libri di testo

i persuasori occulti

gennaio 1974

Lo studio delle civiltà classiche è uno dei mezzi con i quali nella scuola si sono trasmessi e perpetuati i valori della cultura patriarcale. Ancor più che attraverso lo studio della storia e delle letterature, durante il quale l’alunno potrebbe mettersi in atteggiamento critico, anche se, in una scuola ancora fondamentalmente autoritaria come èla nostra, ciò avviene raramente, questa trasmissione si compie attraverso la pratica quotidiana della traduzione. Davanti al brano che gli viene proposto solo come pretesto per un’esercitazione di lingua, e non per conoscere e valutare quello che vi è detto, l’alunno rivolge tutta la sua attenzione all’aspetto linguistico, e, preoccupatodi coniugazioni e declinazioni, complementi e “costruzioni” varie, si dispone ad accettare acriticamente il contenuto del testo, che agisce come una specie di messaggio sublimale, al limite della coscienza: accade spesso che l’alunno non ricordi ciò che ha appena tradotto, e magari tradotto “bene”, mostrando intelligenza dei nessi grammaticali e dei valori lessicali. Proprio questa indifferenza al contenuto lo espone, in uno stato di indifesa passività, a un’opera di persuasione occulta, che appare nella sua reale portata se si considera che questo tipo di esercizio viene compiuto quasi quotidianamente per anni e anni, nel delicato periodo della formazione dell’individuo.

Nei libri di esercizi passi di autore greco, già tradotti in italiano, sono proposti per la versione in latino; passi di autore latino, ma di argomento greco, sono proposti per la traduzione in italiano; lo stesso episodio si trova sia nel libro di esercizi latini che in quello di esercizi greci. Non una parola di introduzione per dare indicazioni sulla fonte e sul contesto, per storicizzare i fatti e il pensiero, per chiarire e commentare le implicazioni ideologiche. Tradurre e nient’altro che tradurre. Il ragazzo non si rende conto di che cosa stia traducendo, nemmeno se sia un’espressione della civiltà romana o di quella greca o semplicemente dell’autore del manuale, e finisce col fare delle due civiltà un tutto indifferenziato, consegnato a una antichità dai limiti cronologici indeterminati, immobile e abbastanza confusa, ma esemplare. La scelta di questi brani ha una sua coerenza, per cui si può parlare di un “mondo morale dei libri di esercizi”, nel quale l’alunno resta immerso gran parte suo tempo. L’ argomento che ricorre con maggiore frequenza è la violenza in tutte le sue forme: le parole che l’alunno deve tradurre più spesso sono quelle che esprimono i concetti di uccidere, fa strage, combattere, saccheggiare, distruggere, catturare. La guerra appare come l’occupazione principale e costante di questa umanità, anzi la sua naturale condizione di vita. Viene esaltato come eroismo il disprezzo della vita propria e altrui, l’unica gloria è quella che si acquista in guerra, le massime virtù sono quelle guerriere, dell’ammazzare e del farsi ammazzare. L’entità superiore alla quale l’individuo dev’essere sistematicamente sacrificato e la cui misteriosa santità giustifica ogni ingiustizia e ogni sopruso, compiuto nei confronti dei singoli cittadini come degli altri popoli, è la Patria: va difesa, dev’essere resa potente a scapito degli altri popoli, per essa si deve morire contenti, bisogna obbedirle ciecamente, senza chiedersi mai da chi e da che cosa sia rappresentata. Fuori discussione sono l’autorità e il potere, rappresentati da re, consoli, magistrati vari, comandante, padrone, padre, marito, vecchi (questi ultimi solo maschi: le vecchie, o vecchiette, “aniculae”, sono ridicole, loquaci, fastidiose, e senza autorità: “Molto peggio è irritare una vecchia che un cane”. I cittadini, i soldati, i servi, i giovani, le donne devono obbedire. La disuguaglianza degli esseri umani è codificata, la schiavitù è un fatto naturale, i padroni puniscono giustamente gli schiavi pigri o “cattivi” o che tentano di fuggire. Gli schiavi sono proposti alla nostra ammirazione quando si fanno spontaneamente uccidere al posto del padrone. Questo mondo degli esercizi è essenzialmente maschile. La stragrande maggioranza dei brani tratta esclusivamente di personaggi maschili, in una piccola parte di essi si parla in qualche modo anche di donne, oltre che di uomini, e solo un ridottissimo numero di esercizi è dedicato a personaggi femminili, compresi quelli mitici e letterari, come Euridice, Didone ecc. Questa sproporzione a favore dei maschi fa sì che anche dove il sesso non è determinabile o, per la convenzione che “il maschile comprende il femminile”, le donne potrebbero non essere escluse, tuttavia i soggetti vengono inevitabilmente sentiti come maschili: riferite a quella tale confusa antichità, nella quale sembra che le donne fossero una trascurabile minoranza capitata chissà come nel mondo degli uomini, anche frasi come “i ragazzi correvano” o “il sapiente non può essere atterrito né dalla povertà né dalla morte” è ben difficile che non facciano pensare solo a uomini.

