dopo il divorzio

luglio 1977

abbiamo allestito questa mostra soprattutto per sensibilizzare le compagne di tutto il movimento sui problemi delle donne separate e divorziate a quasi sette anni dalla promulgazione della legge Fortuna-Baslini (1° dicembre 1970) che ha introdotto il divorzio in Italia, anche in vista di una imminente revisione di questa legge in sede legislativa.
La Mostra è stata esposta nel cortile del palazzo occupato in Via del Governo Vecchio nei giorni 16 e 17 giugno e poi in Piazza Municipale a Ferrara in occasione di una Manifestazione Femminista indetta dal Coordinamento Emiliano per il Salario al Lavoro Domestico in concomitanza con il Festival de «L’Unità» della Donna. Il materiale di documentazione è stato in parte reperito da noi; in parte ci è stato fornito dall’Associazione Difesa Donne Divorziate. Questa nostra iniziativa vuole essere solo il momento-iniziale di una nostra attività in questo campo: noi abbiamo intenzione di continuare a raccogliere documenti e testimonianze su divorzio e separazione: da queste colonne rivolgiamo perciò un invito a tutte le donne, e soprattutto
alle avvocatesse, a collaborare con noi in questa attività.
La separazione e il divorzio rappresentano troppo spesso per le donne una realtà drammatica quanto l’aborto e lo stupro, una realtà in cui la prevaricazione del singolo uomo e quella delle . istituzioni si sommano troppo spesso. Sulle cause di divorzio e di separazione si organizza poi lo sfruttamento delle donne da parte degli avvocati, esattamente come sull’aborto si organizza quello dei medici.
Per questo ci siamo proposte di ricordare alle compagne che tre anni fa il Movimento Femminista nel suo complesso ha detto NO all’abrogazione del divorzio, pur con i limiti della legge Fortuna. Quel NO fu detto (risulta da vari documenti femministi) con il proposito di fare dell’occasione del referendum solo l’inizio di una battaglia per il diritto effettivo delle donne al divorzio. L’incalzare di molti problemi ce ne ha fatto dimenticare. Oggi la situazione delle donne non economicamente indipendenti e senza la prospettiva di un altro matrimonio costrette a subire la separazione o il divorzio-ripudio è veramente tragica, anche nel caso di donne che sono state sposate con mariti abbienti. La legge Fortuna, fatta dagli uomini «per tutelare i diritti dell’amore e per far sopravvivere le unioni basate sull’amore» e gestita pure dagli uomini, si è ben poco preoccupata della sopravvivenza delle donne divorziate che hanno visto vanificati da un giorno all’altro dei diritti acquisiti, pagati con una vita di rinunce e di lavoro senza limiti di orario.
Si pensi che la divorziata perde il diritto all’assistenza mutualistica e alla reversibilità della pensione: nonostante l’art. 12 della legge Fortuna sembri esprimersi diversamente (ne riparleremo fra poco) la mutua e la pensione spettano solo alla seconda moglie, naturalmente in nome dei diritti dell’amore. La moglie divorziata può solo rivendicare una quota della pensione della seconda moglie solo se questa esiste e solo finché la seconda moglie è in vita o non passa a nuove nozze. Tale quota «può» esserle assegnata dal giudice e fissata da lui come lui ritiene opportuno. Inoltre le donne sono costrette a strappare i loro pochi diritti (l’assegno mensile, la rivalutazione di
Dopo 7 anni dalla promulgazione della legge Fortuna-Baslini una mostra-documentazione sui misfatti di questa legge fatta «dagli uomini e per gli uomini». Separate, divorziate e vedove unite nell’Associazione Difesa Donne Divorziate combattono con le incongruenze degli articoli della legge.
esso, il perseguimento del coniuge che si sottrae ai suoi doveri, la quota di pensione alla morte del marito) con lunghe battaglie legali e pagando fior di onorari agli avvocati, mentre mariti abbienti chiedono spesso il gratuito patrocinio per dimostrare uno stato di povertà. Abbiamo documentato tutto questo anche con lettere, indirizzate a giornali o alla Presidente dell’A.d.d.d., da donne spesso anziane e malate senza mezzi di sussistenza dopo una vita di lavoro.
È probabile che molte delle più macroscopiche storture della legge Fortuna vengano corrette in una sua prossima revisione in sede parlamentare, ma tutto questo si è protratto per lunghi anni fra l’indifferenza dei partiti e dei sindacati, della stampa e dell’opinione pubblica. In questo vuoto totale di interventi si è costituita nel settembre 1976 l’Associazione difesa donne divorziate. Questa Associazione ha una dinamica presidente, la signora Pina Prenestini, che si è assunto il compito di contattare ministri e parlamentari di tutti i partiti per sollecitare una revisione della legge Fortuna, Sotto questa spinta sono stati presentati in Parlamento quattro progetti di revisione; in più l’Associazione ha preparato una sua proposta che è stata sottoposta alla attenzione di tutti i partiti rappresentati in Parlamento. Questa proposta prevede l’assistenza mutualistica per la moglie divorziata, nonché il diritto alla intera pensione di reversibilità per tutte le donne che hanno contratto matrimonio anteriormente all’entrata in vigore della legge Fortuna; per i matrimoni successivi alla legge la pensione verrebbe ripartita fra le mogli in proporzione agli anni di matrimonio. Viene anche proposta l’istituzione di una Cassa Integrazione Divorzi con il concorso dello Stato, per venire incontro alle necessità più urgenti delle mogli divorziate e dei loro figli, per esempio quando il coniuge si sottrae al pagamento dell’assegno di mantenimento. Un altro intervento dell’Associazione è stata la richiesta di una interpretazione autentica dell’art. 12 della legge Fortuna, articolo che finora è stato sempre ignorato dalla giurisprudenza nelle cause di divorzio.
Tale richiesta è stata inoltrata al Presidente del Consiglio e al Ministro Bonifacio, senza peraltro ottenere risposta. L’articolo in questione riguarda i diritti del coniuge divorziato relativamente alla pensione di reversibilità, al diritto di ereditare e all’assistenza mutualistica, ma è formulato in maniera talmente ambigua che né giuristi, né magistrati, né enti mutualistici interpellati in proposito sono stati in grado di precisarne l’applicazione pratica, per cui non è stato mai applicato e nessuno mai si è preoccupato dei diritti delle donne in proposito. Lasciando il terreno dell’informazione per passare a quello dell’analisi, riteniamo che, nonostante l’ondata femminista e anzi proprio a causa di essa, vadano diminuendo per le donne le possibilità di essere economicamente autonome e quindi di avere un minimo di potere sulla propria vita. Il sistema ha risposto con la crisi alle aspirazioni delle donne e dei giovani, per cui le uniche possibilità di sopravvivenza pelle donne saranno sempre più nel lavoro domestico e nel lavoro nero, senza alcuna tutela e senza più neppure le garanzie del matrimonio. Contemporaneamente peggiorerà la situazione delle donne con un salario, costrette a lavorare di più in casa e fuori, con scarsissime possibilità di disporre di servizi sociali: i servizi costano, il nostro lavoro no.
Ci sembra che sia ormai il momento che il Movimento Femminista nel suo complesso si assuma autonomamente la gestione della lotta contro uno sfruttamento così immane quale è quello subito dalle donne in quanto tali; la nostra assenza su questo terreno è, di fatto, una delega alla sinistra maschile, o meglio alla sua latitanza in proposito. Forse per paura di «istituzionalizzare» lo sfruttamento capitalistico sulle donne, troppo spesso la sinistra non lo ha neppure visto.
Noi pensiamo che ogni causa di separazione o di divorzio può diventare una vertenza sul lavoro domestico (o, se vogliamo, un processo politico). Come controparte non ci sarebbero solo gli ex-mariti, ben pochi dei quali in grado di pagare il lavoro domestico di una sola donna, figurarsi di due, ma soprattutto lo Stato, da sempre delegato dal capitale a sovraintendere alla produzione e riproduzione di forza-lavoro, legiferando su famiglia, scuola, ospedali, ecc. Soprattutto se verrà istituita la Cassa Integrazione Divorzi (e non vediamo come non possa esserlo, se gli Enti Previdenziali si rifiuteranno di pagare due pensioni di reversibilità), certamente si apriranno nuovi spazi di lotta non solo per le divorziate e le separate, ma per categorie sempre più vaste di donne.

