Donne e politica “tradizionale”

è l’ora del confronto

marzo 1976

L’intervista a Nilde Jotti vicepresidente della Camera e militante del PCI da trentanni; vuole essere solo l’inizio d’un lungo e approfondito confronto che noi di Effe vogliamo intraprendere con le donne che militano nei partiti della sinistra e nelle organizzazioni sindacali.

La società italiana sta attraversando una grave crisi economica e politica; e la «questione femminile» rischia paradossalmente di ridivenire marginale proprio quando il movimento femminista ha il suo più grosso momento di crescita.

Per scongiurare il pericolo di un riflusso e per assicurare che la carica di rinnovamento che il femminismo porta con sé non venga dispersa, occorre trovare i modi di incidere maggiormente sulle istituzioni per trasformarle e renderle più aderenti ai bisogni di milioni di donne. Crediamo quindi importante individuare dei punti di lotta comune, dei momenti di unione, tra quelle di noi che scelgono di lottare all’interno delle istituzioni e quelle che preferiscono restarne fuori.

Cominciamo questo dibattito con una discussione con Nilde Jotti, perché è una donna che ha lottato e sofferto per decenni e rappresenta per molte donne un esempio di militanza politica; tuttavia non ci interessa confrontarci solo con le dirigenti, con le leaders; anzi sollecitiamo contributi critici dalle militanti di base, da quelle che sgobbano sui documenti che i grandi capi leggono ai convegni, da quelle che battono a macchina e fanno volantinaggio, dalle dirigenti intermedie che non riescono mai a diventare «capoqualcosa» e dalle compagne uscite dai partiti, sulle tematiche liberazione e emancipazione, su come «la questione femminile» è stata trattata (o bistrattata), e sulle esperienze vissute dalle donne all’interno dei partiti e dei sindacati.

 

Intervista a Nilde Jotti

N – Che tipo di domande vuoi farmi?

D – Pensavo di toccare principalmente due punti: 1) Ritracciare la tua vita, esaminando come il cosiddetto pubblico ha inciso sul tuo privato, e come il tuo vissuto privato ha influenzato la tua militanza politica. 2) discutere alcuni temi relativi alla condizione della donna sui quali le analisi comunista e femminista divergono. Da dove vuoi che cominciamo?

N – Dove preferisci.

D Se pensi alla tua vita, cosa vedi?

N – È il modo di fare una domanda che mi costringe a non risponderti; che significa che cosa vedo?

D Cosa immagini? Quali sono le immagini che ti vengono in mente?

N – Ho l’impressione di essere stata una donna che è stata fedele ad un impegno preso verso se stessa — un impegno preso, mi pare da quando ho cominciato a essere una persona •—. Forse dipende dal fatto che io sono stata costretta per le vicende della mia famiglia a lavorare dall’età di quattordici anni. Ho fatto tutte le scuole medie e superiori dando lezioni, perché altrimenti non si mangiava in casa — non era questione di avere un vestito nuovo, non si mangiava, per cui per me il lavoro è stato un momento di sacrificio ma anche un momento di liberazione importante,

D Com’era la tua famiglia?

N – Mio padre era un socialista, era stato mandato via dalle ferrovie dello stato nel 1923 perché socialista, con un minimo di pensione.

D – E tua madre?

N – Mia madre era una donna di casa di famiglia socialista (i miei non si eran mai sposati in chiesa). Però mio padre, come molti altri socialisti di quel periodo, quando si trovò di fronte al fatto che cominciavano a sorgere organizzazioni fasciste, a quel punto lì, mio padre, piuttosto che mandarmi nelle organizzazioni fasciste mi mandò nelle organizzazioni cattoliche. Diceva: «tra i fascisti e i preti, meglio i preti; poi quando è grande, se è intelligente, si accorgerà che bisogna uscire anche di lì».

D Cosa ti è rimasto della matrice cattolica? Ti ha influenzato?

N – Ritengo che si conservi sempre traccia dei momenti della nostra vita intensamente vissuti, vedi io ho smesso di credere per una crisi di natura intellettuale, non sentimentale. Ho smesso di credere studiando Morale alla Cattolica, perché nel momento in cui si comincia ad avere il senso, come dire, della realtà, delle cause, quando si comincia ad esercitare la ragione, dover rinunciare a capire determinate cose per me è stato intollerabile,

D Si è trattato di una revisione critica delle basi della religione, sul suo ruolo nella società, oppure un disaccordo sulla posizione della chiesa rispetto alla donna?

