Contributi
un’analisi del collettivo femminista di ferrara “il torrione”
in quest’ultimo anno nel nostro collettivo si è molto discusso per cercare di chiarire cosa sta avvenendo all’interno del Movimento Femminista e confrontare le diverse posizioni che stanno emergendo. Il discorso si è articolato particolarmente sul tema “violenza”, stimolato soprattutto dagli ultimi avvenimenti, attentati e arresti, che ci chiamano in causa direttamente come femministe. Riteniamo necessario fare chiarezza poiché la solidarietà fra donne non deve essere la scusa per non approfondire tali diversità.
Prese di posizione alquanto dissimili le verifichiamo anche nella nostra realtà specifica di Ferrara, dove un gruppo di donne, firmandosi «Coordinamento femminista contro la repressione”, ha espresso in un documento posizioni in cui non ci identifichiamo. Il Movimento Femminista sta attraversando una fase di ripensamento e chi vuole dare una connotazione perdente a tale momento dimentica e sottovaluta i risultati di dieci anni di lotte. Tali risultati non sono garantiti né quantitativamente, né qualitativamente: costruire una partecipazione sociale e politica autonoma è faticoso e difficile; non vogliamo tuttavia che vengano né vanificati, né minimizzati.
Le voci massimaliste e radicali che all’interno del Movimento Femminista propongono le stesse analisi della condizione femminile fatte dieci anni fa, ponendo tutti i dati su uno stesso piano, senza differenziarli, di fatto non pongono alcuna prospettiva al Movimento. In questo modo non solo negano i passi fatti, ma anche gli strumenti che si sono trovati per andare avanti, le proposte di rapporti personali-politici diversi, che hanno preso consistenza. Con una sorta di patetico vittimismo si fa leva sulla crisi, la rabbia, la voglia di successi reali e concreti di molte donne (la concretezza è patrimonio della cultura femminile), facendo credere sempre meno alla politica come fatto razionale. In questo modo con la scusa di riaprire all’interno del Movimento il dibattito sulla violenza e sulla repressione si toglie spazio al confronto fra le diverse posizioni all’interno del Movimento stesso, ma anche al confronto con il resto delle donne e delle altre forze sociali.
Il femminismo è nato come movimento di critica radicale dei rapporti sociali-politici-economici e soprattutto personali ed ha portato ad una presa di coscienza del nostro ruolo sociale trovando un momento di aggregazione al di fuori della politica tradizionale. Il momento più unificante è stato quello dell’analisi, quando cioè abbiamo scoperto che “il personale è politico” ricercando quindi un “modo nuovo di fare politica”, Abbiamo lottato per affermare i dati di una analisi che pone l’oppressione fra i sessi come contraddizione non secondaria, non sovrastruttura-le. Tali dati, profondamente innovativi, non sono rimasti patrimonio gelosamente custodito dalle donne, ma sono diventati problemi ed esigenze condivise da altre categorie sociali (studenti, giovani, operai, intellettuali). Queste acquisizioni sono un patrimonio e un dato storicamente unificante di tutto il Movimento Femminista, che si è espresso in tanti modi diversi, riuscendo solo in parte a contenere lacerazioni. Le diversità, che si sono andate via via delineando, sono il prodotto di un modo diverso di interpretare e di usare i dati dell’analisi, ed in funzione del rapporto più o meno organico che si è mantenuto con l’intero Movimento Femminista.
Per rapporto funzionale, organico, noi intendiamo il continuo confronto, la continua analisi e messa in discussione del nostro personale in ogni momento politico, perché la politica è carica delle situazioni personali, così come le situazioni politiche influenzano il personale. Il tenere costantemente presente il nostro modo di fare politica, il “non detto”, permette al processo la sua dialetticità; non ci sono quindi le “buone” e i “cattivi”, ma due poli diversi di una medesima realtà in continuo confronto.
E’ importante sottolineare questo aspetto e modo del “fare politica”; è, questo il nodo nevralgico da cui si dipartono le diversità. Riconosciamo come storia comune a tutto il Movimento Femminista l’analisi degli aspetti della nostra oppressione.
Per alcune l’analisi si ferma qui, quando cioè individuando nell’altro “uomo” (padre, compagno, padrone, famiglia, Stato) il “cattivo” si decide la lotta per la sua distruzione. La rabbia e la polemica si organizzano allora contro la violenza quotidiana dell’Uomo e delle Istituzioni, esorcizzando così problemi e paure più profonde.
In questo modo vengono acquisiti solo gli aspetti ideologici del femminismo, senza riuscire ad interiorizzarli ed a verificare le contraddizioni. Noi diciamo che la condizione femminile di subalternità e di oppressione ha origini profonde, legate ad una situazione culturale prima che politica. Le differenze fra donna e uomo hanno giustificazioni culturali, sociali, economiche, storiche ed il superamento di tali differenze non significa assumere come validi i modelli culturali finora messi in atto dal potere, ma un cambiamento totale di tali modelli.
Poiché la caratteristica prevalente delle culture dominanti fino ad oggi è stata la violenza, il femminismo ha teorizzato un modello di vita diverso, “non violento”. La critica ha investito i modelli culturali finora vissuti, analizzando e distruggendo modelli di autorità precostituita. Nel cercare di capire la nostra condizione di oppressione e subalternità abbiamo toccato problemi molto gravi e profondi. Scoprire la nostra emarginazione ed individuare nel-l’“uomo” (padre, compagno, padrone, famiglia. Stato) l’artefice primo di tale emarginazione e detentore reale del potere, ha determinato reazioni di rabbia e rivolta. In questo modo venivano a cadere anche tutte le nostre sicurezze che dipendevano da tali rapporti di autorità e, contemporaneamente, emergeva un valore nuovo, fino allora mistificato, la solidarietà fra donne.
Chiarivamo anche come lo Stato fosse figura interiorizzata, il “padre” politico che ha avallato e delegato alla famiglia la nostra oppressione. La nostra analisi, sofferta, ha determinato il riconoscimento di questo ruolo, un’organizzazione che non rispetta le nostre esigenze, ma anche la presa di coscienza che se vogliamo essere realmente partecipi di un processo storico, dobbiamo lottare all’interno per modificarlo.
Le istituzioni dello Stato sono anche nostra emanazione e, proprio perché tali, non vogliamo abbatterle ma modificarle in un rapporto dialettico.
Rivendichiamo perciò questo Stato, che ci vuole garanti della riproduzione e della conservazione della specie, come strumento a salvaguardia del nostro spazio politico. Le garanzie democratiche che questo Stato borghese dice di salvaguardare, le esigiamo come terreno indispensabile per la nostra emancipazione e liberazione.