documento delle lesbiche francesi

marzo 1976

per i medici «flickiatris» (psichiatri-poliziotti) noi siamo delle malate mentali, delle perverse, delle degenerate. Per gli psichiatri-poliziotti «politicizzati» siamo delle devianti, delle nevrotiche, delle invertite, delle infantili.

Per gli psicologi noi siamo delle narcisiste o delle clitoridee. Per i biologi degli errori di natura che hanno un cromosomo di troppo. Per il padre della psicoanalisi noi abbiamo respinto la nostra tendenza eterosessuale.

Per il Padre delle Scritture l’oggetto-donna con la «d» minuscola. Per il padre di 10 figli noi siamo delle anormali.

Per l’uomo normale delle patologiche. Per l’uomo della strada delle sporche lesbiche.

Per l’analista lacaniano siamo individui che non hanno il Fallo ma che lo vorrebbero tanto.

Per i moralisti siamo delle viziose, delle debosciate, delle donne colpite da follia erotica.

Per i super-virili noi siamo «màle-baisées» (maschi-scopate, cioè maschi però passivi come le donne). Per il Papa noi siamo il peccato mortale.

Per il legislatore francese un flagello sociale.

Per i nostri genitori siamo la vergogna della famiglia. Per Ménie Grégoir un angoscioso problema.

Per il partito comunista delle piccolo-borghesi perverse.

Per gli uomini della sinistra delle individualiste piccolo-borghesi apolitiche.

Per la maggioranza sessuale di sinistra una minoranza sessuale. E certe donne appartenenti a organizzazioni di estrema sinistra gerarchizzate ci accusano di fare del terrorismo omosessuale quando noi vogliamo parlare delle nostre relazioni. Per il gruppo «psicoanalisi e politica», che possiede una casa editrice «delle donne», delle librerie «delle donne», e miliardi «delle donne» noi siamo lesbiche settarie, donne falliche, femministe integrate nel sistema maschile.

In breve, noi non siamo donne, siamo mostri.

La repressione per noi è questa; è quotidiana; è dappertutto; è sottile e talvolta efficace.

Non ci si manda in prigione ma:

I medici e gli psicanalisti vogliono curarci, guarirci nel migliore dei casi, mandarci negli ospedali psichiatrici nel peggior dei casi.

La nostra FAMIGLIA VUOLE ASSOLUTAMENTE FARCI SPOSARE.

Al lavoro quando sanno che siamo lesbiche ci tengono d’occhio: ci tendono trappole, fanno allusioni perfide e al minimo pretesto di errore professionale ci mandano via.

AI cinema ci si offre in spettacolo e ci si umilia per far godere i guardoni.

Gli uomini ci vogliono violentare per provarci che siamo maschi-passivi e per farci fare figli e stare tranquille.

La sinistra vuole colpevolizzarci in nome della rivoluzione e della lotta di classe.

Tutte abbiamo conosciuto questo. Non poter mai parlare a qualcuno di noi per timore di essere respinte o addirittura perseguitate; essere obbligali te a vivere nascoste; il peso della | solitudine, l’odio dei «normali» e la £ condiscendenza ipocrita delle perso-à ne tolleranti che comprendono i nostri problemi. L’omosessualità non e un nostro problema: è un problema della società eterosessuale.

La repressione serve:

A giustificare la loro eterosessualità e la loro normalità.

A rafforzare il loro potere sulle donne.

A obbligarci a vivere nascoste.

A dividerci per regnare.

A isolarci le une contro le altre.

A colpevolizzarci.

A ridurci al silenzio.

Perché noi siamo diventate dei capri-espiatori della loro società malata?

Perché noi ci rifiutiamo dì sottometterci alla legge degli uomini fallocratici ed etero-poliziotti.

Perché noi diciamo che la donna non è destinata all’uomo per l’eternità e che i rapporti di forza eterosessuali non sono naturali. Noi non abbiamo bisogno di essere protette da loro.

La famiglia è l’istituzione che giustifica i condizionamenti frenanti per le donne in nome dell’amore per l’uomo e per i bambini, innanzitutto con il lavoro domestico gratuito per il padrone di casa.

Noi combattiamo la normalità sociale che vota la donna al marito, ai marmocchi, alla cucina, alle pentole.

Il nostro godimento non è né una masturbazione a due, né una regressione verso un rapporto madre-figlio; né una caricatura dei rapporti uomo-donna.

È un piacere proprio delle donne, cioè non concordato, misurato, etichettato, regolato secondo i maschi: il nostro piacere.

LA REPRESSIONE NON È UNA FATALITÀ

È nella lotta femminista che noi abbiamo ritrovato la nostra fierezza di essere donne, il nostro amore delle donne, è nella lotta femminista che noi proviamo a costruire la nostra autonomia di donne. È non è unicamente una questione sessuale.

Perché per me amare le donne non è essere omosessuale, è essere lesbica. C’è una differenza tra le due cose. L’omosessualità fa riferimento alla sessualità quindi alle opposizioni etero-bi-omo.

È l’etichetta che ci si appiccica per dividerci tra donne secondo il criterio delle nostre pratiche sessuali;

Mentre il lesbismo evoca per me una polarità femminile, polarità culturale, psichica, affettiva, sessuale, creativa. Per me una cultura di donne, una cultura che riguarda le donne non può essere che lesbica. È anche ricollegarsi con la lotta delle nostre sorelle che, nella storia, hanno combattuto contro il potere maschile.

Saffo, le Amazzoni, le Streghe, Christine di Pisan, Louise Labbé, Olympe de gouge (gouge = donna di facili costumi), Mary Wollstonecraft, Flora tristan, Emeline Pankhurst, Louise Michel, Louise Otto Peters, Madeleine Pelletier, Héléne Brion, Nelly Roussel, Hélen Lange, Virginia Wolf, Re-née Vivien, Valérle Solanas, e molte altre ancora.

È necessario per noi adesso ritrovare il cammino della nostra propria creatività, di darci i mezzi per costruire la nostra cultura, di uscire dal mutismo. Noi non abbiamo alcun modello, alcuna norma. Noi dobbiamo creare tutto tra di noi, è difficile ma almeno si vive, si esiste per noi.

Febbraio 1976