donne
sibilla: l’incredibile capacità di amare
la donna non è mai sfata una vera e propria individualità o s’è adattata a piacere all’uomo, senza ascoltare i comandi del suo organismo e della sua psiche o gli si ò ribellata copiandolo allontanandosi ancor più dalla conquista del suo “io”.
“Feltrinelli è stato di parola: mi ha telefonato gentilmente che sarebbe venuto in ritardo, è giunto verso il tocco e rimasto fino alle due, ha trovata “simpatica” la soffitta, poi gli ho mostrato le annate del diario dal ’45 ad oggi, ha detto che avrebbe pensato alla mia offerta di cedergliele, dietro compenso da stabilirsi, col patto che vengano stampate dopo la mia morte, assieme al testo integrale delle annate 1940-44 pubblicate parzialmente da Tumminelli. Non so che cosa deciderà, comunque qualcosa, credo, mi proporrà, prima o durante la mia andata a Milano nella seconda metà d’ottobre. Prima di richiudere la valigia dove stanno riposte le varie annate inedite, ho ceduto alla tentazione poco igienica di rileggere il fascicolo dei dati biografici (che sono preceduti da una nota per gli esecutori testamentari, la quale dice che essi dati non dovranno mai essere pubblicati, ma solo tenuti come “documento olografo” da consultarsi eventualmente da qualche futuro mio biografo). Ho detto “tentazione poco igienica” perchè in verità la rilettura mi ha spossata, oltre che turbata indicibilmente. La prima metà del manoscritto, cioè il racconto dalla nascita fino al 1915 all’in-circa, è cosa molto importante (direi anche per lo stile) e illumina il contenuto di Una donna, e tutti i tre lustri succeduti alla mia partenza dalla casa coniugale, sotto l’aspetto di profonda umana purezza che caratterizza la mia vita sino alla prima guerra mondiale. Poi, dal 1915 all’incirca, per un trentennio, cioè fino al 1945-46, accade un travolgimento tragico, in una ridda, che ha veramente qualcosa di spaventoso, di tentativi amorosi, che si risolvono tutti in fallimenti, con brevissime isole di gioia e lunghi periodi di dolore che non so come io abbia potuto via via sopportarli e superarli. Penso che in tale perpetuo superamento stia l’assoluzione di me stessa di fronte alla mia attuale coscienza. Forse, ci fu nel mio inconscio il presentimento che alla fine della terribile vicenda (ossia sino ‘circa al 1946, dopo il definitivo distacco dall’ultimo amore, Franco) io mi sarei trovata con la mia anima di giovinetta, quella che oggi mi sorregge e mi dà tanta incredibile forza d’azione e di fede, oggi che per nessun uomo in particolare vivo, nessun uomo in particolare amo, ma l’umanità tutta quanta nel suo presente e nel suo divenire. È un’anima intatta, oggi, la mia, e che mi assolve dal lungo errare, lo dichiaro in umiltà ma fermamente. Sì, forse tutto fu necessario perch’io giungessi a questa sera della mia vita così limpida e libera. Ma a nessuno, a nessuno, né uomo né donna, oso darmi come esempio, perchè in verità non so se saprebbe pagarne il prezzo… Oppure, oppure so che se io il prezzo ho potuto pagarlo è stato perchè era mio destino che pagandolo io divenissi poeta —: destino raro sulla terra ancora, ma qualcuno ha detto che un giorno forse, tutti lo avranno, e sin da fanciulli…”
Il privato/ la politica, il sociale
Così nelle pagine del suo diario, scritte in un pomeriggio di settembre del 1953, Sibilla Aleramo giudica la sua vita. Il diario riporta scritti dal 1945, quando Sibilla aveva 69 anni, al 1960, anno della sua morte. È un diario d’una donna vecchia incredibilmente giovane, che annota i fatti della sua esistenza frammisti a ricordi, a lettere d’amore di 30 anni prima. È come se Sibilla scrivesse con un occhio all’attualità privata, politica e sociale e un occhio al passato continuamente rifatto presente, e con il cuore rivolto al futuro, a chi leggerà il diario è i pacchi di lettere di cui ha i bauli ripieni… «Sfogliati altri pacchi di lettere d’altri amici, e di conoscenti e d’ignoti, di varie epoche. Autografi preziosi taluni, altri molto meno. Ma quale peso sulle spalle e sull’anima. Da gran tempo volevo fare questo lavoro; ma ne diffidavo, per non rimanere stroncata, così come ora mi sento. Smetto. Ma