parigi 1977 il maggio femminista

dal 28 al 31 maggio si è tenuto a Parigi un convegno internazionale al quale hanno partecipato femministe di molti Paesi.
Dedichiamo buona parte di questo numero al resoconto dei problemi affrontati nell’assemblea generale e nelle commissioni di lavoro del convegno.

luglio 1977

di questo convegno, noi compagne italiane sapevamo pochissimo al momento di partire. Com’era nato, da chi era stato indetto, su che piani si sarebbe svolto il dibattito, i contenuti che si sarebbero analizzati. Persino Effe ne aveva ricevuto la notizia solo pochi giorni prima della data d’inizio. Abbiamo saputo a Parigi che il congresso, convocato in una riunione il 12 dicembre ’76 era già in preparazione da molti mesi. I contatti per l’Italia avrebbero dovuto essere tenuti dalle compagne dell’Intercategoriale di Torino, che hanno svolto il loro compito in modo se non altro strano. Solo in seconda giornata a Parigi abbiamo ‘saputo, leggendo un documento delle compagne olandesi, che la settimana dopo ci sarebbe stato un altro convegno femminista internazionale ad Amsterdam. Nel documento emergeva un disaccordo; sui temi del dibattito riportiamo alcuni brani tratti dal documento-volantino dissidente: «Una parte delle donne pensava che questo incontro essendo il primo di una serie, doveva avere una larga base politica. Esse si sono dunque opposte a che l’incontro avesse per tema, come le francesi proponevano (una parte delle francesi; ad esempio il gruppo psico-analisi-politica si è rifiutato di partecipare alla preparazione del convegno n.d.r.), la lotta delle donne dentro la lotta di classe. L’incontro doveva avere proprio lo scopo di proporre questa questione, cioè quella dei rapporti delle donne con la classe, e non di supporla come risolta in anticipo». In questo clima di generale disinformazione ci siamo sentite spesso scavalcate dall’organizzazione dell’incontro ed espropriate della ricchezza e della libertà di .dibattito cui siamo abituate. Bisogna dire però che l’organizzazione è stata molto efficiente, anche in relazione all’elevatissimo ed inaspettato numero di donne presenti al convegno. Molti i problemi dello starci dentro a questo congresso.
Molte volte abbiamo avuto netta la sensazione di rivivere vissuti congressi di organizzazione o di partito. La parola «autocoscienza» pareva appartenere ad un altro mondo. La suddivisione delle commissioni, decisa in riunioni ristrette, per delegate, tendeva a scindere schematicamente momenti logici di uno stesso problema; si è creata una commissione «omosessualità» ed una «sessualità», una commissione «lavoro domestico» ‘ed una «collettivi sui luoghi di lavoro» una commissione sul «lavoro» una sul «sindacato» ed una sul «rapporto femminismo-marxismo», Si aveva così, spesso, l’ossessiva presenza di una retorica vecchio stampo da una parte ed il riduttivismo degli ordini del giorno, puntigliosamente definiti e scritti alle lavagne, dall’altra. Spesso le ambiziose enunciazioni dell’assemblea di apertura non sono state il presupposto di una reale possibilità di confronto nelle commissioni. Questo ovviamente anche per ragioni di tempo, di diversità di lingua, di faticose battaglie contro grossolani tentativi di egemonia o strumentalizzazione da parte di compagne.
Il giusto bisogno di concretezza che animava l’incontro spesso si traduceva in una povertà di dibattito o nella definizione di obiettivi settoriali; i problemi che emergevano più volte si riducevano a formule generiche (si parlava di «diritto al lavoro» e di «maternità cosciente»). Le forme organizzative che venivano indicate come le più adatte per condurre le battaglie su questi obiettivi erano forme che in Italia il movimento aveva, non solo sperimentato, ma spesso criticato e scartato, (come ad esempio, andare nei quartieri a parlare con le donne porta a porta, o distribuire questionari, insomma andare «dalle donne»). Paradossalmente, al convegno, quanto. più si tendeva a dire che la lotta delle donne doveva porsi in rapporto con la lotta della classe operaia, tanto più mancava un analisi dei modi di questo rapporto, ad esempio, del revisionismo, del rapporto donna-politica. Sicuramente positivo invece è stato lo scambio di informazioni ed esperienze sulle lotte delle donne nei Paesi più . disparati. D’altro canto è pur vero che non sempre la forza di un movimento delle donne può essere valutata a partire unicamente dalle mobilitazioni di massa e dalle «cose fatte». Ad esempio, se è vero che l’MLD e OISA sono due organizzazioni molto attive nella autogestione dell’aborto e nella battaglia per i consultori, esse non hanno un peso specifico per quel che riguarda la analisi di contenuti autonomi e di pratiche all’interno del movimento femminista, che le «molte cose fatte» potrebbero suggerire; ci è parso che questa identificazione avvenisse spesso al convegno di Parigi. Nell’assemblea di apertura, la compagna italiana che ha parlato per il CRAC, ha dovuto faticare per ottenere la possibilità di parlare, dato che in mattinata, una compagna dell’MLD era stata alla riunione organizzativa, prendendosi tutto il tempo concesso all’Italia (sul tema dei consultori) come «espressione dell’unico gruppo significativo esistente in Italia su questi problemi». Le italiane sono state, in moltissimi interventi, indicate come le «avanguardie» del movimento delle donne a livello internazionale, lodate, coccolate, hanno sollevato m generale curiosità.
La nostra presenza era in effetti, molto «disordinata», essendo mancato un momento di confronto preliminare sul come andare al convegno. Segno d’i questo disordine, sono stati gli incontri che abbiamo fatto tra di noi durante il convegno. Essi indicavano da un lato una certa «pigrizia» mentale che ci portava a stare molto tra di noi; dall’altro lato erano dei timidi tentativi di dare forma al disagio che sentivamo, individuando i modi ed i contenuti sulla base dei quali spostare l’asse del dibattito laddove esso ci pareva riduttivo. Ovviamente questi incontri hanno risentito delle tensioni che esistono a livello personale come a livello di collettivi in Italia, e si sono rivelati in fondo, una specie di presa di coscienza collettiva (unita a sfoghi spesso divertenti) dell’elevato grado di elaborazione raggiunto in Italia su particolari questioni, dell’insoddisfazione generale nostra sulla gestione, diciamo un po’ «autoritaria» soprattutto dei contenuti del convegno, dei dissensi avvenuti nelle commissioni, della volontà un po’ donchisciottesca e quindi subito messa in crisi, di cambiare il convegno tutto ecc.
Forse è servito anche a noi, e forse a tutte le donne dei singoli Paesi, ritrovarsi insieme magari dopo mesi che non ci si vedeva, magari con scelte ed aree di intervento diversificate, ma con una consistente omogeneità sui problemi che si ha l’esigenza di affrontare insieme; si sente oggi il bisogno di chiarire il nodo dell’analisi e della critica alla questione della nostra emancipazione, quello del rapporto con le istituzioni (da .stabilire o no) quello di chiarire a sviluppare le specificità del nostro dire «il personale è politico» in un momento in cui grosse aree di emarginazione si vanno sviluppando e nuovi movimenti prendono le loro mosse; in cui, per i sempre più numerosi contributi diventa via via più difficile e sempre più necessario sapere affrontare la nuova dialettizzazione che ci viene imposta, senza perderci per strada la nostra storia di movimento ormai ricco di cose e di esperienze.

Le Donne intervenute hanno discusso di varie tematiche; violenza, controllo delle nascite, lavoro domestico, rapporto femminismo-marxismo, consultori, che da anni costituiscono materia di dibattito all’interno del movimento femminista internazionale.