Il piccolo gruppo

il piccolo gruppo

gennaio 1974

Struttura di base del movimento femminista

Molti sono gli equivoci e ì malintesi sul significato del piccolo gruppo di presa di coscienza, che si può dire l’unità di base di quasi tutti i movimenti femministi. Non è nulla di nuovo, dicono alcuni, le donne si son sempre riunite per lamentarsi e recriminare contro mariti, padri, ‘fidanzati ecc.

Il piccolo gruppo non è una semplice occasione di sfogo delle nostre infelicità e delle nostre frustrazioni. Mentre gli sfoghi servono a scaricare animosità e risentimenti, per poi permetterci di tornare nelle nostre case più docili e rassegnate di prima, il piccolo gruppo ha invece uno scopo ben preciso: quello di individuare le cause che determinano le nostre infelicità.

Altri, più sofisticati, lo considerano come un gruppo di psicoterapia. Anche questa interpretazione è inesatta. La parola stessa “terapia” presuppone che qualcuno sia malato. A parte che nello stesso mondo di cultura maschile si incomincia giustamente a contestare il concetto di “malattia mentale”, definendola invece come “conflitto con la società”, noi donne sappiamo di non esser malate, bensì costrette in condizioni di inferiorità sociale non giustificabili e in “ruoli” prestabiliti e imposti in cui non ci riconosciamo. Inoltre la psicoterapia si prefigge lo scopo di reintegrare persone disadattate nella società, mentre noi vogliamo che sia la società a cambiare. Né ci illudiamo che il piccolo gruppo sia la soluzione ai nostri problemi. Anzi, proprio la consapevolezza che i problemi di ogni sìngola donna hanno dei tratti comuni e generalizzabili per tutte le donne, ci fa comprendere come siano impossibili soluzioni individuali: come non esistono neri liberi in una società razzista, così non esìstono donne lìbere in una società sessista.

Ma che cos’è dunque il piccolo gruppo di presa di coscienza? È un numero limitato di donne (dalle 6 alle 10) che si incontrano periodicamente (almeno una volta alla settimana) per parlare di sé, della propria vita, delle proprie esperienze. Non si fanno discorsi astratti, discussioni ideologiche. Queste presupporrebbero che noi sapessimo già quello che siamo e quello che vogliamo o che accettassimo le definizioni che la cultura maschile ha sempre dato di noi. Il principio è quello della “politica dell’esperienza”. Non quindi una politica che discende da una ideologia bell’e fatta, ma che parte dalle esigenze di base. Il momento ideologico può esservi, ma come punto, d’arrivo, e sempre da verificare e da rimettere in discussione. Inoltre arrivare a un gruppo di presa dì coscienza con “opinioni” precostituite, significa portarci appresso tutte le difese che ci siamo dovute costruire per sopravvivere e cheinvece impediscono una visione chiara della nostra realtà. Non vi sono come in altri gruppi di lavoro o di azione politica, esperte che abbiano la funzione di guidare o di interpretare le nostre storie. La sollecitazione non viene necessariamente dalle più. “preparate”, ma da quelle che hanno maggior disponibilità all’apertura verso le altre. Le ostilità e i timori nei confronti delle altre donne cadono e gradualmente si crea una atmosfera di distensione e di fiducia, che è la presenza della solidarietà femminile. Solidarietà che dovrà estendersi a tutte le altre donne, e che è la condizione prima per la riuscita della lotta di rinnovamento della società.

Con il piccolo gruppo noi iniziamo un processo di ricerca e di scoperta dì noi stesse, partendo proprio da quegli aspetti che il mondo politico maschile ha sempre trascurato: il mondo degli affetti, delle emozioni, la sessualità, la vita familiare. La vita è stata arbitrariamente divisa in due parti: l’esterno (il mondo della produzione, le guerre, la ricerca scientifica, la “cultura”, ecc.) affidato agli uomini, l’interno (la casa, la famiglia, gli affetti, ecc.) lasciato alle donne. Solo l’esterno ha quindi vera dignità politica; l’interno, proprio perché “cosa da donne” è stato relegato nell’ambito del privato, del personale e quindi non comunicabile.

Questa arbitraria divisione della vita, che rispecchia e mantiene l’egemonia dell’uomo sulla donna, e l’isolamento fisico e psichico delle donne all’interno della casa hanno impedito finora che il “personale” diventasse “politico” e che le donne si organizzassero per una lotta autonoma. Nel piccolo gruppo le donne, attraverso lo scambio ed il confronto delle proprie storie ed esperienze prendono coscienza dei dati comuni della loro oppressione, cessano dì incolpare se stesse della situazione in cui vivono, ne identificano le cause esterne e rivolgono contro di esse la loro rabbia. Rabbia non più autodistruttiva come quella che rivolgevano contro di sé o deviavano verso obiettivi sbagliati, come ad esempio le altre donne o i figli, ma liberatoria e costruttiva in quanto tesa al cambiamento dei rapporti con la società,

Il processo è iniziato e non sarà facile fermarlo. Certamente non sarà indolore per nessuno: per gli uomini, che dovranno rinunciare ai loro privilegi, per noi donne che troviamo sempre più diffìcile accettare compromessi dì vita e che dovremo assumere in pieno le nostre responsabilità.

Ma almeno finalmente cominciamo ad esistere, a volere e ad imporre le nostre esigenze.