normalità maschile

a 60 anni non è «normale» voler lasciare il marito.
È invece «normale» che un uomo spari alla moglie per impedirglielo.
Questo il parere di medici e poliziotti.

dicembre 1977

è recente il fatto riportato dalla stampa romana il 21 novembre scorso che descriveva come era stata evitata una tragedia. Infatti mio fratello di 30 anni veniva colpito da un proiettile al femore dal padre (che successivamente ne sparava altri cinque) mentre cercava disperatamente insieme alla moglie di evitare che quest’uomo, con una rivoltella acquistata clandestinamente, (gli erano stati fatti togliere precedentemente il porto d’armi e la rivoltella) mettere in atto quanto da tempo andava dicendo: uccidere la moglie. Dietro questo fatto vi sono anni di lotte, di angoscie, di paure di una intera famiglia (1 figlio, 4 figlie, generi, 12 nipoti).
Per mio padre nostra madre è stata sempre un oggetto acquistato con il matrimonio e come tale lui ha sempre preteso di farle violenza sia fisicamente che psicologicamente. Circa due anni fa mia madre, d’accordo con tutti noi, decise che era venuto il momento di sottrarsi, dopo 42 anni, ai maltrattamenti di quest’uomo (la stampa ha insistito sull’«abbandono» perché per i giornalisti e l’opinione pubblica non si distingue ancora tra la decisione di una donna di andarsene da casa per motivi suoi e il fatto di essere «costretta» ad andarsene per non soccombere) .
Da allora abbiamo vissuto nell’incubo della tragedia, infatti mio padre non si limitava a girare tutta l’Italia cercandola e minacciando che se l’avesse trovata l’avrebbe uccisa, (mia madre si era rifugiata a Firenze in un Istituto di suore dove è stata protetta affettuosamente), ma tutte le persone della famiglia venivano danneggiate nei modi più subdoli e minacciati persino i nipoti perché secondo mio padre l’«oggetto» doveva essere rimesso nelle sue mani per essere punita. Non sono serviti a nulla i colloqui con psichiatri e avvocati, i ricoveri di mio padre nelle cliniche, né le denunce e gli esposti ai commissariati ‘(lì si diceva che in fondo era un uomo vecchio, abbandonato e che tutto sommato non aveva ucciso nessuno) da notare che in tutto il periodo ha avuto in casa donne che si sono prestate ad accudirlo in tutti i suoi bisogni e naturalmente da lui maltrattate).
Il Direttore della clinica S. Valentino (psichiatra) è arrivato a dirmi che la «pazza» era mia madre perché dopo 42 anni di matrimonio una donna deve continuare a sopportare il marito anche se la manda all’ospedale per percosse (per lui mio padre non era un uomo da curare; era solo il maschio viziato, dalla mentalità contorta, violento sì, ma da sopportare perché in fondo rientrava nella «normalità»). Nella seconda clinica dove siamo riusciti con mille astuzie a farlo ricoverare ci è stato detto che «bisognava capirlo, cercare di mettere nella minestra qualche calmante», ma non è stata ritenuta opportuna nessuna cura seria.
Quelli che hanno capito meglio il «caso» sono stati i medici generici che lo hanno avuto in cura a lungo per altri disturbi fisici; questi erano disposti a fare un certificato per ricovero anche coatto in clinica chiusa ma dagli psichiatri c’è stato sconsigliato: in realtà sarebbe accaduto che dopo 15 gg. di osservazione, essendo mio padre un simulatore, sarebbe stato dimesso aggravando la già precaria situazione. In tutta questa vicenda dove ancora ci sarà da lottare perché la verità venga messa in luce, appare evidente quanto sia rilevante il fatto che mio padre, essendo uomo, ha avuto tutte le scusanti possibili e inimmaginabili per il suo comportamento «anormale» perché è stato sempre giudicato da uomini. L’unica donna psichiatra alla quale mi sono rivolta (anch’essa con mentalità maschilista) alla mia domanda: «Se mi comportassi io come si sta comportando mio padre cosa accadrebbe?» non mi ha risposto. Sono convinta che sarei stata confinata da tempo in un manicomio a vita.
Mi sembra giusto che un elogio vada da queste pagine a mia madre: è stata una donna forte da giovane quando ha dovuto sopportare tutto per noi figli che certo non potevamo aiutarla, è stata coraggiosa quando a 66 anni si è allontanata da mio padre sapendo a quale rischio andava incontro. Donne amiche, abbiamo molta strada da fare, esiste ancora ‘una schiavitù dalla quale possiamo riscattarci soltanto prendendo coscienza, educando i nostri figli alla parità, occupando dei posti utili, dandoci una mano. Vorrei invitare le donne che hanno avuto esperienze di questo genere, o comunque subiscano violenza, a scrivere ad Effe, a farsi conoscere; se è possibile formare un gruppo che possa aiutare concretamente quelle donne che più hanno bisogno di essere difese.