storia
marmellata, pepe e polvere da sparo
Sheila Rowbotham, storica, autrice di molti saggi sul movimento femminista inglese, ci parla della lotta per il voto in Inghilterra all’inizio del secolo.
perché le suffragette ricorsero al cosiddetto terrorismo, usando violenza contro la proprietà privata e pubblica, rompendo vetrine, sfregiando quadri, dando alle fiamme cassette delle lettere, chiese sconsacrate, castelli e ville di nobili? Quale significato emotivo e politico attribuivano al diritto di voto?
Solo una minoranza ricorse alle azioni terroristiche e ciò avvenne verso la fine della lotta, poco prima della prima guerra mondiale. La lotta per il diritto di voto risaliva al 1850 circa, allorché le donne del movimento Cartista organizzarono a Sheffield la prima riunione di donne per reclamare il suffragio elettorale. All’inizio le richieste erano molto moderate: le donne chiesero anzitutto il diritto di voto per le donne non sposate in quanto si riteneva che la estensione del diritto di voto alle donne sposate rappresentasse una minaccia eccessiva nei confronti dell’ autorità maschile.
Ci fu dunque un lungo periodo di iniziative costituzionali prima di far ricorso a quel genere di tattica. Fu per iniziativa di Emmeline Pankhurst e di sua figlia Christabel che nel 1906 circa si passò dalle semplici petizioni parlamentari all’intervento diretto nelle riunioni politiche che venivano regolarmente interrotte, entrando in polemica con gli uomini politici. “Il Partito Liberale ha intenzione di estendere alle donne il diritto di voto?” era la loro domanda. In questo modo iniziarono le azioni dirette, abbandonando le semplici petizioni e nel 1913 si arrivò anche alla violenza fisica.
Il movimento femminista aveva una posizione unitaria riguardo al metodo di lotta o c’erano disaccordi e di che tipo?
C’erano divisioni assai profonde. L’organizzazione più forte era quella delle cosiddette Suffragette Costituzionali, che erano poi le sole in grado di mobilitare molte persone in occasione delle dimostrazioni. Queste si opponevano alle tattiche militanti, ma una di loro, che è ancora viva, ci ha detto che quando qualcuno chiedeva loro di tenere a freno le altre donne, rispondevano sempre: “beh, tutto questo è il risultato della vostra insensibilità. Cos’altro potete aspettarvi? Se ci aveste ascoltato quando avanzavamo le nostre richieste “da vere signore”, non saremmo a questo punto. Queste donne si sono ribellate a causa della vostra intransigenza”. C’erano poi dissensi anche all’interno della WSPU che non riguardavano solamente gli aspetti tattici ma anche quelli politici. Da un lato Christabel Pankhurst voleva che la lotta riguardasse solamente le donne e non aveva alcuna simpatia per gli altri movimenti, ad esempio il socialismo o il movimento sindacale, mentre la sorella Sylvia era socialista e voleva rivolgersi alle donne della classe operaia e non solo a quelle delle classi agiate. Sylvia fu poi espulsa dalla WSPU nel febbraio del 1914.
A mio parere, una delle ragioni per cui si decise di far ricorso alle tattiche militanti fu il silenzio della stampa sulle riunioni e sulle iniziative delle suffragette. La stampa non si occupava di loro ed esse si accorsero che solo mediante azioni eclatanti, potevano finire sulle pagine dei giornali. Nella loro politica, in particolare in quella di Christabel, era più importante essere notate che costituire un movimento. Christabel riteneva che si potessero ottenere risultati positivi attraverso una massiccia pubblicità e fu una magnifica agente pubblicitaria. La conseguenza fu però l’impossibilità di costruire un movimento di massa, in quanto solo alcune donne potevano partecipare a questo genere di iniziative. A quell’epoca le donne della classe media avevano persone di servizio e quindi una relativa libertà di movimento, mentre le donne della classe operaia con figli -non potevano partecipare alle manifestazioni e non potevano soprattutto correre il rischio di finire in prigione. Questa situazione generò non tanto una vera e propria scissione, ma il sorgere di altre organizzazioni femminili. Nel Lancashire, per esempio, esisteva un forte movimento di donne della classe operaia che cercarono collegamenti con i sindacati, con i consigli aziendali e i lavoratori tessili.
Il terrorismo politico era presente nel quadro politico all’interno del quale operavano le suffragette? A quali gruppi facevano riferimento le suffragette, sia pure in maniera critica, dal momento che usavano la marmellata e il pepe al posto della polvere da sparo?
