incontro del crac con le donne del sud

marzo 1976

Siamo state chiamate dal Collettivo donne di Amantea per un intervento in una assemblea sui consultori e sulla salute della donna. L’idea di poter conoscere personalmente la realtà della condizione delle donne del sud da un lato ci stimolava, dall’altro ci faceva paura. Paura di trovarci in una situazione troppo arretrata in cui i modi di comunicazione risultassero difficili se non impossibili.

Una volta arrivate… il sole naturalmente, ma anche il vento e una città bianca così come l’immaginavamo. Ci siamo rese subito conto delle difficoltà delle donne di Amantea dalla stazione quando Mariolina e Yvonne, che erano venute a prenderci, hanno iniziato a raccontarci i loro problemi familiari; forme di repressione molto superate per noi, come l’impossibilità di uscire la sera o non poter entrare in determinati bar, fino all’impossibilità di far politica. «State facendo delle orge?» ci è stato chiesto al telefono mentre eravamo in casa di una compagna a fare una riunione. Son cose che succedono sempre, quasi ovvie, ma vissute con rabbia, con la piena coscienza storica della necessità di andare avanti, combattere con tutte le forze contro l’oppressione, liberarsene una volta per sempre. Quello che vogliamo sottolineare è la profonda discrepanza fra l’emarginazione di queste compagne e la condizione delle donne, e, la forza politica e ideale che esprimono, la chiarezza degli obiettivi e la capacità di gestire le lotte.

All’assemblea erano presenti un centinaio di donne, la giunta (di sinistra) l’assessore provinciale alla sanità e il sindaco.

La compagna dell’UDI, di Cosenza, che doveva tenere la relazione introduttiva, è mancata all’ultimo momento, quindi noi abbiamo improvvisato i nostri interventi ad apertura d’assemblea. Il discorso che più è piaciuto alle donne insieme a quello di una nuova medicina, è stato il Self-Help (che pure all’inizio avevamo timore a fare); infatti ci sono state varie testimonianze ed interventi su questo. Le donne che non erano riuscite ad intervenire pubblicamente, ci hanno tempestato di domande e richieste di delucidazioni alla fine. Dell’aborto invece si è parlato di meno, questo è dovuto al fatto che intervenire in quella situazione con questo argomento poteva essere pericoloso per il collettivo e renderle più vulnerabili anche sugli altri punti sui quali si stanno mobilitando, il consultorio e la contraccezione soprattutto. Una «lezione» per noi in fatto di concretezza, di volontà e soprattutto di rabbia; per loro, una spinta — crediamo — verso una minor timidezza nei confronti dell’autocoscienza, e di tutta la nostra prassi «privata». Ecco l’intervento di Yvonne:

Consultori e salute della donna.

Innanzi tutto mi sembra doveroso dire chi siamo e per cosa ci battiamo. Il Collettivo donne di Amantea, sorto all’interno del Circolo Salvemini, non vuole essere altro che il portavoce delle esigenze, dei problemi delle donne di oggi: di tutte le donne, giovani, madri, lavoratrici, casalinghe. Già prima di organizzare questo dibattito noi avevamo avuto delle riunioni di quartiere, cioè degli incontri, prima a S. Maria, poi a Catocastro con le donne, raccogliendo così delle prime idee sui problemi di esse, problemi soggettivi, familiari e sociali, Inoltre abbiamo cercato di renderle partecipi con la distribuzione di bollettini.

Ancora, come sapete, c’era stato un precedente dibattito sulla condizione delle donne ad Amantea, in cui erano emersi i seguenti dati: — la donna di Amantea legge per lo più ed esclusivamente fotoromanzi. — ha una coscienza politica scarsa (sola partecipazione all’Azione Cattolica). — svolge lavori stagionali e precari (salagioni – fichi secchi). Da tutto questo ci è sembrato doveroso aprire un discorso più profondo circa la salute di tutti, ma in particolare delle donne di Amantea. In un paese di 10.000 abitanti, centro che investe zone di campagna e varie frazioni, le condizioni sanitarie( mi riferisco a centri di assistenza, pronto soccorso, ecc.) sono tra le più disastrose — anzi non esistono. Per noi diventa un lusso anche ammalarci, i nostri bambini non vengono accuratamente sorvegliati, i nostri vecchi, spesso sofferenti possono andare incontro ad episodi di malattia mortale, l’inverno e la notte senza un’assistenza tempestiva ed adeguata. Risulta chiaro però che chi maggiormente in un modo o nell’altro risente di tutto ciò è la donna. Le nostre donne che lavorano in salagione, che lavorano i fichi secchi, soffrono ancora giovani di reumatismi, varici agli arti inferiori, artrite, fenomeni allergici e, molte di esse, da un sondaggio che abbiamo fatto, hanno avuto aborti spontanei (posizione eretta, lavoro estenuante).

