austerity

dalla parte delle casalinghe

gennaio 1974

Le misure restrittive adottate dal governo riguardano direttamente le donne. Poiché nessuno ritiene opportuno rilevarlo apertamente lo facciamo noi utilizzando le nostre esperienze di casalinghe e di femministe. L’aumento della disoccupazione, l’aumento dei prezzi e la riduzione forzata dei consumi, e quindi della produzione e dei redditi, incidono in vari modi sul numero delle nostre ore di lavoro, sull’ammontare di ricchezza che ne riceviamo in cambio. È importante quindi vedere da donna come la crisi economica in corso verrà fatta pagare soprattutto a noi con un aumento di lavoro ed una diminuzione del reddito. La discussione tenutasi a Ferrara, di cui quest’articolo è il risultato, ha chiarito alcuni punti, ma ne rimangono molti altri e spetta a tutte le donne il compito di metterli in luce partendo anche dalle loro esperienze personali, dal momento che nelle statistiche ufficiali scompare regolarmente l’enorme massa di lavoro domestico non pagato e gran parte del lavoro pagato. Le restrizioni della spesa pubblica e dei consumi e le misure di austerità imposte dal governo ci riguardano, tra l’altro, per queste ragioni. 1. L’aumento della disoccupazione ci tocca direttamente innanzitutto perché la mano d’opera femminile è la prima ad essere buttata fuori dai posti di lavoro e l’ultima ad essere riassorbita. Ciò significa che la già esigua percentuale di donne che ha un lavoro pagato (circa 5 milioni contro 12 milioni di casalinghe) viene ulteriormente diminuita. In questo modo viene attaccato anche quel minimo di autonomia finanziaria ottenuto dalle donne (sobbarcandosi un altro lavoro in aggiunta a quello domestico) nonostante le discriminazioni pesantissime subite nel mercato del lavoro, quali: l’esclusione delle donne dalla possibilità di un lavoro pagato per i carichi eccessivi del lavoro domestico non pagato, l’addensamento nei settori meno pagati (tessili, ceramiche, ecc.) e nelle qualifiche più basse, gli orari a tempo parziale che significanoparziale in fabbrica e tempo pieno a casa, l’impossibilità di godere dei benefici (gratifiche, premi, ecc) derivanti da un rapporto di lavoro stabile e continuato nel tempo, la difficoltà di maturare il diritto alla pensione, i lavori mal tutelati come quello a domicilio ed i lavori saltuari. L’aumento della disoccupazione vuol dire anche aumento del carico di lavoro domestico. Vengono infatti rimandati a casa giovani, anziani ed adulti delle regioni più povere, in tal modo la riduzione del reddito della famiglia e l’aumento delle persone che vi ruotano intorno costringono a stare più ore in cucina, più ore ai mercati per cercare dirisparmiare, più ore ad impazzire per mediare i conflitti che scoppiano tra generazioni con esigenze diverse in case piccole e scomode ed in quartieri che non offrono spazi sociali. 2. I prezzi salgono, soprattutto quelli dei beni di consumo per le famiglie, e questo oltre ad una ulteriore riduzione dei redditi in termini reali (con lo stesso salario si comprano meno beni) porta anche un aumento del nostro lavoro in casa, ci insegnano proprio a trasformare con lunghe ore di lavoro, in cibi saporiti e nutrienti anche gli ingredienti più poveri e scarsi. L’assurdo modo in cui viene organizzata la distribuzione dei prodotti al pubblico, ci costringe a continui percorsi tortuosi e lunghe attese per andare a comprare le cose dove costano meno o dove, costando uguali, sono più buone. E questo sempre per fare bastare il salario e ridurre i brontolii del capo famiglia. Anche il fatto che i rifornimenti sono più difficili perché le merci ogni tanto scompaiono dai negozi, ci costringe a lunghe ore di code e a conciliare i nostri orari non solo con i doppi turni delle scuole, i pasti degli adulti, gli orari delle visite agli ospedali e degli sportelli della mutua, ma anche con l’arrivo dei camions del kerosene. La diminuzione del reddito reale della famiglia vuol dire anche che non c’è più possibilità di risparmiare qualche lira (lavorando di più) da spendere liberamente, spesso neppure per noi ma per comprare qualcosa per i bambini e la casa. Anche per questo dobbiamo infatti chiedere sempre il permesso o scusa a chi porta il salario in casa. 3. Le case richiedono pia lavoro innanzitutto perché sono fredde e dobbiamo continuamente stare attente a chiudere le porte, a spegnere la stufa e la caldaia quando usciamo, a mettere coperte e borse dell’acqua calda sui letti, a coprire i bambini di notte, a spostare il bucato per giorni tra il bagno e la cucina. Se il petrolio manca pare accettato da tutti che il risparmio debba essere fatto soprattutto sul gasolio del riscaldamento domestico (a Milano manca il 15 per cento del gasolio per il riscaldamento, Il Giorno, 12 dicembre 1973) e nelle ore in cui in casa ci sono solo le donne, tanto tutti sanno che noi in casa non ci fermiamo un momento. Con il freddo la gente diventa nervosa e si ammala di più e tutto ricade ancora sulle nostre spalle. In questa situazione di continuo lavoro e mancanza di soldi per le donne anche i rapporti affettivi con le persone della famiglia diventano difficili ed esasperati. Le donne vedono esaurire la loro affettività nella stanchezza e anche i rapporti sessuali si immiseriscono. I bambini pagano l’efficienza domestica con la freddezza e l’esasperazione delle madri che a forza di fare le missionarie che non si difendono coinvolgono nella loro miseria tutti quelli che dipendono da loro.