prostituzione

intorno a un focolare a Marsiglia

Dall’intervista con Michelle, che ha lavorato in un istituto di assistenza francese, emergono le contraddizioni, le angosce, i fantasmi anche nostri di fronte alla prostituzione.

giugno 1978

Michelle lavorava fino a pochi giorni fa all’Associazione «Il nido», un’associazione francese che ha come statuto la legge del 1901 sugli enti senza scopi di lucro. L’associazione si occupa delle prostitute, e come numerose istituzioni sociali francesi, è privata, anche se ha finanziamenti pubblici. Dipende dal Ministero della Sanità e più direttamente dalla Direzione Regionale per l’Azione Sanitaria (DDAS) che invia una quota di denaro giornaliera per ogni «ospite» dell’Associazione.
Che cosa significa per una prostituta rivolgersi all’Associazione?
Ci risponde Michelle, una compagna femminista che lavorava come «educatrice» in un «focolare» dell’Associazione a Marsiglia. «Una prostituta che voglia entrare in un “focolare” deve fare la propria richiesta allo stesso, lasciando le proprie generalità. Comunque non tutte vengono immediatamente accolte all’atto della richiesta, dal momento che il centro (il “focolare”) ha una media giornaliera di accoglienza che non può superare le otto persone. In Francia questo tipo di istituzione è presente nelle grandi città: ci sono due “focolari” a Parigi, uno a Lione ed uno a Marsiglia. Oltre a questi esistono i servizi “de suite” che accolgono le donne che già hanno soggiornato al “focolare”, mentre i “milieu ouvert” (o “permanence sociale”) di Parigi, Tolosa, Lione, Grenoble, accettano anche le prostitute che non hanno fatto parte del “focolare”». Abbiamo incontrato Michelle nella libreria delle donne a Piazza Farnese a Roma, e abbiamo cercato per tutta la giornata di capire che tipo di istituzione fosse il «focolare», quale fosse il rapporto di Michelle con le prostitute e quali le modificazioni e contraddizioni sorte — per lei non prostituta — in tre anni di lavoro insieme/su loro.
All’inizio del nostro colloquio le nostre domande sono state di carattere generale ed informativo, anche se sentivamo l’esigenza di accentuare il discorso sul personale; di fatto soltanto alla fine della chiacchierata/intervista sono emersi i motivi reali per i quali lei aveva lasciato questo lavoro, che non erano in realtà motivi di orari o di turni, ma le contraddizioni, le angosce, i fantasmi che affioravano quotidianamente di fronte alla loro/ sua condizione.
Che cosa significa per una prostituta venire in un focolare?
Il focolare non è un centro chiuso, le donne ci arrivano mandate dalla polizia o da un’assistente sociale, molto più spesso dalle amiche. Quando arrivano mandate dalle prime (assistente sociale, polizia) viene loro detto che sono libere e possono andarsene o rimanere. Il focolare non ha il ruolo di carcere. Però può anche accadere che la polizia dia, alla prostituta l’alternativa fra carcere e focolare, allora lei sicuramente sceglierà il focolare, ma naturalmente rimane sempre libera.
Quando arrivano hanno una settimana di “accoglienza”: in questa settimana possono prendere (o non prendere) le loro decisioni, nel senso che possono optare per andarsene o rimanere, attraverso una serie di riunioni, anche se questa non è una regola fissa. Da parte del focolare la decisione di non accettare una prostituta interviene soltanto in due casi estremi: o quando lei non riesce a stare nel gruppo (ma questo problema può intervenire anche dopo mesi» di permanenza), o nel caso in cui abbia dei gravi disturbi e problemi mentali, nel qual caso non è la funzione del focolare il sostenerla e “curarla”. La funzione del focolare è quella della reintegrazione della prostituta: le sue ospiti non sono mantenute economicamente; una volta entrate, devono essere minimamente autonome economicamente, e nel caso in cui non trovino lavoro all’esterno possono lavorare nei servizi del focolare stesso, dove sono retribuite all’80% dello SMIC (salario minimo), Il fatto del lavoro ha un significato per “l’integrazione”: comporta infatti per loro una abitudine ad orari, a turni e così via…».
Ma se vogliono continuare a fare le prostitute?
Nel momento in cui entrano, teoricamente, hanno lasciato la prostituzione. Di fatto, avendo piena libertà di movimento il sabato e la domenica, alcune continuano in quei giorni a prostituirsi. Questa libertà durante il week end è un fatto relativamente recente, a cui si è arrivati attraverso le riunioni con il personale in cui le prostitute possono parlare del funzionamento del focolare e suggerire modifiche nei regolamenti.