A quell’epoca in Gran Bretagna non c’era il terrorismo politico. C’era tutta una serie di iniziative militanti, ispirate da alcune idee socialiste, secondo cui era mutile prendere in considerazione il Parlamento e altre cose del genere, e di fatto alcune donne anarchiche uscirono dal movimento delle suffragette in quanto ritenevano che non fosse sufficiente battersi per il solo diritto di voto, portando avanti un’azione nei confronti del Parlamento, ma che bisognasse lottare per l’ obiettivo globale dell’anarchia. In effetti una caratteristica che possiamo definire strana del terrorismo delle suffragette consisteva nel fatto che si poneva obiettivi assolutamente costituzionali e non, ad esempio, il socialismo o la trasformazione dell’intera società. Aveva lo scopo di ottenere misure legali attraverso il Parlamento, ed era quindi un modo strano di usare azioni militanti, violente, per scopi sostanzialmente moderati.
Come era strutturata l’organizzazione del movimento femminista?
L’organizzazione della “Women’s Social and Politicai Union” era estremamente gerarchica, soprattutto negli ultimi tempi, e il terrorismo la rese ancora più gerarchica in quanto dovevano agire in segreto. Christabel Pankhurst era la leader ed era una sorta di eroina ammirata da tutte. A molte donne non piaceva questo tipo di struttura ed una delle scissioni dalla WSPU fu causata proprio dalla mancanza di democrazia all’interno dell’organizzazione. La “Women’s Freedom League” (Lega per la Libertà delle donne), ad esempio, cercò di darsi una struttura più democratica ma anche loro avevano la tendenza ad identificarsi in una figura di primo piano che era, in questo caso, Charlotte Despard. La Lega ricorse ad azioni dirette come il rifiuto di pagare le tasse ed altre cose del genere, ma non ricorse mai alla violenza fisica. Altre donne vicine all’ “Indipendent Labour Party” (Partito Laburista Indipendente), compresa una donna della classe operaia di nome Hannah Mitchell, che era femminista e riteneva che i socialisti non avrebbero mai preso sul serio i problemi delle donne, si staccarono da Christabel e Emmeline, in quanto ritenevano che l’Unione avesse un atteggiamento estremamente strumentale nei confronti della gente: utilizzavano le donne per la causa, ma poi quando erano ammalate o deboli non se ne curavano affatto. Hannah Mitchell scrisse un’autobiografia dal titolo “Hard Way Up” in cui parla della sua delusione.
Com’ era l’organizzazione di Sylvia Pankhurst?
E’ difficile a dirsi: ufficialmente Sylvia era socialista ed aveva come obiettivo quello di coinvolgere nella lotta la massa delle donne della classe operaia, ma leggendo il “Minutes”, la sua rivista — e la medesima cosa mi è stata riferita da alcune donne che avevano fatto parte del suo gruppo chiamato “East London Federatìon” —, appare chiaro che era presente in Sylvia la medesima tendenza della famiglia Pankhurst. Nel “Minutes” la sola persona che parla di politica è Sylvia. E’ lei che dice: “ora dovete fare questo e non quello”, e quando si tratta di appoggiare la rivoluzione russa è Sylvia che decide di appoggiarla e le altre la seguono. Le altre si occupavano soprattutto di andare a scrivere messaggi in terra con il gesso e di altre cose del genere. Sylvia era, anch’ella, una sorta di grande figura isolata anche se era socialista ed aveva intenzione di costruire un movimento di massa. Tutte le Pankhurst avevano un grande carisma ma, al tempo stesso, avevano la tendenza a limitare le iniziative personali delle altre militanti.
Quando fu concesso il voto alle donne inglesi?
11 voto fu concesso il 10 gennaio 1918. All’inizio, però, il diritto al voto fu concesso solo alle donne di oltre trent’anni in quanto ritenute politicamente più responsabili. Ma forse si giocò sul fatto che le donne, pur di non ammettere di aver compiuto i trent’anni, avrebbero rinunciato ad esercitare questo loro diritto. Alcune versioni liberali della storia tendono ad accreditare la versione secondo cui il voto è stato concesso alle donne per il loro atteggiamento patriottico durante la Prima guerra mondiale. La realtà è che forse si ritenne utile mettere a tacere le donne, in quanto dopo la guerra i soldati che ritornavano dal fronte e la classe operaia erano estremamente battaglieri e politicamente impegnati ed erano decisi a non più tollerare che le cose proseguissero come durante la guerra. Per questo motivo si ritenne utile mettere a tacere almeno le donne; in realtà non si trattava poi di una così grande concessione. In Parlamento ci fu comunque una notevole resistenza. Diversi uomini politici appoggiavano la richiesta delle donne, ma c’erano molti esponenti, anche di primo piano, del Partito Conservatore e del Partito Liberale, che si opponevano a tale richiesta.