N – No, io non potevo più credere in certe cose che erano in contrasto con la mia ragione. È stato un fatto molto razionale, razionalistico al limite. Per cui non sono diventata un’anticlericale, anzi mi è rimasto un senso di rispetto per la forza ideale, morale del cattolicesimo, al di là dei formalismi.

D Vorrei ritornare più tardi sulle influenze del cattolicesimo nella tua vita. Prima però vorrei sapere un po’ di più della tua infanzia, la tua adolescenza. Che tipo di educazione hai ricevuto? Per quale ruolo ti si preparava?

N – Prima di tutto questo era il periodo del fascismo, per cui, malgrado gli sforzi di mio padre, quando è divenuto obbligatorio ho finito per essere anch’io nelle organizzazioni giovanili, le Giovani Italiane. In famiglia mi si preparava soprattutto a lavorare perché se no non si campava.

D Cioè, non hai ricevuto da bambina un tipo di addestramento che ti preparava innanzitutto ad essere moglie e madre?

N – Si, tutte le donne l’hanno avuto, credo: «poi quando ti sposi, fai questo, fai quello». Però come forma di educazione, no. I miei erano persone moltosemplici; mio padre aveva letto credo tre libri in vita sua (I Misteri di Parigi, il Fiacre n. 3 e Guerra e Pace) oltre ai Reali di Francia nella sua giovinezza. Mio nonno era una specie di lettore, pubblico, Ai suoi tempi pochi sapevano leggere e lui la sera leggeva ai vicini ‘ I Reali di Francia.

D Anche tu hai avuto la passione dei libri da piccola?

N – In un modo incredibile. Questa cosa mi è venuta da mia madre, che aveva fatto solo la III elementare ma aveva un’intelligenza viva; anche mio padre era un uomo intelligente…

D Insomma roba di famiglia l’intelligenza…

N – (Ride) No, forse mia madre aveva una vivacità intellettuale superiore a mio padre, leggeva tutto, tutto quello che le capitava. Ho un ricordo; avrò avuto quindici anni, mio padre era morto, io dormivo con mia madre nella stessa stanza, di notte a volte mi svegliavo, e lei era ancora lì alle tre di notte, con la luce accesa, con un panno nero sopra, per non svegliarmi, e leggeva, dai romanzi raffinati di Ànatole France alla Cieca dei Portici. Anch’io ho imparato a leggere molto, però selezionando perché studiavo e quindi, malgrado tutto, la scuola finisce per essere un elemento di educazione anche nella scelta delle letture. Soprattutto però volevo imparare: mio padre, ma non solo lui, (era un po’ il motto degli ambienti socialisti di allora), mi ripeteva mille volte: «per vincere bisogna sapere, per vincere gli altri bisogna sapere».

D Oltre a questa formazione di tipo intellettuale, che formazione morale hai avuto? Eri una tipica ‘ ragazza seria ‘? Che idea ti eri fatta dell’amore prima dei vent’anni?

N – Si, c’era il ‘ modello della ragazza seria ‘. Non era neanche un fatto spiegato. Mia madre non mi ha mai detto: «Serio, non serio, quello lo si deve fare, questo no». Direi che c’era una morale naturale, no guarda, non nel senso che l’intendi tu, ma all’interno delle famiglie c’era una norma che si imponeva da sé. In quanto all’amore, in una ragazza prima dei vent’anni l’amore ha un grande posto, grandissimo: è dominante direi. A volte io credo che per ragazze della mia generazione in condizioni economiche diverse dalla mia, abbia avuto, un peso così dominante da determinare la loro scelta di vita. Cioè non studiavano per poi lavorare. Per me invece c’era questo: studiare per avere un lavoro che non fosse fatica bruta.

D Gli eventi politici di quegli anni come ti hanno influenzato, nel tuo quotidiano?

N – Io appartengo a una generazione che ha avuto la gioventù segnata dalla guerra, guerra d’Africa, di Spagna e poi la II guerra. Eravamo dei solitari. Gli amici erano tutti via, facevano sempre la guerra. Bisognava aspettare che si potesse anche amare. Sembra una frase, ma prima dei vent’anni tutte le persone di cui mi sarei potuta innamorare, tutti i miei amici erano sempre in guerra. C’era sempre la guerra, questo peso. Quei dieci anni sono una specie di nube nera sulla testa.

