un antifemminista al mese

paolo sesto

gennaio 1974

L’antifemminismo ecclesiastico essendo un dato storico sembrerebbe anche inutile puntualizzare dove e come un Papa sia stato più o meno antifemminista di un altro, ed anzi sarebbe meglio dire antidonna. L’antifemminismo della Chiesa è incominciato nel momento stesso in cui s’è smarrito il sentimento evangelico di pietas, che le parole del Cristo esprimono per donne come la Maddalena o l’adultera. Prima del Vangelo, il Vecchio Testamento, come le concezioni pagane classiche, greco-latine, dell’uomo e della donna, non lasciavano spazio alla autonomia femminile, se non forse, nell’ambito della civilizzazione greca, alle poetesse, come Saffo, alle maghe, come Medea, e le une e le altre, tuttavia, erano per la moralità pubblica inquietanti.

 

E non è un caso che nei focolari romani dominati dal culto della virilità, dal pater familias, le donne fossero state le prime a farsi cristiane, intuendo, nella nuova religione, una virtù consolatoria per tutti gli emarginati. Da San Paolo in poi, invece, passando per le diatribe tomistiche se le donne abbiano un’anima oppure no, fino ai roghi quattro-cinquecenteschi delle streghe, la Chiesa, man mano che cresceva e si immedesimava nelle strutture del potere, accresceva e accentuava la propria coloritura antidonna. Per cui i pronunciamenti dei Papi moderni a proposito di noi non sono altro che segni di coerenza con la dottrina autoritaria ecclesiastica. (Che poi anche i cattolici del dissenso, oggi, fatichino ad aprirsi ai problemi della condizione femminile, è un altro discorso che va tenuto a parte).

 

Quindi qualche brevissima citazione, qualche riferimento, basteranno. Se Pio X, probabilmente segnandosi a scongiurare i demoni, alle donne cattoliche che gli chiedevano di poter fondare un Movimento rispondeva: “La donna? Che la preghi, che la tasa, che la stia in casa”, Pio XI, a proposito della emancipazione della donna attraverso il lavoro, tuonava “Si tratta senza dubbio di una corruzione dello spirito della donna e della dignità materna, di uno sconvolgimento della famiglia…”

 

Sono invece valutabili concretamente i danni che la persistenza dell’atteggiamento antidonna da parte della Chiesa ha prodotto, ponendosi come concausa, almeno, di arretratezza, nel tessuto della società civile italiana: il discorso alle ostetriche, tanto per fare un esempio, pronunciato da Pio XII nel 51, e quello del 1956, bastavano a bloccare tutte le ricerche, nel nostro paese, e le sperimentazioni pratiche del parto in anestesia, che il Papa, nella sua infallibilità di maschio presumibilmente casto e, ad ogni modo, per dogma, non-generatore, riteneva peccaminoso, dando invece il suo assenso ‘illuminato’ al parto ed naturale, o psicoprofilattico, pur con l’avvertimento che “messo di fronte alla scoperta scientifica del parto senza dolore (n.d.r. che era poi soltanto lo psicoprofilattico) il cristiano si guarda bene dall’ammirarla senza riserva o dall’utilizzarla con premura esagerata…”. Da notare, come chiosa al linguaggio pontificio, che neanche parlando di partorienti, inevitabilmente donne, quindi, i Papi riescono a volgere al femminile le desinenze (cristiana invece che cristiano).

 

In quanto a Paolo VI egli s’è confrontato direttamente con la questione femminile sui due temi degli anticoncezionali e dell’aborto, a proposito dei quali, oltre ad esprimersi in prima persona, (salvo il pluralis maiestatis) ha ispirato e continua ad i-spirare l’episcopato italiano nei suoi periodici anatemi: mentre un antifemminismo più sottile potrebbe rintracciarsi anche in quel suo discorrere del diavolo come di “persona” che, con “proditoria astuzia” può “seminare errori e sventure nella storia umana”. E si sa che quando un cattolico (e quale cattolico, in questo caso) evoca il diavolo, la donna non manca di seguire, come immagine reproba, a ruota. Divorzio, con relativo referendum, femminismo e sacerdozio alle donne sono gli altri temi, infine, che hanno stimolato il pur ambiguo antifemminismo del già Cardinal Montini.