Quali furono i risultati dell’ottenimento del diritto al voto? Pese fine al movimento o segnò l’inizio di altre lotte?
La storiografia ufficiale considera questo momento come la fine del movimento delle suffragette. Dobbiamo però ricordare che prima della Prima guerra mondiale c’erano state molte donne che consideravano il diritto al voto come un aspetto di una più vasta lotta per ottenere trasformazioni sociali a favore delle donne, e le femministe si erano interessate al problema dell’assistenza sanitaria a favore delle donne incinte e delle puerpere, al problema degli asili nido, al problema dell’ educazione antiautoritaria negli asili, al divorzio ed era perfino apparso un giornale, il “Free Woman” (La donna libera), che si proponeva di creare una nuova moralità. Di fatto — dopo la Prima guerra mondiale — molte donne confluirono in altri movimenti: alcune entrarono nei movimenti per la pace, interessandosi alla Società delle Nazioni Unite, altre nel movimento socialista e nei sindacati, altre presero ad occuparsi della condizione della donna in altri Paesi, come l’India per esempio. Le donne militanti si occuparono dunque di cose diverse. Continuò comunque ad operare una organizzazione femminista, ma nel suo ambito si andò sviluppando un dibattito tra le donne che volevano battersi per l’uguaglianza dei diritti con gli uomini e le femministe che ritenevano che esistevano differenze biologiche che dovevano essere prese in considerazione. Tali femministe, note come “Nuove femministe”, ponevano l’accento su problemi come il controllo delle nascite, l’aborto, l’istituzione di centri sanitari per le donne in stato di gravidanza e per le puerpere, la concessione di sussidi familiari che dovevano servire a mantenere la donna e i suoi figli, senza dover dipendere necessariamente dal marito. Le nuove femministe erano convinte assertrici della necessità di misure legislative protettive a favore della donna, in quanto la donna aveva le mestruazioni o era fisicamente più debole o altre cose del genere. Su questo tema il movimento si spaccò. Il genere di problemi su cui continuarono a mobilitarsi riguardavano misure di previdenza sociale piuttosto che vere riforme politiche. Nel periodo tra le due guerre furono comunque approvate diverse leggi a tutela delle donne e, poco dopo l’approvazione della legge che estendeva alle donne il diritto al voto, fu approvata una legge che aboliva ogni discriminazione sessuale ai danni delle donne. Questa legge fu però priva di contenuti reali.
In ogni caso negli anni venti ci fu la consapevolezza del femminismo come movimento culturale. Dora Russel, ad esempio, parlò apertamente della sessualità della donna e Virginia Woolf affrontò il problema del rapporto tra donna e letteratura e dell’esclusione delle donne da una cultura dominata dagli uomini. Tutto ciò cominciò a svanire negli anni trenta, allorché temi come quello della lotta al fascismo, assunsero maggiore importanza per le giovani generazioni. E ci fu una notevole spaccatura tra la vecchia e la nuova generazione.
Vedi una continuità di pensiero tra “le vecchie” e “le nuove” femministe, intendendo per nuove le femministe della nostra epoca?
In generale penso che non ci sia un reale legame tra i due movimenti, in quanto la maggior parte di noi sono cresciute con l’idea che siamo uguali. Intendo dire che tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta si disse che tutti questi problemi erano tramontati in quanto le donne avevano il diritto di voto e il solo problema era che non se ne servivano. Quindi noi siamo cresciute con questo mito che alla fin fine siamo uguali. C’è voluto l’avvento del movimento femminista per toglierci queste illusioni e scoprire dei collegamenti non solo con il movimento delle suffragette ma perfino con un movimento che si può far risalire al XVII secolo. C’è stata ad ogni modo una continuità, come dire, fisica. Quando abbiamo organizzato il primo convegno femminista ad Oxford all’inizio del 1970, una delle donne che più contribuì alla sua organizzazione, era stata attiva nel vecchio movimento femminista. In quel convegno intervenne Marjorie Corbett Ashby, una suffragetta costituzionale. Anche Dora Russel, che fu molto attiva negli anni ’20 nell’ambito del movimento per il controllo delle nascite, ha sempre visto favorevolmente il nuovo movimento, anche se ritiene che non diamo il giusto rilievo al problema della maternità.