D Quando e come ti sei avvicinata al comunismo? Che cos’è accaduto per mutare la tua vita che sembrava andare in una certa direzione, che includeva l’insegnamento, magari un matrimonio romantico, insomma una vita dentro gli schemi, seppure gravata dalla guerra?

N – Tutte sognano un matrimonio romantico, io non ero diversa dalle altre. Quello che mi ha fatto diventare comunista è stato un insieme di cose: prima di tutto la tragedia quotidiana in cui il fascismo aveva gettato il paese: non avevi più niente, eri disperata. Secondo: in quegli anni ho avuto i primi contatti con ambienti intellettuali anti-

fascisti, che poi ebbero un ruolo nella guerra di liberazione e che in quel periodo facevano solo delle grandi discussioni, dicendo peste e corna del fascismo. Io li conobbi ed ebbero una notevole influenza su di me. Poi determinante fu il settembre 1943, il crollo di tutto, l’invasione al sud, l’occupazione al nord. C’è stato poi un fatto che costituisce il salto di qualità. Il primo morto che vidi era un partigiano, un calzolaio comunista che io conoscevo e che fu ucciso e lasciato per terra, all’inizio dell’inverno 43-44. Ecco, lui per me era uno che si batteva, che si batteva per il mio paese. In mezzo a quella tragedia di tutti e di ognuno di noi, per me si apriva una strada.

D Come è cambiata in concreto la tua vita allora?

N – È diventato tutto molto più faticoso perché c’era la guerra. Il punto fondamentale di quegli anni era sempre uno: vivere. Campare perché non c’erano quattrini per vivere. Poi ho cominciato l’attività per la liberazione: cercare di organizzare le donne, portare volantini. Questo mi ha messo in contatto con tutto un mondo sotterraneo che mi dava una grande forza. Tutto il resto passava in second’ordine. Anche questa fatica della vita, che era molto dura. Per dirti: io ho portato per dieci anni un cappotto senza cambiarlo mai e a quell’età, tra i quindici e i venticinque, un cappotto è importante.

D Poi sei stata eletta deputato, dopo la fine della guerra?

N – Si, prima ero stata consigliere a Reggio, poi deputata all’assemblea costituente; e lì ho conosciuto Togliatti.

D Ecco: questo rapporto cosa ha significato per te di positivo ma anche di negativo?

N – Io credo che il rapporto con Togliatti mi abbia dato moltissimo sul piano personale. Quando tu vivi un rapporto col tuo partner con l’impegno che c’era da parte nostra, è un fatto che riempie moltissimo la vita. Ed è solo ricchezza, non ha peso, dal punto di vista personale. Dal punto di vista, direste voi, pubblico, io ero una donna che faceva politica e militavo nel partito di cui Togliatti era dirigente, e questo fatto pesava.

D – Se non sbaglio, infatti, nel partito c’è stata una forte opposizione al vostro legame, forse anche di tipo moralistico?

N – Non si sono opposti perché non eravamo sposati. Il moralismo c’era ma non era predominante. Il moralismo c’era, non per il fatto in sé, perché ognuno, figurati, no. Era il rapporto con gli altri, la gente. Sai l’Italia d’allora. Te lo dico in difesa loro, anche se io ho sofferto di quest’atteggiamento. L’Italia d’allora su queste cose era terribile. C’era la preoccupazione della ripercussione che il nostro stare insieme avrebbe avuto tra i compagni di base , nell’opinione pubblica soprattutto. Però la ragione per cui c’era opposizione era una ragione più sottile, anzi secondo me, le ragioni erano due. La prima è che il nostro partito s’era formato come un gruppo clandestino e il gruppo dirigente era passato attraverso prove di selezione paurose, il carcere, la guerra di Spagna, le lotte. Per cui c’era nel gruppo dirigente vecchio una solidarietà che diventava persino gelosia possessiva, io ero…

D. l’intrusa.

N – Ecco l’hai detto. Insomma io ero qualcuno che non si sapeva chi fosse: «Sarà fedele, non sarà fedele? Cosa succederà»? Nessuno ha detto queste cose, ma io so che c’erano tutte queste domande nelle teste dei compagni.