per esempio…
Desidero portare alla conoscenza della opinione pubblica la precaria e spesso disperata situazione nella quale oggi si trovano molte donne divorziate. Mi riferisco in particolar modo alle divorziate rimaste vedove. Io sono una di queste. Vedova davanti a Dio e alla chiesa, divorziata per lo stato civile, sono stata la legittima moglie di un dirigente statale dipendente del ministero della Sanità, per tutto l’arco della sua carriera, fino al pensionamento. A causa di continui maltrattamenti e gravissime minacce, acconsentii, anni or sono, alla separazione. Grazie a ciò, mio marito ottenne il divorzio, contro il quale mi appellai inutilmente. 2 mesi dopo la sentenza di divorzio, mio marito, già gravemente ammalato di cancro, morì. Conseguenza: mi fu tolto tutto! Dopo essere stata per 23 anni una moglie fedele e onesta, madre di 3 figli nati da regolare matrimonio, mi ritrovai a 50 anni con la salute a pezzi, e nella più nera miseria. Non mi fu corrisposto l’assegno mensile, l’ENPAS mi negò l’assistenza sanitaria e lo Stato non mi assegnò la pensione di reversibilità spettante alla vedova. Dal giorno del divorzio sono passati oltre 2 anni e in tutto questo tempo non ho fatto altro che chiedere giustizia, cercare d’ottenere l’annullamento della sentenza o almeno la pensione e l’assistenza mutualistica. L’unica cosa che ricavai furono scherno e umiliazione.
Non è giusto che una donna, che è stata maltrattata per anni dal marito, che ha dovuto rinunciare per mancanza di strutture sociali al suo impiego, alla sua professione per dedicarsi alla famiglia, ai figli, che non ha potuto rifarsi una vita perché fino a pochi anni fa l’adulterio era reato, si ritrovi ora che è vecchia e ammalata doppiamente maltrattata da una legge, che le nega l’assistenza mutualistica e la pensione. Mio marito non ha certo pagato fior di contributi per regalare la pensione allo Stato!