chi avrà la forza di sfogliare questa massa spaventosa di carta? Io non ho saputo allevarmi vicino, in questi ultimi anni di vita, un Eckermann, come fece Goethe. Uno che devotamente preparasse la mia biografia, attraverso tanti documenti, per dopo… Dopo, nessuno, nessuno avrà la capacità e la voglia di vagliare e spesso interpretare tanti documenti. Forse, del resto, nessuno, anche con le migliori intenzioni, con la devozione più grande, vi riuscirebbe. E intanto i documenti invecchiano ogni giorno di più, io stessa rimango dinanzi a molti di essi come dinanzi a insolvibili indovinelli… Tristezza profonda, se anche venata di quando in quando di fierezza silenziosa e vana. Suvvia, ora andiamo a una riunione di giovani comuniste, questa è la mia presente verità”. Questa mania biografica, la sua ossessiva descrizione di chi la veniva a trovare, chi le scriveva, chi le mandava fiori, chi faceva buone o cattive recensioni, costituiscono la parte più datata del diario. Frequentava Sibilla un sacco di persone note nel mondo della politica, dell’arte (Togliatti, Concetto Marchesi, Sforza,. Secchia, Terracini, Nilde Jotti, Bassani, Calvino, Pavese, Guttuso, Ungaretti, Vittorini, Croce, D’Annunzio…) Nel diario però i ritratti vivi sono pochi, i giudizi abbondano, sembrano dipendere quasi esclusivamente da come Sibilla si sentiva più o meno ben ‘trattata’ (pagine e pagine che annotano il numero degli inviti, telegrammi, lettere ricevuti ad ogni compleanno, ad ogni Natale e capodanno). Io mi sono annoiata leggendo queste parti del diario anche perchè ricompare spesso una riverenza verso i detentori del potere e della gloria, che contraddicono anche la sua pur sentita militanza comunista e la sua coscienza di donna ribelle alle convenzioni.
Per fortuna, frammiste alle pagine piene di commiserazione sulla mancata assegnazione di premi letterari, ci sono riflessioni interessanti sulla condizione della donna, sul significato della sua adesione al partito comunista, sul senso che l’amore ha avuto nella sua vita, (vedi le lettere che seguono).
“voi che dovreste essere ‘un chef de femelles’, veramente!”
Leggendo queste sue incredibilmente lunghe appassionate, lamentose lettere d’amore, scritte per circa mezzo secolo a una ventina di uomini diversi — e sempre con uguale ardore e disperazione — mi sono dapprima scoraggiata. Ma come l’autrice di Una donna, quella che aveva avuto il coraggio di mollare marito e figlio, per venire a Roma, fare la giornalista e la scrittrice, lottare per la causa dell’emancipazione femminile, creare scuole nell’agro romano, era capace di morirsi letteralmente dietro ad ogni amore? Che non sono stata la sola ad avere queste sensazioni emerge dal suo diario: infatti Sibilla cita la lettera d’una sua amica che le scriveva nel 1913 a Parigi: “Intanto verrete a pranzo uno di questi giorni? E come passate il vostro tempo? Lavorate un poco? Soffrite un poco meno? Come lo vorrei, mia cara, mia cara amica! Mi sembra impossibile che con la vostra intelligenza, così sviluppata, così chiara, così lucida, voi soffriate, voi, per “un uomo”! Io, ho trovato naturale di soffrire, lo trovo ancora, perchè non mi son mai creduta “intelligente”, io non sono che un’istintiva, nient’altro! Ma voi! Voi siete talmente au dessus della maggior parte degli uomini. Forse ch’essi non dovrebbero essere per voi altro che dei “mezzi”? Voi credete che io non vi comprenda. E spesso temete (lo sento) che io pensi che solo i sensi vi guidino. Ahimè, disgraziatamente no! Non si tratta di questo. Sarebbe troppo facile. È un “sogno” che voi perseguite! Un sogno irrealizzabile, mia cara Sibilla! Un sogno che voi avete avuto l’illusione di mutare in realtà; già più volte, e che s’è evaporato come una bolla di sapone. // tempo delia passione non dura. Non potrebbe durare. È uno stato di febbre, unicamente perchè “il figlio” venga. Poi, che il figlio venga o no, è il periodo del nido, della costruzione del nido. E dopo arriva “l’abitudine”… e l’affetto profondo, e la tenerezza devota, sostituiscono la passione. In tutta la Natura è così! Perciò, i sacrifici alla passione sono, più che inutili, nocivi!