D Il gruppo dirigente poi era quasi tutto maschile, tranne due donne che però erano mogli: Teresa Noce di Lon-go e…

N – …Rita Montagnana, la moglie di Togliatti. Quindi ti puoi immaginare. Però la seconda ragione dell’opposizione non era tanto questa, quanto il fatto che collaborare con la compagna di Togliatti era una questione che dava un po’ ombra, ecco dava fastidio. Infatti quando fui proposta al Comitato Centrale nel 1956, ci fu una lunghissima discussione. Alla fine, dopo molti ritorni alla commissione elettorale, si decise di proporre un gruppo di compagne, io non a caso sono risultata ultima con il maggiore numero di cancellature.

Fu pesante assai. E questo vuol dire che questo stato d’animo non era solo dei gruppi dirigenti, ma anche dei quadri del partito nel suo complesso.

D Quanto pesava il fatto che tu eri diversa dalle mogli tradizionali, che facevi politica autonomamente?

N – Io credo che questo fatto delle mogli non sia ancora superato all’interno dei partiti. Questa è una delle ragioni per cui molte compagne, mogli di com-

pagni dirigenti, preferiscono lavorare fuori del partito piuttosto che all’interno. Perché sanno così di garantire a se stesse e al proprio compagno un’area di tranquillità.

D Insomma un tentativo di scindere il privato dal politico. In ogni modo, oltre a non esserci mogli di compagni dirigenti inserite ad alto livello nel partito, non ci sono neppure molte dirigenti tout court. Perché sono così poche? (Vedi riquadro)

N – Credo sia un fenomeno di carattere generale, che non è da imputarsi come colpa al partito comunista. Secondo me, nel nostro partito c’è spazio per le donne. Quello che io trovo é che c’è una certa lentezza nel passare da un impegno politico delle compagne nel settore femminile ad un impegno nel settore diciamo «generale».

D Allora che senso ha tenere le commissioni femminili? Non è riproporre un ghetto per militanti donne?

N – Qui c’entra un altro discorso: quello di far andare avanti i temi della politica femminile tenendo conto appunto del maschilismo, per dirla con un vostro termine. Tu non puoi dimenticare che i partiti sono fatti da uomini che vivono nella società e che si portano dietro tutti difetti di questa società, tra cui anche questo atteggiamento discriminatorio verso le donne. Per vincere questi difetti i partiti devono ricorrere a dei grandi atti politici e noi ne abbiamo fatto di grossi. Basti pensare al voto alle donne proposto al consiglio dei ministri da De Gasperi e da Togliatti.

D E infatti con la partecipazione delle donne alla resistenza, qualcosa subito dopo sembrava essersi messo in moto. Ma le donne per chi, per che cosa hanno combattuto? Son tornate in massa a casa a fare le mogli e le madri. Negli anni cinquanta poi c’è stato come un seppellimento della questione femminile nel PCI.

N – Negli anni cinquanta c’è stato un periodo di stasi, perchè secondo me è prevalso all’interno del partito il peso delle preoccupazioni economiche e sociali, per cui tutto il movimento femminile si è sentito impegnato sulle condizioni di vita delle masse popolari. Questo periodo é andato dal 1948 fino alla legge per la tutela delle lavoratrici madri.

D E poi?

N – Nel ’53 in un depliant fatto per una campagna d’adesione all’8 marzo, per la prima volta si parla di emancipazione femminile di diritto al lavoro e di servizi sociali. Negli anni successivi si delinea con molta chiarezza sul piano ideale e della iniziativa politica ciò che noi abbiamo chiamato «questione femminile».

D Ma non avete parlato della cosiddetta condizione privata della donna, dei suoi ruoli come moglie e madre, dello specifico della condizione della donna. Insomma é stata ignorata la questione dei ruoli sessuali, su cui il neofemminismo ha poi centrato la sua analisi. Nel movimento femminista si é spesso postulato che questo sia accaduto, oltre che per ragioni storiche obiettive, anche perchè le donne che fanno politica e carriera nei partiti tradizionali spesso si adeguano a dei modelli maschili e finiscono per dimenticare i loro problemi come donne. Quest’adeguamento a un modello maschile é avvenuto anche per te, per altre compagne dirigenti? L’adeguarsi ad una mentalità maschile che prezzo è costato? Si è per esempio espressa nel fatto che, come donne dirigenti, non avete osato portare questo problema dei ruoli, che suppongo sentivate?

