disavventure

la risata di Lazzarilla

giugno 1982

si era alzato, aveva fatto il giro della scrivania, le era alle spalle e gliele massaggiava spingendosi fino all’attaccatura dell’ascella e un centimetro oltre…

 

”Mi dica chi è lei in tre righe” ingiunse il direttore, I suoi piedi non toccavano terra, sollevato com’era sulla poltrona di pelle del suo ufficio di professionista arrivato. Dietro i vetri, dipendenti si muovevano come formiche con ritmo chapliniano.

Lazzarilla balbettò. Dov’erano le frasi immaginate, dove si era nascosta la sicurezza con la quale all’inizio entrava in quei mondi sconosciuti?

Che succede, Lazzarilla, che succede, ti hanno spezzato la schiena, hanno ballato sulla tua forte colonna vertebrale di sauro gigante fino ad incrinarla, ti stanno precipitando tra gli invertebrati dell’era moderna, finirai di fronte a un video, Lazzarilla, e allora… ”E perchè vuole fare questo mestiere?”.

Perchè l’ho imparato, perchè lo so fare, perchè l’ho amato, perchè oggi lo odio, perchè io sono questo.

’’Non mi ha ancora risposto. Chi è lei?”.

Ah! Una volta, decenne, Lazzarilla aveva risposto: un po’ di mio padre, un po’ di mia madre, ma soprattutto me stessa. Ma oggi perlomeno ci sarebbero voluti tre libri per spiegare che lei non corrispondeva alla definizione metalinguistica del suo stato sessuale, che per giunta era sparito. Altri tre per esporre la sua teoria del superamento del dualismo manicheo, che fondava la logica dell’uomo che aveva di fronte. Tre ancora per spiegargli tutti i passaggi che avevano portato le dee madri a diventare le sirene di Andersen. E poi c’erano tutti i dati sull’occupazione femminile, correlati al panorama economico e politico nazionale e internazionale. L’Idra aveva estratto la testa dalla sabbia ed Ercole l’aveva di nuovo incendiata, questo era il punto. ’’Qui non siamo all’università. Chi è lei?”.

Lazzarilla depositò sulla scrivania le dieci pagine di curriculum (che avevano strabiliato perfino gli automi in servizio all’ufficio di collocamento) e la decina di documenti che portava sempre con sè, da un po’ di tempo, proprio per poter rispondere a domande di quel tipo. Da lì risultava che lei era iscritta a, che frequentava il, che fruiva di, tutti seguiti da cifre che un giorno Lazzarilla aveva sommato giungendo quasi al milione. Mancava sempre però la tessera di un partito, e un buon certificato di nascita, o perlomeno di matrimonio, un buon cognome, insomma, di quelli che mettono sull’attenti, e che valorizzano qualunque individuo.

Sono un uovo sodo senza buccia, tagliuzzato da lamette. Sono un cane senza padrone che cammina lungo l’autostrada del Sole e non trova l’uscita. Sono il fantasma che hai paura di veder apparire dietro il vetro della tua finestra, urlò Lazzarilla, rimanendo muta. Cosa resterà di queste angoscie, di queste umiliazioni? Ricordarle, scriverle per non dimenticarle, significa portarle appresso. Dimenticarle significa perdere il senso degli eventi e accettare la sorte come un annegato l’onda che lo porta. Farle leggere: gettare un sasso che non si sa dove cadrà.

Sono senza lavoro. Avrei mai pensato di disperarmi per questo? Il contratto sociale è disfatto, non è mai stato applicato.

Nella tenda del capitano — compitò mentalmente Lazzarilla, mentre il direttore si era lanciato in un monologo sui doveri della professione — abbiamo trovato degli appunti./

Il manoscritto parìa di uccidere il re. / Le nostre facce si deformano in un’imprevista vecchiaia. /

Solo adesso ci accorgiamo: siamo qui da anni./

Il castello si difende bene. Gli elmi pesano sulla fronte. /

Non conosceremo l’Aleph. Molti si sono consegnati. /

I vanesi diventano gabellieri, pedalini di feudatari. /

Siamo un esercito di disertori lasciato a se stesso. /

Eppure i nostri fuochi brillano più dei lumi del palazzo. /

E volentieri il re scenderebbe a ballare se potesse. Affacciato alla torre guarda una pianura di corpi. /

E solo assieme al ribelle appeso al merlo più alto. /

Datemi un posto di serva!

Lazzarilla ritrovò la dimensione della stanza, e guardò sul tavolo. Fasulli pezzi di carta. Per questo lei se n’è andata. Per questo tra le mie gambe il sesso è scomparso. Orgogliosa, fiera, impunita, ha scelto di sparire, pur di non essere asservita. Per questo mi macero come uva passa in soffitta, scaglio la testa sui muri evitando con mossa esperta il colpo letale. Perchè voglio vivere.

”E ce l’ha la malattia professionale? Ce l’ha?”, chiese il direttore.

”Sì, avevo l’ulcera, e poi mi era sparita anche…”.

”Ah, le è sparita — interruppe il direttore — vede, lei sarebbe sprecata, in una professione come questa, una ragazza deliziosa, comprensiva, come lei”.

Si era alzato, aveva fatto il giro della scrivana, le era alle spalle e gliele massaggiava, spingendosi fino all’attaccatura dell’ascella, e un centimetro oltre. “Io avrei tanto bisogno di una segretaria, una segretaria come lei”. Lazzarilla si alzò e gli sorrise.

E quel sorriso la illuminò tutta dentro, e divenne una risata, lunga, interminabile, che passò oltre il vetro, oltre le mura dell’edificio, e raggiunse la gente nelle case.

Qualcuna aveva detto che quando le donne riusciranno a ridere del mondo, questo sarà loro. 5)-continua