C’è da pentirsene sempre. (E ancora, si sacrificasse solo se stessi! Ma è male, è crudele, sacrificare altri.) E badate che siete voi che create tutto, nella febbre. Voi decorate un uomo, per giustificarvi d’aver la febbre, di qualità esaltanti. Otto volte su dieci egli non le ha. Egli è “come gli altri” suvvia! Egoista fondamentalmente, anche quando per un poco dimentica di esserlo. Brutale (nel fondo), d’istinti bassi, quattro volte su cinque. E non vale le lacrime che noi versiamo in gioventù. Né quelle del tempo di poi che vengono dal cuore! Ma, tutto ciò si può ancora capire per le donne “comuni”. Ma Voi! Voi, la cui fisionomia rivela di primo acchitto l’energia, la volontà, la forza. Voi che dovreste essere un chef de femelles, veramente! Con le vostre idee larghe, chiare, forti, voi dovreste preparare la strada perchè esse, dietro di vói, passino senza agganciarsi alle spine del “sentimentalismo”.
cos’è amare per le donne
Poi però rileggendo con attenzione queste lettere, mi sono chiesta se non fosse invece l’ennesima bruciante testimonianza dell’incredibile capacità d’amare di noi donne e, della reiterata propensità maschile alla fuga dall’amore. La paura che gli amanti di Sibilla hanno d’innamorarsi di lei, la tendenza a abbandonarla dopo periodi più o meno lunghi di passione, riappare come una costante nella vita di Sibilla. Come se nessun uomo per quanto intelligente, potente, o famoso potesse reggere al bisogno di intensità, alla voglia sublime di Sibilla che dopo ogni amore tenacemente vissuto da parte sua, rinasce piena di energia, di voglia di lavorare e di creare. In Sibilla la creatività, il lavoro, la politica e l’amore si integrano in un’armoniosa unità. Unità che Sibilla raggiunge raramente però, perchè gli amori sono quasi tutti infelici: e allora per lei si riaprono antiche ferite (il dolore per la madre internata in manicomio, per la violenza subita dal marito) e diventa incapace di lavorare, di partecipare alla vita politica e sociale: “Stamane mentre Negarville elencava le tappe miracolose percorse dai soviet in questi trent’anni, riandavo a tratti, con la mente, a quel ch’era la mia vita in quello stesso tempo… Che cosa facevo io nell’autunno 1917? C’era stata la disfatta di Caporetto, in Italia. Io abitavo, in quei giorni, sola, in una piccola locanda sul Lago di Como, a Urio. Ebbi là la notizia della morte di Cena. Due mesi prima avevo veduto, per l’ultima volta, Campana, tra le sbarre del suo carcere, a Novara…. Poi verso Natale passai qualche giorno in Riviera, con i Gonzales, poi andai a Capri, sola, qualche settimana, e finalmente a Roma il 21 marzo incontrai Giovanni M., che amai per quasi due anni, tempestosamente. Che ne sapevo di quel che accadeva nel mondo? Nulla ricordo, ed è terribile… Che cosa pensavo di ciò che stava sorgendo in Russia? Mi sembra, sì, che all’annuncio confuso di quella rivoluzione lassù, in quel paese che attraverso i suoi grandi scrittori avevo sempre ammirato, mi sembra d’aver sentito, in una specie di fulminea illuminazione, che un’epoca nuova dell’umanità si apriva, che ivi era l’avvenire e la verità. Sì, questo sentii, nel secreto profondo dello spirito. Ma perchè non ne parlai con alcuno, perchè non ne scrissi una sola parola? Avevo l’anima tutta ancor piagata per la tragica esperienza con Campana, che s’era svolta assieme a quella della guerra, dopo le altre vicende strazianti di quasi un decennio, il distacco da Cena, le passioni assurde e tutte fallimentari per Pa-pini per Gerace per Boccioni per Boine…