Le donne dei campi, un altro capitolo, c’è chi ha raccontato delle cose da rabbrividire, casi di donne morte mentre davano alla luce il bambino, donne costrette a fare l’autostop per andare a partorire in ospedale. Inoltre per le casalinghe, la mancanza di asili, mense, scuole a tempo pieno, comporta un grosso carico di lavoro, e se a questo si aggiunge qualche ora di lavoro presso famiglie come donne di servizio, si può capire il continuo stress che esse subiscono. Ricordo ancora la prima frase detta da una mia amica toscana quando è venuta qui, ad Amantea: «E strano! Ma qui le donne sono tutte vecchie!».

Questa è una frase che deve farci riflettere.

Vi è pure chi vive in abitazioni e quartieri malsani, freddi, umidi. Queste e molte altre cose che certamente emergeranno durante il dibattito sono gli argomenti per sommi capi, oggetto dei nostri discorsi.

Ma vorrei aggiungere ancora qualcosa, così casualmente parlando con donne sposate o no, mi sono accorta che esse sono piene fino al collo di un mucchio di problemi psicologici nell’ambito del loro rapporto col marito, con i figli, con se stesse. La lunga tradizione ci ha sempre imposto a noi donne di sentirci inferiori, inferiorità che di fatto non esiste, perché le donne riescono a fare tutto ciò che fa l’uomo, ma, tutta una serie di condizionamenti religiosi, e soprattutto il tipo di società profondamente diseguale hanno fatto sì che noi non siamo mai state protagoniste della nostra vita, prima il padre, poi il marito e la società stessa ci hanno usate come uno strumento di procreazione, di lavoro sfruttato. E così la donna si trova a dover partorire senza volerlo o volendolo senza serenità, senza assistenza. Circa la prevenzione delle nascite, la maggior parte delle donne intervistate, casalinghe o no, hanno ammesso di non aver mai avuto una educazione sessuale nella fanciullezza, ma anche durante la vita matrimoniale. Per cui, escluso l’uso del preservativo molte di loro hanno abortito clandestinamente, le più fortunate a Paola e a Catanzaro per 250.000-300.000 lire. Gli altri metodi anticoncezionali non esistono e, come diceva una signora: «Io sarei ben disposta ad usare i diversi metodi… ma mi vergogno e poi il medico è cattolico… e c’è finanche chi ridacchiando mi ritiene una donna di strada. In quanto a mio marito, lo vedo molto distaccato, dice che sono cose da donne…».

Arrivate a portare, volendolo o no, avanti la gravidanza, la donna di Amantea si sente sola, non c’è nessuno che la guida al parto, con metodi educativi fisici e psichici. È agitata, arriva all’ultimo istante, buttata lì in ospedale, costretta a soffrire e temere per la sua vita e per quella del bimbo. Vi sembra giusto? Pensate anche voi che bisogna far qualcosa? Perché dobbiamo ripetere gli errori di sempre? È necessario, assolutamente necessario che anche qui ad Amantea sorga al più presto un pronto soccorso per tutti, un consultorio per le donne, cioè un centro medico che garantisca un’assistenza sanitaria, un’assistenza anche psicologica, ma che sia anche una sede di discussione e partecipazione soprattutto per le donne, per cui tutti sappiano che vuol dire educazione sessuale, imparino a non vergognarsi del proprio corpo, a vivere con coscienza e serenità i problemi sessuali, familiari e sociali. Chiediamo inoltre la requisizione e la possibilità di utilizzare la clinica Marinaro, inattiva da anni mentre nel paese manca qualsiasi ambulatorio…