In questo mondo maschile quale valore hanno le donne? I termini stessi “donna” e “femminile” sono sempre in accezione dispregiativa. Diogene per esprimere la sua ammirazione per Sparta e il suo disprezzo per Atene, chiama l’una “sede di uomini”, l’altra, di donne. Pericle, all’annuncio della morte del figlio, non vuol mostrare segno di dolore “al modo delle donne”, ciò che sarebbe disonorevole. Ad Alcibiade ancora ragazzo, venuto a contesa con un coetaneo, questi rinfaccia di averlo morso “come le donne”, parole che costituiscono un insulto sanguinoso, per cui quello risponde che l’ha morso “come i leoni”. Per presentare la spregevole figura morale di Sardanapalo si dice di lui, nel giro di otto righe, che era “più effeminato di una donna”, stava “nel gregge delle donne”, davanti al pericolo cercò un nascondiglio “come sono solite fare le donne”. Per contro i termini “virile” e “virilmente” sono sempre in accezione laudativa e quando eccezionalmente sono riferiti a una donna, la riscattano dalla inferiorità femminile, innalzandola al livello dei maschi: quando si riferisce del comportamento non spregevole di una donna, immancabilmente se ne sottolinea la “virilità”: Tamiri, la regina degli Sciti, che non si spaventa per l’arrivo dei nemici, si comporta ovviamente non “muliebriter”, ovvero “animum praebuit virilem”. Le donne di cui si fa menzione individualmente sono quasi sempre figlie, mogli, madri, o ancelle di un uomo, in funzione del quale sono definite: la madre di Dario, la moglie di Cesare, le figlie di Dionisio. L’unico destino della donna sembra essere quello di essere “data” o “presa” in matrimonio: le espressioni stesse “nuptum dare” o “in matrimonium ducere” o “in matrimonium habere” suggeriscono la estrema passività della donna, quasi di animale o di cosa. Nelle contrattazioni matrimoniali non si accenna mai al consenso della donna. Gli alunni e le alunne devono anche tradurre frasi come: “I Traci compravano le donne dai genitori”. Le donne anonime, mulieres, puellae, aniculae, le rare volte in cui compaiono, “piangono” o “temono”, mentre gli uomini agiscono, o sono condotte in schiavitù dal vincitore di una guerra alla quale non hanno in nessun modo partecipato. Ecco una piccola raccolta di esercizi scelti in libri in uso nelle scuole medie superiori. “Donna, alle donne il silenzio porta ornamento”. “Alle fanciulle si addice il silenzio”10. «Gli uomini devono obbedire alle leggi dello Stato, le donne invece alle esortazioni degli uomini” n. “Le donne devono occuparsi dei loro lavori (domestici) e non di politica”. “I figli maschi sono detti colonne della casa”. “Democrito diceva: Essere comandati da una donna è grande viltà». “Il mare, il fuoco e la donna sono tre mali”. “Le donne obbediscono agli uomini, poiché l’uomo è capo della donna come Cristo è capo della Chiesa”. “Socrate diceva che ringraziava gli dei in primo luogo perché era essere umano e non animale; poi perché era uomo e non donna; in terzo luogo perché era greco e non barbaro”.

Brano per la traduzione dall’italiano in latino, titolo: “Aristone”. “Aristone, re di Sparta, non avendo avuto figli né dalla prima né dalla seconda moglie, volle sposarne una terza”: evidentemente le mogli, se non servono per averne figli, non hanno più alcun valore. Ad un suo amico “promise di dargli in dono quella delle cose sue che egli scegliesse e invitò l’amico a fargli la stessa promessa”. Poco dopo l’amico “scelse quello che gli pareva dei tesori di Aristone e questi domandò a sua volta di sposare la moglie dell’amico”. La moglie è dunque una “cosa” di proprietà del marito, alla stregua delle altre cose, e quindi può essere donata senza tenere in considerazione la sua volontà. Infatti il marito, sebbene costernato, “lasciò condur via la moglie”: che la moglie sia persona e non cosa e che quindi non possa rientrare nei termini della promessa reciproca non sfiora nemmeno la mente dei due uomini. Nel brano non si accenna affatto alla reazione della donna in questione. Il compilatore del libro degli esercizi non ha sentito il bisogno di commentare in alcun modo l’episodio scelto e di neutralizzarne la brutalità, con una critica opportuna.