personale e politico! «l’aderenza delle donne alla vita”
Ora M. col suo giovine corpo d’atleta, con la sua pazzia allegra,1 così remota da quella di Campana, col suo amore elementare, mi teneva in un vortice di vita per me nuovissimo, entro il quale mi dibattevo* fra compiacente e vergognosa. Vagamente vergognosa. Pur scrissi nell’autunno 1918 gli ultimi capitoli del Passaggio, che uscì nella primavera del 1919, e mi procurò la maggior delusione di tutta la mia vita di poeta, col suo completo insuccesso… Non pensavo alla Russia, no, non ci pensavo, forse non rie sentivo parlare da nessuno, intorno a me. Poi nel gennaio 1920, l’amore per Endimione mi afferrò; anch’esso diverso dà ogni altro, forse più forte d’ogni altro, e per due anni fui tutta solamente un grumo d’adorazione e di sofferenza, sin ch’egli non morì. A Napoli, da lui e da altri, dovevo aver sentito accennare, in qualche momento, al fascismo che stava sorgendo, ma non ricordo quali fossero le mie reazioni, non ricordo. Un anno dopo la morte di Endimione, andai a Parigi. Ero là durante la marcia su Roma. Tornai qui a primavera, incominciai a interessarmi a quanto avveniva, ma senza profonda coscienza. Diedi la mia firma al Manifesto di Croce. Fui una notte in carcere, dopo l’attentato compiuto da Zanibbni. Ma non ricordo d’aver sentito parlare della morte di Lenin, non ricordo, non ricordo.. Oggi questo vuoto della memoria, e, più ancora, questo senso d’esser stata così a lungo estranea, assente, tutta chiusa nelle mie vicende personali, mi sgomenta, mi fa quasi ribrezzo… Come fu possibile? E devo dunque esser più indulgente verso tutti coloro che sono oggi insensibili e non condividono quella che è la mia certezza e la mia azione indomabile? Verso mia nipote Elena, per esempio, che m’ha scritto di non sentirsi comunista? Elena dovrebbe arrivare a Roma domani… Potrò sul suo animo fare un poco di bene, dare al suo animo un poco di luce, e così sentirmi meno colpevole nel mio passato?”
Quando scrive queste righe Sibilla è ormai un’anziana signora, che non ha più ‘vicende d’amore’ in cui rinchiudersi, e perciò forse guarda con eccessiva severità al suo passato. Tempo passato in cui oltre ad amare, ha anche scritto 10 libri, lottato sempre per ottenere pochi soldi che le permettessero di vivere in miseria ma indipendente. Tuttavia è anche vero che Sibilla ha donato (sprecato) una quantità incredibile del suo tempo, delle sue energie fisiche e mentali nel tentare di farsi amare, nei disperati sforzi di trattenere vicino a lei gli uomini amati, nel cercare di evitare l’abbandono, vissuto ogni volta, con disperata freschezza come il primo e il più irrevocabile. E per questi uomini è stata amante, amica, maestra, sostenitrice. Ha dato, dato, dato. Per ricevere spesso solo le briciole del tempo e dell’attenzione dei suoi uomini.
Nelle storie d’amore di Sibilla mi pare di scorgere un problema che ancora adesso grava su tutte noi. Per un insieme di fattori biosociali, e di condizionamenti culturali, noi donne siamo più interessate ad amare e probabilmente più capaci d’amore degli uomini. Ma questa nostra capacità positiva si tramuta spesso in uno strumento della nostra oppressione. Abbiamo contestato il mito della madre che si deve, sacrificare per amore del figlio, ma quante di noi ancora sprecano ore, giorni, forse anni del nostro tempo-spazio di vita, per ‘stare dietro ad uri uomo’, per accudirlo, sorreggerlo, comprenderlo? Quante di noi come Sibilla, dopo le nostre storie d’amore, si trovano a fare un bilancio negativo dello scambio avvenuto?
