo un ruolo attivo e possibilità di potere.

Nell’ambito domestico alla donna la casa e l’educazione dei figli, all’uomo il mantenimento della famiglia. Nella società l’identico meccanismo: alla donna la scuola, all’uomo la produzione.

Trascuriamo qui volutamente la donna lavoratrice non insegnante benché anche in quest’ambito si potrebbero dimostrare gli stessi meccanismi di esclusione che affidano sempre alla donna ruoli di secondo piano. Magistero è appunto la facoltà che insieme a Lettere prepara la donna alla scuola. Tali facoltà offrono infatti come unico sbocco l’insegnamento o, in questo periodo, la disoccupazione (a prescindere dall’«occupazione» fissa di casalinga). Le materie che si studiano sono di due gruppi:

1) Italiano, Latino, Storia, Geografia, Storia della filosofia; lungi dall’essere l’apprendimento delle linee direttrici del passato e a servire da metodo per la conoscenza della nostra realtà e di quel la degli altri paesi, sono un blocco di nozioni, divise per compartimenti stagni, acritiche e assurde che servono so lo a tener occupata la gente e a impedire di rendersi conto dei loro reali problemi e di guardarsi attorno nel l’ambiente in cui vivono.

Tale infatti deve essere la cultura che la donna deve passare alle nuove generazioni. Il metodo di valutazione e di insegnamento le viene dato sia durante le lezioni (ammesso che le possa frequentare) sia soprattuto durante gli esami dove viene chiarito il sistema di valutazione di questa cultura: tante più nozioni tanto più alto il voto.

2) C’è poi tutta un’altra serie di insegnamenti: quelli che riguardano il problema della pedagogia (o scienza del l’educazione) che dovrebbero chiarire all’insegnante cos’è il bambino e i metodi di insegnamento più adeguati per propinare una massa nozionistica che altrimenti resterebbe arida e inapprendibile.

Ma spesso la donna è stata così passiva nell’apprendimento che non riesce minimamente a partecipare a quello che insegna e (per fortuna a questo punto) trasmette solo il suo disinteresse generale.

Nel momento di crisi della scuola il capitale ha cercato di risolvere la situazione con un’altra mistificazione attribuendo all’inadeguatezza oggettiva (ma non certo di determinante importanza) dell’insegnamento e dei suoi contenuti e metodi, la causa di tutti i mali. Si è così attribuito all’inadeguatezza di preparazione psicologica degli insegnanti, la causa delle molte irrequietezze dei cosiddetti «giovani d’oggi» e si è cercato di inserire a livello universitario lo studio delle materie psicologiche e a livello di massa lo stesso si è fatto attraverso i mezzi di comunicazione: (vedi televisione: «Storia di un bambino» e radio: «Chiamate Roma 3131» e «Il circolo dei genitori»). Il vanto presunto di tale materia è quello di risalire alle origini delle contraddizioni della personalità: e confondendo ad arte gli effetti colle cause, fanno risalire tutti i conflitti all’educazione. Poiché in questa società l’educazione è compito esclusivo della donna, ancora una volta la donna è il capro espiatorio. Diventa, come la sua antenata Eva, origine di tutti i mali di una società in crisi. La si colpevolizza come madre prima e come insegnante poi. Si afferma che è la madre che determina la sicurezza e il futuro del figlio, con il suo atteggiamento affettivo, con la soddisfazione dei bisogni. Non si dice mai però che la società con i suoi valori di competitività e individualismo «democratico» crea le condizioni per tanta insicurezza. Così nella famiglia come nella scuola la donna si trova a pagare tutte le contraddizioni sulla propria pelle: il figlio che ha imparato a riconoscere in lei la fonte di tutti i suoi mali, il marito che ha imparato a scaricare sulla moglie la responsabilità del fatto che i figli non corrispondono alle sue aspettative.

Nella scuola la donna si trova coinvolta nelle contraddizioni fatte scoppiare dalle lotte studentesche e, qualora non reagisca in modo autoritario, subito si scontra con tutta la struttura burocratica e repressiva della scuola, dal direttore didattico, al preside, al provveditore, e se questo non è sufficiente, con i provvedimenti disciplinari (basse qualifiche, opportuni trasferimenti, sospensioni o addirittura l’espulsione). Noi donne di Magistero, appartenenti al movimento di lotta femminile, apriamo un dibattito su tutti questi temi per l’individuazione, la denuncia e il controllo di quanto sta avvenendo a Magistero sulla nostra pelle e sopra le nostre teste.