“L’astuzia del fanciullo Papirio”, brano per la traduzione dall’italiano in latino. Un senatore ogni giorno portava con sé nella curia il figlio Papirio di quattordici anni. Un giorno il senato aveva trattato intorno a una questione di grande importanza”. Alla madre che a casa gli chiese che cosa avessero deliberato i senatori quel giorno, Papirio fece credere che avessero discusso se fosse più utile allo Stato che un marito avesse due mogli o una moglie due mariti, mettendo così in grande angoscia la povera donna, che cercò di mobilitare le altre per impedire che fosse cambiato il matrimonio. “I senatori lodarono la segretezza” del maligno ragazzino. Dove si vede che a un ragazzo di quattordici anni è data più fiducia che a qualsiasi donna, per cui egli, tutto compreso della sua superiorità di maschio, arriva al punto di beffare sua madre. “Lucrezia, donna perfetta”, brano per la traduzione dal latino. I giovani ufficiali romani, che durante l’assedio di Ardea passavano il tempo in banchetti e nella baldoria, mentre gozzovigliano, parlano delle loro mogli e, riscaldati dal vino, decidono di andarle a trovare di sorpresa per vedere quale si comporti meglio. Mentre le altre mogli sono trovate intente a spassarsela con le campagne in lauti conviti, esattamente come facevano i mariti inquisitori, e perciò riprovate, Lucrezia sta filando, a tarda notte, tra le schiave, come se fosse una schiava essa stessa, e perciò viene giudicata una “donna perfetta”, come dice il titolo del brano. Nel quale si vede che l’ideale proposto alla donna dagli uomini, Ideale che quel titolo sembra indicare come ancor valido, è sempre stato quello servile e che la moralità della donna è in funzione dell’orgoglio del marito, che si vanta delle virtù della moglie così come potrebbe vantarsi dei pregi di qualsiasi altro suo possesso. Anche nei testi delle altre materie le donne o sono escluse o sono mortificate: nel manuale di storia non si parla di loro se non per caso o in appendice, anche il femminismo dell’età moderna vi è ignorato; la letteratura che si studia è maschile, sia per gli autori scelti, quasi tutti uomini, sia per il punto di vista espresso nelle opere considerate; nel manuale di storia della filosofia l’alunna potrà trovare altezzose definizioni della sua inferiorità.

Questo atteggiamento antifemminista dei libri di testo appare in tutta la sua gravità se si considera che essi costituiscono una delle principali strutture della scuola, ancora fondamentalmente autoritaria e nozionistica: I’ insegnamento si svolge ancora leggendo, spiegando, assegnando le pagine del libro di testo, che prolunga e sostituisce la figura dell’insegnante, del quale ha un’autorità perfino maggiore.

Attraverso il libro di testo, prestabilito e inderogabile, la scuola si pone non come il luogo dove sono offerti all’alunno gli strumenti e lo stimolo per una ricerca personale, ma come depositaria e trasmettitrice di una «Cultura» prefabbricata e sistematica, con una pretesa di completezza e di assolutezza che rende più offensivo il pregiudizio antifemminile di cui si fa portatrice. In questa scuola, su questi libri, Io studio diventa per la ragazza un condizionamento masochistico e il danno che ne riceve nel delicato periodo della sua formazione è incalcolabile, tale da non poter essere giustificato dall’apprendimento del latino o del greco o delle altre materie che, comunque potrebbero essere apprese meglio in altro modo. Questi libri le ribadiscono e confermano ciò che’, quando giunge alla media superiore, essa ha già recepito dalla famiglia, dalla società, dalla scuola frequentata precedentemente: l’essere donna è negativo, in un mondo dove il positivo è rappresentato dal maschile. Non può che trarne il senso della propria inferiorità o, nel caso che, per reazione, rifiuti, a livello profondo, la propria femminilità, venire a mancare del senso della propria identità.