Sibilla per anni cadde nella trappola della speranza: dopo ogni amore fallito, lei S’illuse di trovare finalmente l’uomo giusto. Intelligente, bella e famosa ne provò più di una ventina, senza accorgersi che il bisogno d’amore che era in lei, che è in ridi, non poteva essere soddisfatto da quasi nessuno degli uomini che conosciamo. Infatti loro e noi siamo cresciute in una società; in cui le donne e gli uomini sono ruolizzati fin dalla culla, in cui i rapporti di lavoro, di potere sono basati sull’ineguaglianza, la sopraffazione del più debole, l’alienazione. In questo contesto l’amore può forse nascere, ma il contesto sociale non può tollerare la sua carica eversiva e lo distrugge o lo cambia mercificandolo.
diciotto anni dopo noi abbiamo perso le illusioni
A noi è chiaro che la sessualità non è qualcosa di semplicemente neutrale immutabile astorico, ma che le capacità d’amore come componente essenziale della persona umana, è profondamente influenzata dai rapporti economici politici e sociali esistenti in una determinata società. Per poter arrivare à godere d’una sessualità meno mutilata e ^frustrante, per ppter arrivare a vivere quelle esperienze di: amore passione che Sibilla ha rincorso tutta la sua vita occorre appunto non tanto (o solo) cambiare uomo, sperando che il prossimo per qualche miracolo d’evoluzione sia “l’uomo diverso”, quanto mutare anche radicalmente le strutture sociopolitiche che incidono sul privato, in cui releghiamo l’amore. Per questo parlare d’adulterio in prima pagina come fanno oggi i quotidiani non è parlare del nostro privato come politico, ma promuovere la mistificazione di massa, d’importazione americana, che solo se si cambia — automobile, dentifricio, uomini — e si sceglie la marca migliore — si arriverà alla felicità. In realtà c’è poco da cambiare, perchè siamo tutti/e condizionate dal mondo in cui viviamo. Dobbiamo continuare a lottare per mutarci dentro e fuori. Non ci sono molte altre alternative . Anche Sibilla nella vecchiaia scrive:
“Ho letto, nel pomeriggio, non so per quale impulso, tutto il fai vicolo dei miei dati biografici (dalla nascita sino al 1940, cioè l’inizio di questo diario). È stata lettura piuttosto deprimente, soprattutto nella seconda parte (sono in tutto più di centocinquanta cartelle del formato di queste). Tutti quegli amori infelici, da quello per Campana in avanti, e inoltre l’eterna vicenda di difficoltà pecuniarie, e quel aver dovuto ricorrere tante volte all’aiuto di amici (per fortuna sempre disinteressati, voglio dire di amici che non m’erano amanti) e purtroppo anche a quello di Mussolini e della regina Elena (anche questi però senza nessun mio atto di servilismo) mi hanno profondamente turbata, e un poco perfino avvilita. Viceversa dovrei, paragonando quei venti, trenta, quarant’anni, a questi ultimi dieci, dalla guerra in qua, e soprattutto a questi ultimi sette, dopo l’adesione al partito, dovrei provare una certa fierezza: per questa mia vecchiaia che si alimenta unicamente dell’amore per l’Idea, e che trova giorno e notte il coraggio di proseguire sentendosi necessaria, nonostante tanta stanchezza, necessaria nella lotta assieme ai compagni…”
Diciotto anni dopo noi abbiamo perso le illusioni che Sibilla si faceva sul socialismo nell’Unione Sovietica, e sappiamo che dentro e fuori i partiti, tocca a noi donne continuare a lottare per cambiare tenacemente questa società, in modo che sia possibile per molte di noi, finalmente anche amare, senza che l’amore assuma un significato di fuga, di reclusione nel privato, di disperazione del quotidiano. Vogliamo occuparci dei nostri bisogni personali e del politico, senza privilegiare neuroticamente gli uni o l’altro conservando sempre quella che Sibilla chiamava: l’aderenza delle donne alla vita: “Sì sono donna, sono umana. Tutto ciò che la mia intelligenza ha riconosciuto dacché si è destata, tutto ciò che il mio spirito ha dominato, non impedisce alle mie fibre di mantenersi materne, non impedisce ch’io abbia un senso di calore e di rispetto per tutto quanto è VITA, semplice vita genuina”,