aborto

firenze: anche un problema di informazione

la stampa ha clamorosamente ignorato i documenti e i comunicati che le compagne del Movimento Femminista hanno distribuito durante il processo. La delega del silenzio ha dato ancora una volta il diritto di ignorare la nostra realtà.

dicembre 1978

brevemente gli antefatti: nel ’75 vengono arrestati a Firenze nella clinica del Dott. Conciani dove il CISA aveva organizzato interventi di aborto con il metodo Karman, circa 60 persone tra uomini e donne; vengono arrestate anche la Bonino e la Faccio quali responsabili del CISA. È importante ricordare a questo riguardo che Firenze è la sede della diocesi de} Cardinale Benelli, intransigente e reazionario, è anche la culla del Movimento per la Vita, quello stesso che presentò in Parlamento una proposta di legge sull’aborto tra le più reazionarie che si siano mai viste, in cui la donna veniva umiliata e ridotta al ruolo di “macchina per fare figli».
Il pubblico Ministero Casini ne è uno dei fondatori e da ciò si capisce perché questo processo ha assunto una grande importanza politica; si comprende così perchè è stata chiesta dal P.M. la separazione del processo per le donne che avevano, per così dire, usato la struttura del CISA (le succubi!) da coloro che invece ne erano state le ideatrici ed organizzatrici (le pericolose).
Altra discriminante è stata fatta dal Casini tra il medico che, anche secondo la legge 194, ha pur sempre esplicato la sua professione, e le compagne del CISA che, non essendo medico, non avevano alcun titolo per partecipare agli interventi abortivi. Il processo è stato sorpreso, rinviato a tempo indeterminato: il Giudice ha accettato le eccezioni di incostituzionalità sollevate dal P.M. Casini e così ora la legge sull’aborto dovrà essere discussa dalla Corte Costituzionale che ne deciderà la sorte. Si discuterà ancora una volta se il feto è da considerarsi o no già un individuo, se quindi la donna che abortisce compie o no un omicidio; come se le donne che sin da Luglio si sono presentate negli ospedali per abortire non fossero già migliaia, come se non si stesse parlando di un problema sociale, per giunta, tra i più tragici. Forse avevamo sottovalutato (noi donne, noi Movimento Femminista) la caparbietà e il potere di questi rappresentanti del Movimento per la Vita che, facendo leva sull’ignoranza e sull’intransigenza di alcuni settori di cattolici, non perdono l’occasione per rimettere in discussione quelle acquisizioni a cui la società era arrivata in seguito alle lotte delle donne. La legge non soddisfa certo i nostri bisogni (i radicali ne hanno individuato bene i limiti nei punti su cui si articolavano le eccezioni di incostituzionalità da loro sollevate al processo), tuttavia, il fatto stesso che si sia dovuto discutere e fare una legge sull’aborto ha significato che rappresenta un problema sociale e che lo Stato deve farsene carico. È vero, inoltre, che le compagne che prima si erano interessate a questo problema, organizzando i consultori autogestiti, portando avanti la pratica del self help, organizzandosi nei nuclei di aborto clandestini, sono riuscite, purtroppo solo in alcuni ospedali, ad esercitare non solo un controllo ma anche in alcuni casi ad imporre che i medici imparassero e poi praticassero il metodo per aspirazione Karman. Hanno parlato con le donne che si presentavano negli ospedali per chiedere l’intervento svolgendo un ruolo non indifferente riguardo ad una corretta informazione sui diritti che ogni donna ha pel-legge nei confronti della struttura sanitaria.
È stato chiaro in questo processo che al P.M. Casini (e dietro di lui ai settori che prima ho ricordato) non interessava tanto che gli imputati fossero condannati o assolti, il principale obbiettivo, invece, era creare un precedente per fare nuovamente discutere di questa legge in un momento, ricordiamolo, molto critico per il Movimento Femminista e per tutto il Movimento all’opposizione. Voglio richiamare l’attenzione anche sul fatto che, se già era difficile per le donne esercitare pressioni politiche sul parlamento quando la legge era in discussione, ora certo lo è ancora di più nei confronti della Corte
Costituzionale! E questa è una ragione per cui rimango perplessa rispetto alla scelta fatta dai radicali nel condurre la loro linea di difesa: è importante denunciare i limiti di questa legge sull’aborto e i punti nei quali si operano delle discriminazioni tra le donne e si sancisce una volta di più la loro emarginazione, ma mi sembra più importante sollecitarne dal basso la discussione, informando le donne, organizzandosi negli ospedali e negli altri spazi possibili, in modo da seguitare ad alimentare la loro crescita che è fondamentale per l’avanzamento di un processo non solo emancipatorio ma anche di liberazione. Fondamentalmente credo più nella possibilità che hanno le donne di sovvertire le leggi che nella capacità delle istituzioni di fare delle leggi non discriminatorie.
Si è fatto parlare poco di questo processo: i giornali e le radio sembrano quasi averlo dimenticato; l’unico fatto che tutti hanno rilevato è stato l’intervento di Emma Bonino che diceva di voler rinunciare alla poltrona in Parlamento (e quindi alla immunità parlamentare) per poter sedere sul banco degli imputati; ma non è stato detto nulla sul documento che le compagne del CISA hanno distribuito all’entrata dell’aula del processo in cui si denunciava che erano mancati nel processo momenti in cui potessero venire fuori le motivazioni per le quali avevano aderito alle finalità del CISA e comunque la loro esperienza.
Non si è parlato del Movimento Femminista di Firenze che su questo processo ha fatto un comunicato in cui metteva in luce l’attacco dei settori più reazionari alle lotte delle donne. Eppure la sua importanza politica era evidente, sarebbe stato importante che le compagne ne discutessero, che comunque si risvegliasse l’attenzione sul significato del processo. Forse le donne non hanno ancora capito l’importanza politica dell’informazione, le stesse compagne che lavorano in questo settore (mi ci metto anche io, visto che lavoro a Radio Città Futura) stentano a trovare un momento di coordinamento tra di loro.
La mancanza di dibattito di cui sarebbe interessante ricercare i motivi, ha rappresentato un’occasione persa per le donne, per cercare di mutare la loro realtà, per discutere dei loro problemi in prima persona senza che qualcuno, come a noi succede, raccogliendo la delega del silenzio, si senta in diritto di parlare e decidere a “loro nome” o “a nome del Movimento”; un costume ormai fin troppo abusato!