N – Non l’abbiamo sentito. La questione é che non ne siamo state consapevoli, noi stesse: prese da altri problemi, non é venuto il momento in cui questo prendesse forma di teoria, di principi, chiamalo come vuoi.

D – Al di là della teoria, nella vostra esperienza di vita…Tu affermi di aver avuto un rapporto paritario con Togliatti, va bene, ma tutte le altre dirigenti pure? Nessuna che si lamentasse?

N – Io penso che la maggior parte di loro siano riuscite ad essere dirigenti, a fare politica attiva, proprio perchè si erano costruite un rapporto paritario coi loro partners.

D Avendolo tenuto per sé non si sono preoccupate di porlo come problema generale, come questione politica?

N – In concreto nella loro vita se lo sono posto il problema dei ruoli. Per esempio se ne andavano per giorni, e i mariti restavano coi figli..

D Allora se in concreto questo problema lo affrontavate, forse é stata la rigida distinzione tra privato e pubblico esistente nel partito che ha impedito la teorizzazione della questione dei ruoli?

N – No, non é cosi. Questa cosa del pubblico e del privato non l’abbiamo pensata in questi termini. Non so se é stato un errore, ma noi non l’abbiamo pensato, quindi non é che noi, abbiamo soffocato questo fatto per farne venire avanti un altro. Noi eravamo consapevoli di questo fatto: é una cosa diversa.

D Sto cercando di capire come mai. Insomma vi eravate lette Engels, Lenin.

N – Si e sopratutto Engels, Lenin e persino un discorso di Stalin sulla donna schiava due volte.

D Insomma esistevano le basi teoriche per mettete in discussione i ruoli. Una non si sorprende che le dirigenti democristiane non abbiano mai posto in questione i ruoli, perchè la loro ideologia razionalizza come naturale la missione d’angelo del focolare della donna, ma voi del PCI…

N – Perchè per noi il centro della emancipazione femminile sta nel rapporto donna-società. Perchè di fronte ai grandissimi problemi del lavoro, problemi così enormi, abbiamo sentito che quello era il tema di lotta fondamentale. E poi i mutamenti sono duri. Quando nel 1955 sostenni in una conferenza di donne comuniste il lavoro alle donne, ricevetti mucchi di lettere da brave compagne che le donne dovevano rimanere a casa, che il marito che rispetta la moglie non la fa lavorare. Mano a ma-

no il mondo é cambiato, grazie anche alle nostre iniziative politiche. Ora il modo in cui le giovani si pongono di fronte al lavoro é totalmente diverso.

D Dal ’45 ad oggi hai svolto nel complesso il ruolo che hai voluto?

N – Nessuno che fa politica é soddisfatto del suo lavoro. Io ho l’impressione che avrei potuto fare di più. Non sono sempre stata posta nella collocazione giusta per dare tutto quello che potevo. Ma credo che questo capiti a tutti.

D Non ci sono stati più ostacoli alla tua vita politica derivanti dal tuo rapporto con Togliatti?

N – Le cose erano già cambiate durante gli ultimi anni della vita di Togliatti.

D E adesso che peso ha ancora Togliatti nella tua vita?

N – Il nostro rapporto era una cosa molto intensa, molto ricca e quindi mi ha lasciato un grande vuoto, però dentro di me credo di avere le forze sufficienti per sopportarlo.

D Hai pensato a metterti con un altro?

N – Non é che mi è venuto o non mi è venuto in mente. Cioè io non sono mai partita dal dire, «resto fedele», perché non é un discorso che considero valido, e neanche: «adesso me ne voglio cercare un altro». Sono due tipi di discorsi che mi sono totalmente estranei.

D Non hai incontrato insomma una altra persona che ti abbia veramente interessata?

N – Credo che avendo vissuto un tipo di rapporto così profondo, vero e totale come quello tra me e Togliatti, è molto difficile immaginarmi un altro uomo vicino. Devo dire che c’è anche un pò di femminismo da parte mia: un matrimonio è anche una mezza occupazione, perché gli uomini per quanto si voglia lasciarli un pò per loro conto, hanno sempre bisogno di questo, di quest’altro, e finiscono per prenderti sempre tempo.

D E nei prossimi ventanni cosa ti proponi?

N – Nei prossimi ventanni ci sarà — spero — il pensionamento. Però una ambizione ce l’ho: vorrei avere una parte anche piccola quando diventeremo forza dirigente nel paese, vorrei avvenisse prima che io vada in pensione!

