prostituzione
molti miti da distruggere
le interviste, il documento e la testimonianza che pubblichiamo in questo numero sul tema della prostituzione, proprio perché contraddittori tra loro, hanno l’intento di suscitare da parte di tutte le compagne interventi e risposte che ci aiutino ad affrontare questo argomento fino ad oggi scarsamente trattato da tutto il movimento femminista.
Francia 1975: lo sciopero delle prostitute ha messo in luce una rete di conflitti molto diversi. Ci sono stati, in primo luogo, problemi concreti che sono stati oggetto di rivendicazioni (tregua nelle multe e negli arresti, il diritto di una prostituta di tenere i propri figli, ecc.); in secondo luogo, i conflitti personali e «di classe» tra le prostitute stesse (proteste contro le vedette, incompatibilità del discorso «Barbes» e del discorso «Champs-Elysées», ecc.). E, in terzo luogo, si sono avuti gli insuccessi della comunicazione tra prostitute e femministe. Per schematizzare: questi insuccessi erano dovuti alla tendenza «moralizzante o «caritatevole» delle femministe, che mostravano un disaccordo ideologico. Noi abbiamo mal accettato delle frasi come: «tutto il mondo si prostituisce in un modo o nell’altro» e «la prostituzione è sovversiva». Le prostitute, secondo quanto dicono alcune di loro, erano giunte a considerare la sessualità come il famoso «bicchiere d’acqua» di Lenin: per-noi questi bicchier d’acqua non cessava di suscitare tempeste. Bisogna veramente considerare la sessualità maschile come un fattore, di cui i furbi sapranno approfittare mentre gli altri ne subiranno le conseguenze? I libri comparsi in proposito dopo lo sciopero hanno confermato il carattere desolante della miseria sessuale in Francia. Quando il movimento delle donne ha lanciato la battaglia contro lo stupro un anno più tardi, il legame tra stupro e prostituzione non è stato che appena ricordato, ancora meno analizzato. Di fatto nei due casi, si tratta di un rapporto sessuale fondato sul disprezzo e sull’avvilimento delle donne; un atto in qualche modo simbolico: la prostituta e la violenza sono anonime, esse rappresentano «la» donna che l’uomo sottomette alla sua volontà, che questo avvenga per mezzo della forza fisica o per denaro. In questa, misura, ci è sembrato essenziale — a noi, femministe — di lottare, a lungo termine, per la scomparsa dei due fenomeni a costo di passare per il momento attraverso tappe «riformiste».
Negli Stati Uniti, le prostitute si battono per i loro diritti già da qualche anno, ma la loro campagna è fondata esclusivamente sulla legalizzazione del mestiere. Esistono comitati di avvocati specializzati in materia, e soprattutto una organizzazione madre, «Coyote», con ramificazioni in diversi Stati e da tre anni una pubblicazione: Coyote Howls (urla di Coyote). La lettura di questo «giornale intermittente dell’organizzazione delle donne svergognate» è sconcertante per molti versi. In un numero recente, per esempio si trova una lettera di due donne che cercano ragguagli sui boscaioli in Alaska: «abbiamo sentito dire che sono pieni di soldi e senza donne…
Come bisogna vestirsi per non morire di freddo ed essere al tempo stesso attraente? Vi si trova anche pubblicità di saloni di massaggi e servizi di «accompagnatrice, una critica d’un libro che sottolinea che «le donne picchiate sono l’altra faccia della medaglia della prostituzione» e, in prima pagina, questa dichiarazione: «il mondo degli affari trae profitto dalla nostra sessualità. Distrutti dal lavoro che sono obbligati a fare, gli uomini vengono da noi per trovare la gratificazione sessuale e sentimentale di cui hanno bisogno per continuare a lavorare e a fare girare il mondo degli affari. Se noi lavoriamo allo stesso tempo in casa e fuori, i padroni utilizzano la nostra sessualità per attirare i consumatori, per far vendere. L’industria della pubblicità riposa su un legame esistente tra le mercanzie e la suggestione che i nostri «favori» sessuali comportano. Le nostre vite sono consumate affinché il mondo degli affari ne tragga profitti.
“noi chiediamo che finisca la persecuzione
alle prostitute”
Le donne sono sempre più numerose nel rifiutare di essere sfruttate, di lavorare gratuitamente in casa e per un basso salario fuori. Ogni qualvolta che noi esigiamo un salario — sia tramite l’assistenza pubblica o sul marciapiede o in un lavoro fuori casa -— noi lottiamo affinché tutto il nostro lavoro sia retribuito.
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«La prostituzione è un mezzo per ottenere questo salario. Nonostante il governo si sforzi di isolare le lotte delle prostitute, noi rifiutiamo questa divisione. Tutto il lavoro è prostituzione e noi siamo tutte (i) prostitute (i). Ci obbligano a vendere il nostro corpo — che sia per essere alloggiate e nutrite, che sia per denaro — nel matrimonio, sulla strada, in ufficio, in fabbrica. Nella misura in cui noi otteniamo un salario, noi svilupperemo la capacità di rifiutare la prostituzione sotto tutte le sue forme».
«Noi chiediamo che finisca la persecuzione delle prostitute. Chiediamo l’abolizione di tutte le leggi contro la prostituzione». Questo testo è firmato, non dalle prostitute, ma dal «Comitato per il salario al lavoro domestico di San Francisco e di Los Angeles».
quando una lotta comune?
Il miracolo si avvererà? Le donne da casa prenderanno coscienza della loro lotta comune con le prostitute — la dipendenza economica dagli uomini •— e decideranno di battersi con loro per porre fine alla loro schiavitù? In Francia, niente del genere è accaduto, anche se questo manifesto assomiglia ad alcuni analisi teoriche pubblicate dopo lo sciopero (2), Queste sono quasi esclusivamente idee di intellettuali: sia di non-prostitute, sia di prostitute d’«élite». L’approccio di Belladonna, per esempio, è analogo1 quasi punto per punto, a quella di Guattari di fronte alla follia: si mette la «prostituta» al posto del «folle» e si scoprono delle «micro-prostituzioni», «delle specializzazioni parcellizzate», delle scienze pornografiche, in breve, una idealizzazione delia prostituzione (nel senso in cui questa vi si trova trasformata in idee).