commissione omosessualità
La commissione, non prevista dal programma troppo rigidamente strutturato del congresso, nasce come segno di una volontà di approfondimento e di confronto sul tema dell’omosessualità e come segno del disagio che le compagne omosessuali in prima persona hanno vissuto nel convegno di Parigi. Alla commissione partecipano compagne di quasi tutti i Paesi presenti al convegno, soprattutto tedesche ed inglesi, poche le italiane, le francesi e le spagnole. Per tutto il suo svolgimento questa sarà una delle commissioni più seguite e con maggiore interesse.
Si inizia criticando l’impostazione stessa del convegno, cosi rigida, tutta in fondo limitata allo scambio di informazioni e di notizie tra i vari Paesi presenti. Il primo argomento affrontato è quello dei centri delle donne lesbiche. Parla una compagna tedesca che descrive il centro delle donne lesbiche di Amburgo, nato dall’esigenza, da parte delle compagne, di incontrarsi, confrontarsi, avere uno spazio proprio, dove le discriminazioni quotidiane vengano lasciate fuori della porta. Dopo il suo intervento si decide di fare un giro di tutti i Paesi per sapere la situazione in ogni Paese in rapporto a questa esigenza; questo giro, date le difficoltà linguistiche (ovvie), prende un sacco di tempo. Vengono scambiate in. formazioni e indirizzi.
Le femministe omosessuali di tutti i Paesi denunciano con rabbia l’emarginazione che subiscono in seno al movimento, vogliono crescere insieme, rifiutano il ghetto.
Scoppia anche qui, a Parigi, l’annoso e mai risolto problema dei rapporti con il movimento femminista. È una tedesca ad iniziare, con molta rabbia, denunciando l’emarginazione che le compagne omosessuali vivono in Germania; il movimento femminista le emargina, perfino nei piccoli gruppi; sono tagliate fuori dalle assemblee e vengono «rese assentii» ovunque si discuta, non riescono in alcun modo a dialettizzare i propri problemi con quelli del Movimento femminista. Questo intervento è molto duro, molto chiuso, oggi in Germania le compagne omosessuali hanno fatto una scelta di chiusura in rapporto al movimento.
Intervengono su questo problema sia una compagna statunitense che una inglese, entrambe denunciano l’emarginazione che le lesbiche rischiano di vivere nel movimento, ma con più speranza, esprimono la loro volontà di fare una battaglia perché il movimento femminista si faccia carico dei problemi delle lesbiche. «La battaglia va fatta sempre ed in tutte le sedi del movimento». Una compagna di Milano si qualifica come lesbica e fa una testimonianza sulla propria difficoltà di inserimento: «sono, come tutte, tagliata fuori». Racconta un episodio avvenuto a Milano dove l’MLD ha escluso le lesbiche da alcune riunioni, costringendole a trovare una omogeneità esclusivamente tra di loro, e racconta il peso di questo sentirsi diverse anche dalle compagne femministe con le quali si vorrebbe crescere insieme. Viene da più parti articolata di nuovo una pesante denuncia contro la gestione del congresso, «un convegno femminista, dove la parola autocoscienza non si è mai pronunciata, dove la parola sessualità non è esistita». Le omosessuali non si sono sentite di vivere la frustrazione di partecipare alle commissioni sugli argomenti decisi dall’organizzazione del congresso, perché non si sono sentite di superare le difficoltà che questo avrebbe comportato, hanno sentito la necessità di riunirsi tra di loro, ancora una volta costrette a crearsi una specificità che rischia di divenire ghettizzante e soprattutto di perpetuare una emarginazione che è già, così pesantemente, presente nel movimento.