D C’è ancora una domanda che vorrei farti sulla tua vita. Tu sai che una delle rivendicazioni del femminismo è quella della maternità come libera scelta, tu come ti sei posta di fronte a questo problema?

N – Per me la maternità era importantissima, tanto importante che abbiamo adottato Marisa.

D Se ci tenevi a diventare madre, perché non hai avuto un figlio con Togliatti?

N – Noi sapevamo benissimo che ad avere un figlio si sarebbe andati incontro a delle difficoltà gravissime. L’Italia d’allora non è l’Italia d’adesso.

D Prima ti ho chiesto quali sono i prezzi che hai pagato nel rapporto con Togliatti. Forse la possibilità di scegliere liberamente la maternità è stato uno dei prezzi?

N – Il più grosso.

D Tu hai subito dunque una grossa oppressione, non hai provato rabbia?

N – Non rabbia ma una grossa infelicità sì.

D Insomma un esempio netto di come il cosiddetto pubblico ha condizionato una delle decisioni generalmente più private, come quella di avere o no dei bambini.

N – Senz’altro,

D Negli ultimi mesi c’è stata, nel PCI, mi sembra, una maggiore disponibilità al confronto con alcune tematiche femministe. Tuttavia alla VI conferenza, mi pare che siano emerse posizioni abbastanza diverse, almeno di tre dirigenti: la Seroni, Occhetto e Chiaromonte (citazioni dei tre in riquadro). Vorrei sapere a quale delle tre posizioni tu sei più vicina.

N – Non le considero tre opinioni in contraddizione, semmai accentuano di più determinate cose. Noi riteniamo che il punto fondamentale dell’emancipazione femminile sia la collocazione sociale della donna, per noi cioè il lavoro è al centro dell’emancipazione.

D Ma anche noi siamo d’accordo sulla emancipazione economica soltanto diciamo che non è sufficiente per la liberazione della donna.

N – Sì. Mi pare che il sorgere dei movimenti femministi, che senza negare il valore del lavoro (perché non è vero che voi lo negate) accentuano gli elementi di liberazione della donna dall’altro sesso, quindi l’importanza dei rapporti interpersonali, del rapporto uomo donna, richiami noi comunisti ad avere una maggiore sensibilità su questa tematica. Il femminismo per me rappresenta la terza fase dell’emancipazione femminile, quando le donne considerano la loro vita di donne, e si vogliono liberare dal peso che le opprime anche in questo campo. Il femminismo è più che un’aggiunta, è un fatto estremamente importante, anche se occorre sempre tener presente l’aggancio fondamentale che fa della questione femminile una questione d’urto nella società capitalistica, cioè il lavoro e le strutture. Comunque ritengo che su questi aspetti della questione femminile noi dobbiamo anche fare l’autocritica, come d’altronde è emerso nella conferenza di Milano.

D Infatti: anche Chiaromonte parla di ritardi. Per noi uno di questi momenti di ritardo del PCI è costituito dalla vostra analisi sulla famiglia. Anche se Lenin già nel 1915 scriveva: «la vera emancipazione della donna e il vero comunismo comincerà soltanto là ed allora quando comincerà la lotta delle masse contro la piccola economia domestica, o meglio quando comincerà la trasformazione in massa di quest’economia in una economia socialista» mi sembra che questo problema dei ruoli sessuali sia stato concretamente ignorato. Forse è stato poco sentito, vissuto sulla propria pelle dai leaders maschi. Tuttora molti dirigenti del PCI hanno una famiglia tradizionale con mogli che si occupano della piccola economia domestica, o per lo meno mogli molto meno politicamente attive.

N – Ma non si può imporre a nessuno di innamorarsi di una donna che lavora!

D Ma perché s’innamorano di donne cosi? Perché fanno questo tipo di scelta? Noi insistiamo che una moglie casalinga fa comodo, permette all’uomo di far politica a tempo pieno e di avere una casa, dei figli, di essere accudito, capito, aiutato, sorretto ecc.. ecc

N – Ma cos’è l’amore? E’ la cosa più misteriosa di questo mondo…

D – Questa mi sembra una definizione molto romantica, scusa. Io penso che l’amore sia un fenomeno spiegabilissimo, che abbia delle basi materiali come tutto il resto; infatti una scelta di moglie casalinga è comprensibile razionalmente in questo tipo di società.