Comunque — sempre rispetto al loro lavoro — i protettori conoscono il focolare, hanno anche libero accessocome qualsiasi persona venga a trovare le ospiti, dal momento che nessuno controlla chi viene, ma raramente intervengono {i protettori dicevo) per portarsele via. In tre anni di lavoro mi è accaduto di vedere una sola volta un “magnaccia” che si portava, via una donna.
Il problema è un altro: è il legame affettivo con il protettore. Ma c’è anche chi è uscita dal giro della mala e ha paura di ricaderci: capita che allora chieda di essere trasferita in un’altra città. I protettori premono su di loro dall’esterno, mentre da parte delle donne quello che predomina è la paura: paura di rientrare nel giro, paura della repressione della mala una volta uscite dal focolare, paura, anche dentro al focolare stesso, della mala. Una volta al riparo arrivano le angosce: non è un caso che dormano tutte con la luce accesa e non chiudano le porte delle loro stanze: sono i segni della vita che hanno condotto all’esterno. E poi il focolare non è un luogo chiuso, dove sei sicura al cento per cento.
Che cosa dichiarano quando vengono?
Quando arrivano alcune non dichiarano di essere prostitute, ma non viene fatta alcuna indagine. Tuttavia le donne che non hanno conosciuto la prostituzione spesso non si integrano con il gruppo, vengono rigettate, respinte, e sono costrette ad andarsene.
Parliamo del regolamento, ne abbiamo accennato a proposito dei week end…
Esiste un regolamento, ma non viene molto rispettato. E se non viene rispettato loro non vengono messe alla porta. Ci sono orari di ritirata, per esempio il mercoledì escono fino alle undici di sera, ma in effetti sugli orari non c’è rigidità. Il giudizio di Michelle sul regolamento: «È assurdo per delle persone adulte (il focolare accoglie solo le maggiorenni) e inaccettabile. Però data la loro vita sono proprio le prostitute a sentire il bisogno di regole, anzi rimproverano il centro di non essere rigido: questo ha un legame diretto con la mala. Il “milieu” (la mala) è una struttura molto rigida, organizzata gerarchicamente. Spesso sono le più integrate nella malavita a richiedere al focolare rigidità di regolamenti, proprio per le leggi a cui sono “abituate”, prima fra tutte la “correttezza” che è poi la legge del silenzio, dell’omertà, della solidarietà; la mala è una microsocietà con regolamenti propri: una volta uscite da essa le prostitute si ritrovano indifese, manca loro qualsiasi punto di riferimento, si ritrovano del tutto destrutturate. Da ciò la loro rigidità nei confronti del focolare: ad esempio, nel centro è tutto aperto, le cucine, i servizi eccetera; se avviene qualche furto, loro rimproverano il focolare di non essere maggiormente repressivo.
Ma tu come donna come ti sei trovata in questa situazione? Io ho lavorato per tre anni nel focolare. Ho capito molte cose, ne ho rimesse in questione altre. Però non ho potuto proporre niente, non ci sono riuscita. Fino a quando le prostitute non si saranno organizzate autonomamente non si potrà dire niente. All’epoca del Movimento delle prostitute (1975) i rappresentanti sindacali e il personale hanno fatto uscire un volantino dove, pur non appoggiando le loro rivendicazioni, erano solidali a questa forma collettiva organizzata. Per la maggior parte delle prostitute il Movimento ha rappresentato la possibilità di uscire dalla clandestinità e dall’isolamento. Ma era Un Movimento molto fragile, perché non era autonomo dai protettori: in molti casi erano addirittura loro a spingere le loro donne a partecipare.
Le contraddizioni erano molte: alcune prostitute, le leader, hanno costretto — a Marsiglia per lo meno — le altre a partecipare, e poi hanno scelto avvocati di estrema destra per la difesa. Questo è abbastanza indicativo dello spontaneismo e del tipo di rivendicazione… Il movimento si è subito bruciato, non ha avuto il tempo di fare i conti con gli altri problemi. È stato un movimento di massa, è vero, però oggi praticamente non esiste più anche se ci sono vari collettivi, sono isolati.
Il movimento è stato molto importante: finalmente le prostitute hanno parlato pubblicamente, ma le conseguenze sono state per loro molto dure: col riflusso si è aggravata la repressione, per esempio sono aumentate notevolmente le ammende. Questa ondata di repressione viene vissuta da molte proprio come la conseguenza del movimento, e viene messa sul suo conto. Il 90% delle prostitute sono conservatrici, anche se la definizione non mi pace, altre non riescono a porsi in problema.
Ancora non siamo riuscite a parlare-dei tuo rapporto con loro, del tuo… personale.