 

Ma andiamo, sia pure sinteticamente, per ordine. L’enciclica Humanae vitae è il primo gesto chiaro, plateale,compiuto da Paolo VI contro la donna. Fin nelle sfumature, là dove si parla di “esercizio responsabile della paternità”, la donna è sottovalutata e quasi annullata come persona. Non persona ma oggetto sessuale è la donna di Paolo VI, se egli terroristicamente ammonisce il maschio italiano medio sulle conseguenze deleterie che l’uso della pillola, da parte della moglie, avrebbe sul suo onore, per l’appunto, virile: “Considerino prima di tutto quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed all’abbassamento generale della moralità”. Proibita la pillola e qualsiasi altro metodo anticoncezionale diverso dalla. “continenza periodica”, (fatto che ha provocato uno choc considerevole in molte donne cattoliche di buona fede) Paolo VI, ed i suoi vescovi, si scagliano, con ancor maggiore violenza, contro l’aborto, sia pure soltanto terapeutico ed eugenico.

 

Riallacciandosi al famoso discorso alle ostetriche di Pio XII, Paolo VI ha ribadito, nel dicembre del 72, come non vi sia nulla che dia “valido titolo giuridico alla distruzione di una vita”. Neppure la salvezza della vita, preesistente, della madre. In questo discorso ai giuristi cattolici, Paolo VI ha poi trovato il modo di inserire la sua definizione del femminismo: “falsi e alienanti distorcimenti… che ripugnano non solo alla morale cattolica ma alla stessa etica universalmente umana”. La Cei, Conferenza Episcopale Italiana, non gli è da meno, asserendo che la carità cristiana riceve stimolo dalla nascita di creature deformi, e ciò proprio nei mesi in cui tutta l’Italia discuteva delle “virtù cristiane” di Maria Diletta Pagliuca, la suora torturatrice dei bambini minorati.

 

Che altro aggiungere? Che mentre condannava la legalizzazione dell’aborto, Paolo VI riceveva in udienza Van Thieu, nelle cui prigioni le donne incinte vengono fatte abortire con getti d’acqua inalati nelle narici ed in vagina?

 

Ultimo tema, interno alla struttura della Chiesa ma non estraneo, indubbiamente, a quella Comunità di credenti in cui i migliori tra i cattolici vogliono oggi identificarla: e sarebbe il dibattito se permettere o no alle donne di diventare sacerdoti e dir messa. È stato Paolo VI ad istituire una Commissione per l’inserimento della donna nella organizzazione della Chiesa (e qualcosa di simile ha fatto anche Nixon, all’inizio del suo settennato). Pochi giorni dopo l’istituzione della Commissione (3 maggio 73), l’ex Santo Uffizio, oggi Congregazione perla dottrina della fede, comunicava che secondo il Papa “fin dall’inizio, dalla ricerca deve essere esclusa la possibilità dell’ordinazione della donna”. Donne a dir messa, mai, anzi di recente è stata loro interdetta anche la lettura pubblica dei Vangeli in chiesa. Le ragioni? Secondo il teologo Gino Concetti, «’Il sacramento dell’ordine è destinato a significare Cristo mediatore. Giacché il mediatore fu scelto di sesso maschile e soltanto per il sesso maschile può essere significato, ne consegue che la ricezione dell’ordine sacro compete unicamente agli uomini…”. Come dire, per variare il proverbio, che “senza pene non si cantan messe”. Del resto, secondo il Diritto Canonico, è d’obbligo l’ispezione corporale del futuro Papa, per accertarne la virilità, e la frase di rito è: «Habet duo et bene pendentes”.