N – Guarda non è cosi semplice, c’è qualcosa di diverso nell’amore. Ci sono coppie che realizzano se stesse in un modo e altre in un altro. Perché abbiamo bisogni diversi. Io per esempio ho sempre subito enormemente il fascino della cultura e dell’uomo che dal punto di vista intellettuale fosse superiore.

D Vedi questo è un nostro tipico atteggiamento, quello di porci come allieve di fronte agli uomini detentori della cultura, del sapere, del potere. Ma chi lo dice che gli uomini sappiano e valgano davvero di più di noi? Siamo noi che glielo lasciamo credere e ce ne autoconvinciamo.

N – Nel caso di Togliatti non si tratta di modestia da parte mia, sarei squinternata se non riconoscessi che Togliatti era più in gamba di me.

D Può darsi che Togliatti sia stato veramente più intelligente e bravo di te, ecc., può darsi che lui lo sia stato anche perché diverse donne, sua madre, sua moglie poi tu vi siete occupate per lui delle tante piccole cose, dei fastidi quotidiani. Di quelle «scemate» che rubano il tempo e la vita delle donne, che poi difficilmente riescono a fare le cose importanti! Comunque il femminismo sottolinea quanto sia importante che le donne smettano di delegare l’essere in gamba all’uomo in generale e ai compagni della propria vita in particolare.

N – No, sia chiaro che non era una delega, piuttosto solo che Togliatti contava più di me, come persona intelligente io verificavo l’altezza del suo intelletto. Per me questo era importante, ritornando al discorso di perché ci si innamora. Per altre donne il rapporto che si stabilisce con un uomo può essere basato sulla tenerezza, sull’accordo fisico. Insomma non è detto che i miei compagni di partito devono sposare per forza donne militanti. D’altronde tutti però, salvo qualche rara eccezione,, si sono messi con donne che avevano la loro stessa spinta ideale, tutti.

D Solo che gli uomini questa spinta ideale l’hanno agita direttamente, incidendo sulla storia e le loro compagne li hanno sorretti, ripetendo l’eterno ruolo della «donna dietro il trono». Infatti non è un caso che persino nel PCI, che per spinta ideale, convinzioni ideologiche tende più di altri partiti alla liberazione degli esseri umani, dunque delle donne e degli uomini, troviamo ai vertici sempre i maschi mentre le donne giocano un ruolo secondario. Comunque vorrei riprendere un attimo la questione della analisi della famiglia, dove noi differiamo. Per le femministe è essenziale mutare la struttura familiare, perché è la sede dell’oppressione quotidiana della donna, e uno dei maggiori ostacoli alla partecipazione della donna alla vita sociale; invece i comunisti sono per un mantenimento del nucleo familiare come centro di solidarietà.

N – Io sono convinta che la famiglia come centro di produzione e come organizzazione di consumi finirà, ma che rimarrà la parte valida, intesa come rapporti di sentimenti, tra uomo e donna e i loro figli.

D Tu non sei d’accordo coi marxisti ungheresi Heller e Vayda che sostengono che l’uomo nuovo socialista non può emergere da un contesto familiare e che invece occorre creare delle comuni in cui i bambini sono meno «possesso» dei genitori e possono veramente crescere con una «personalità democratica».

N – Li vorrei rileggere, però non credo che la famiglia come sede di rapporto di coppia, uomo-donna, genitori figli sia facilmente eliminabile. Però perché la famiglia diventi quel centro di sentimenti che io auspico occorre rifare l’ambiente che la circonda, avere città diverse, con servizi, trasporti, asili, case stesse costruite in modo diverso, per quella organizzazione sociale dell’economia domestica di cui parlava Lenin. Per ottenere questo occorre costruire una società che abbia ampie fonti di produzione, di ricchezza. Per questo credo ci voglia un lungo periodo, cinquanta, cento forse 150 anni. Ma la linea la vedo in questa direzione.

D Un’altra differenza sostanziale tra comuniste e femministe sta nella questione della distribuzione del potere, nell’accettazione o nel rifiuto dell’organizzazione gerarchica. Tu cosa ne pensi?

N – Ma, sai, onestamente la gerarchia non è che esista tanto.

D – Chi potrebbe revocare ad esempio Berlinguer, dalla base?

N – Qualsiasi congresso di sezione lo potrebbe proporre.