Sono arrivata nel “focolare” sapendo con chi avrei avuto a che fare avevo delle grosse paure, sia per l’immagine che loro potevano farsi e costruirsi di me sia di quella che avevo io di loro. I miei rapporti con loro sono stati di simpatia, di affettuosità, di calore. Ma ci sono molti problemi, mi sono esplose molte contraddizioni. In realtà come non-prostituta, anche parlando tanto con loro non sono riuscita a capire che cosa è la prostituzione. Un errore molto facile è quello di cadere in una forma di identificazione con la prostituta, ma il suo vissuto è troppo diverso perché ci si possa immedesimare. È come dire che ti identifichi con un drogato avendo fumato due spinelli…
L’identificazione porta al disconoscimento della forma specifica di repressione della donna prostituta, per me è anche una forma di populismo… Una cosa che per me è rimasta un grosso punto interrogativo è il loro rapporto con il corpo. Le prostitute non riconoscono il loro corpo. La verifica sta nel loro rapporto con la maternità: rifiutano i contraccettivi, non vogliono neppure sapere che cosa sono, mentre si sentono donne mentre sono in stato di gravidanza, (e di fatto lo sono socialmente!) ma poi per loro i figli significano o tanti aborti in condizioni allucinanti o il mantenerli con altrettanti sensi di colpa. Spesso si ritrovano incinte senza capire perché ci sono rimaste. Il problema del loro corpo si rivela nel fatto di rifiutare di farsi vedere nude da un medico, o non andare dal ginecologo. Fuori del rapporto con il cliente il loro corpo non esiste, Si vestono in modo provocatorio quando devono vedere i clienti; una volta che sono arrivata al centro con un vestito con lo spacco laterale mi hanno rimproverato…
Del loro corpo non dicono mai… con loro è molto difficile parlare di sessualità. Fra le più giovani, che sono poi quelle con cui si riesce a parlare* molte non sopportano il bacio, si dichiarano frigide, il loro rapporto “sessuale” è quello con il cliente in cui si scatena l’interdetto e l’erotico. L’interdetto crea eccitazione, ma mai orgasmo, su questo c’è un dibattito fra di loro. Esistono solo come macchine vagina, e io penso che sia necessario ritornare a discutere’ il nodo fondamentale della parcellizzazione, della donna come vagina o come seno… Un altro argomento tabù è l’uomo: non si parla mai del ‘rapporto con l’uomo, con il protettore, posso dire però che lo vivono come una “mezza tacca”, perché oggi i protettori non sono più dei grandi boss della mala, hanno un giro abbastanza ridotto di prostitute, non è più come trent’anni fa.
Ritorniamo a come sei stata tu…
Io mi sono sentita continuamente confrontata con loro come femminista anche se lì ho avuto un ruolo ben preciso che me lo ha impedito. Però mi scattava il meccanismo demagogico del voler far loro prendere coscienza. Mi sono resa conto che i loro “desideri” non mi corrispondevano, non avevano niente a che fare con il femminismo; loro sono per una normalizzazione, vogliono il marito, i figli, la casa popolare…
Io mi sono trovata incastrata in un discorso pedagogico ed assistenziale, perché mi sono ritrovata di fronte a donne completamente perdute, disgregate, prive di punti di riferimento, e a quel punto i problemi che pongono loro non sono più quelli della prostituzione’ in sé, ma della origine, del loro rapporto con la madre, dell’identità che stanno cercando lì dentro, delle possibilità di identificarsi. Mi sono trovata nella contraddizione di rifiutare il concetto di donna prostituta come donna “perduta”, smarrita, ma non riesco a vivere questa cosa diversamente. Allora si ritorna di nuovo al nodo di come il femminismo si è posto il problema della prostituzione, se lo è posto come un occuparsi di altre donne, ma le prostitute non sono operaie. Questa non è una critica al movimento delle donne, ma a me come femminista. In questo lavoro ho fatto solo ciò che dovevo fare. Non sono riuscita ad oltrepassare questo. Mi sono sentita una pedina delle istituzioni dentro al “focolare”; il fatto di avere un rapporto con loro di simpatia, di affetto non ha intaccato il problema. Io ho avuto un ruolo che non me lo permetteva e allo stesso tempo mi sono resa conto che era questo l’unico modo che io avevo per comunicare con loro, diversamente per loro non sarei esistita, sarei stata solo la “civile” come chiamano loro quelli che non sono nella mala. Un rapporto privilegiato, da “educatrice” quale sono stata, i miei rapporti con loro sono stati di potere. Quello che ho fatto e detto con loro non avrei potuto farlo se fossi stata come loro, mi capite? Se fossi, stata una di loro spesso mi avrebbero preso a schiaffi… Per esempio parliamo dei livelli di violenza: per me come educatrice era facile discutere (ma tutto rientrava nel ruolo) in modo tranquillo, anche se volavano piatti. Fra loro la comunicazione è violenta, io invece sono stata sempre coperta dal mio ruolo, se potevo dire “tua madre è una mignotta” era perché sono un educatrice e nessuno mi toccava…
Lavorano anche uomini nel “focolare”?
Molto pochi, è un lavoro troppo al di fuori degli schemi, gli orari sono folli, ci sono notti da fare, e così via. Io ho lasciato il lavoro per questi orari, l’ho fatto fin’ora solo perché era un lavoro, pensavo, come un altro, ma in realtà facevo una vita completamente vincolata da questi orari, e da questo lavoro se ne ho ricavato una maggiore consapevolezza non ho avuto possibilità di modificazioni. A volte mi sono sentita gratificata dal fatto che alcune prostitute sono riuscite ad uscire dal giro, ma non andiamo oltre. E questo è troppo poco. Quando sai che il reinserimento è la normalizzazione, con uno stipendio da fame, una casa popolare se la ottieni, sei solo riuscita a passare da un livello di sfruttamento ad un altro… Molto spesso la prostituta esce dalla sua condizione con consapevolezza, ha chiarito il rapporto con la madre, con il padrigno che, l’ha violentata, però lo scopo della sia vita diventa la famiglia. Mi capite?
Sì, rientra in quello su cui noi stiamo lavorando da anni…, ma ci chiedo se tu per esempio hai poi dei rapporti con loro una volta uscite…
In realtà no, se ci incontriamo per caso per la strada possono manifestare della gratitudine, ma non nei miei confronti quanto verso il “focolare” come istituzione. Ma ti vorrei parlare dei sensi di colpa, è un discorso importante che qui non abbiamo affrontato molto… Io facevo loro sempre lo stesso discorso, cioè che non si dovevano sentire colpevoli, e così via, però solo poche poi escono dalla prostituzione, non in senso moralistico, ma perché è qualcosa che mi fa male, non mi riesce di accettare nessuno dei suoi aspetti, addirittura il gergo che loro usano; quando ho letto il romanzo di Jeanne Cordelier. “La dérobade”, nel punto in cui lei racconta dei diversi passaggi dei clienti, non c’è l’ho.fatta ad andare avanti, era una cosa groppo violenta. Gli aspetti pornografici della prostituzione mi rinviano ai miei fantasmi sessuali, fantasmi che io non accetto, ma che vedo, …materializzati nella prostituzione. Quando stavo bene, quando non ero angosciata, riusciva a sopportare la loro/mia situazione, ma se mi arrivava un minimo di angoscia non reggevo più. Per, quanto il mio rapporto con loro fosse buono, quando c’era questa esplosione d’angoscia, e quindi di violenza, mi rendevo conto di quanto sopportassi questo rapporto con loro nella misura in cui non mi intaccava. E allora dal fatto che non lo sopporti, escono fuori il tuo essere donna, le tue contraddizioni, emerge “la prostituta che sei tu”, e non reggi nemmeno più lei. Non puoi vivere i fantasmi sessuali, se li vuoi vivere devi sottostare alla prostituzione, dove però poi i fantasmi sono annullati… Se stai male, ti rendi conto di quanto ti manchino dei punti di riferimento, di quanto ti “perdi”, tu sei/non sei la prostituta che è lei. Sei incastrata. Allora ti riesce fuori tutto il tuo cattivo rapporto con il tuo corpo. Ti puoi essere illusa di avere con l’oumo un rapporto diverso da quello che ha lei, di avere l’affetto e non i soldi per esempio, ma quando sei in crisi, depressa, ti riconosci, in parte, con lei; emerge questo ritrovarti anche tu il corpo parcellizzato, ti dici: “sono un oggetto di penetrazione”, tutto questo, quando ti cadono i discorsi che ti sei costruita solo con la mente…
Un movimento delle prostitute può partire solo del riconoscimento del soggetto prostituta, non da un discorso di integrazione sociale, quest’ultima significherebbe solo la loro totale negazione. Le prostitute non chiedono assistenza, chiedono riconoscimento, non si può fare opera di “assistenza”, ma prendere anno di questa realtà. La discussione/intervista con Michelle è terminata, lei ha parlato moltissimo, e ci rendiamo conto di aver privilegiato la trascrizione, il più fedele possibile; , di ciò che lei portava di questa grossa esperienza anche se avevamo parlato anche noi. Qualcuna delle presenti in libreria — rispetto a questo discorso finale dell’identificazione del suo corpo con quello della prostituta che le sta davanti — non l’ha accettato, non ne ha capito i passaggi, ma Michelle stessa l’ha detto all’inizio del discorso che l’identificazione era una cosa pericolosa, anche se poi potrebbe diventare un’ipotesi di lavoro verso là1 ricerca della nostra/loro soggettività; e dei nostri/loro desideri…