D – Ma che probabilità avrebbe di poter pubblicizzare il suo dissenso, di influenzare altri compagni o compagne?

N – Personalmente mi auguro pochissima, perché mi sta bene Berlinguer, penso che sia una buona scelta, però il dissenso viene espresso nel nostro partito democraticamente.

D Insomma per te l’attuale strutturazione gerarchica del PCI funziona bene, non crea grossi problemi, gli iscritti di base non si sentono alienati, privi di reale potere. Le femministe come sai pensano che una struttura piramidale finisca col soffocare il desiderio di partecipazione e soprattutto infantilizzare coloro che non prendano le decisioni ma le eseguono.

N – Vorrei sapere cosa intendi tu per partecipazione della base. Perché se tu vuoi dire che sulle grandi questioni viene investita tutte le volte la base, sia quando si tratta di decidere l’azione del partito, sia quando si tratta di renderla operante, allora rispondo che la partecipazione nel partito nostro c’è e come!

D La partecipazione di cui parliamo noi é un processo ancora in fase di elaborazione ovviamente, ma è una cosa diversa sia nei modi che nei risultati. Nei modi, perché si cerca di non scindersi su un problema come militante e persona privata, nei risultati perché noi evitiamo il più possibile la formazione di una gerarchia, nel senso di dare ruoli istituzionali ad una élite (segretari, direzione ecc.) perché le élittes, una volta create, tendono ad auto-perpetuarsi, negando potere e spazio alla massa dei cittadini. Siamo per la rotazione di quelle cariche che sono temporaneamente necessarie per motivi organizzativi. Una può fare la coordinatrice, ma non a vita, non sempre lei, anzi proprio le cariche direttive vanno roteate con più frequenza per dare alla maggior parte delle persone l’esperienza. L’autoperpetuarsi delle stesse persone in posizioni dirigenti avviene anche nel PCI e ne fanno le spese i giovani e le donne. Perché non c’è neppure un segretario di federazione donna? Probabilmente anche perché i maschi del PCI, abituati per generazioni ad essere l’elite, non cedono volentieri il loro posto a delle donne; forse perché le donne sono in minoranza nel partito e le minoranze nel PCI hanno problemi a trovare spazio.

N – Non é solo perché le donne sono una minoranza, occorre anche che siano politicamente consapevoli del loro ruolo e dei problemi generali. Ma ancora oggi questo non avviene. E’ un difetto di cui possiamo prendere atto con rincrescimento. Ma é cosi: é ancora così per le donne.

D Forse la mancanza di questa consapevolezza politica da parte delle donne può essere una conseguenza di una organizzazione gerarchica che a favore di una minoranza in fondo esclude la maggioranza dai processi e dalle esperienze che favoriscono una maggiore presa di coscienza, la consapevolezza di poter contare. Coscienza che aumenta il coraggio di fare certe scelte, di assumere posizioni magari devianti. A Milano é stato un uomo,membro della direzione, Occhetto, che si é sentito più libero di parlare a favore del femminismo. Le donne in generale sono state più lige alla linea ufficiale del partito, forse proprio perché sono collocate meno in alto nelle gerarchie di partito. Tu hai detto che le donne iscritte al partito sono ancora troppo timide, conformiste, non consapevoli, sei d’accordo che su questo problema é stato fatto nel partito poco o non abbastanza?

N – Può darsi.

D Per finire cosa ritieni valido delle analisi femministe sui ruoli, sulla famiglia, sulla sessualità, sull’oppressione uomo-donna, sulla gerarchia?

N – Penso che l’emancipazione femminile, pur avendo alla base l’economia e il mutamento delle strutture sociali, necessita anche del mutamento dei ruoli, dei rapporti tra uomo e donna, determinati anche dalla presente organizzazione del lavoro ma non solo. C’è uno spazio, una battaglia specifica da portare avanti. Per questo ritengo i movimenti femministi validi.

D Qual’è allora il prossimo «che fare» del PCI sulla questione donna?

N – Quello di lottare per la trasformazione della società in modo da aprire alle donne la possibilità del lavoro, perché questo é il luogo di lotta fondamentale e anche adesso io penso che la vostra battaglia vincerà se vince la nostra altrimenti la vostra non vince.

D – E anche la vostra senza la nostra non é sufficiente. Sono due cose unite no?

N – Sono certa. La nostra battaglia, la nostra vittoria sarà monca se non vincerete anche voi.