cultura

studio, dunque sono

a partire dalla seconda settimana di gennaio il Centro Culturale Virginia Woolf inizierà la sua attività di corsi, seminari e gruppi di studio e di ricerca. Ne parliamo con Alessandra Rocchetti, una delle organizzatrici.

ottobre 1979

Dunque ce l’avete fatta! Oddio, veramente siamo solo all’inizio. Il lavoro di preparazione è durato un anno, ma non è finita certo qui… Voglio dire che ormai avete una sede, una serie di corsi sono stati organizzati, i seminari stanno per cominciare… insomma esistete. Si, in questo senso esistiamo, siamo visibili.

Bene allora ci puoi spiegare il «progetto Virginia Woolf» non più dalle intenzioni ma dalla sua realtà questa volta. Non mi stancherò mai di ripetere che il «progetto Virginia Woolf» è un progetto parziale, non si può definire come progetto politico di movimento. E’ un centro culturale, quindi affronta solo una parte di quegli interessi, elaborazioni, riflessioni che fino ad ora le donne hanno prodotto, appunto quella parte che riguarda la cultura, la produzione culturale. La politicità di questo progetto si misurerà dopo nei risultati, nei tipi di aggregazione tra donne a cui un progetto del genere darà luogo, nei bisogni che susciterà, nei prodotti della ricerca, nei dubbi che inevitabilmente si porranno. D’altra parte non mi sembra che il nostro sia un caso isolato, il bisogno di visibilità e riconoscibilità delle donne e tra le donne determina un necessario approdo a progetti parziali che possono essere i più diversi: una rivista, la proposta di una legge, il lavoro di consultorio, un quotidiano, una radio etc.

Questo per quanto riguarda il nostro rapporto con la politica. Scusa forse ho anticipato una domanda, ma ogni volta che sento parlare di «progetto» ho paura che possano sorgere degli equivoci. Quali equivoci?

Chiamiamoli pure fantasmi, di quei fantasmi che un progetto, che si tende sempre ad immaginare complessivo, può fare agitare; fantasmi di potere, di linea politica… Come sei suscettibile. Molto. Vedi Goethe dice che «chi fa» è .necessariamente ingiusto perché deve necessariamente dimenticare qualcosa. Noi abbiamo realizzato qualcosa, abbiamo fatto e necessariamente qualcosa è restata fuori. Questi tagli che sono spesso dei rimandi indubbiamente mi pesano. Ma non credo d’altra parte che ci possa essere nel «fare» un totale rispecchiamento di noi stesse.

Fammi un esempio. Un progetto come questo necessitava senza dubbio di una riflessione sul nostro rapporto con la cultura. L’abbiamo fatto fino al giorno in cui ci siamo rese conto che questa riflessione poteva non finire mai, perché cultura è anche accumulazione, esperienza e che giorno dopo giorno si accumulavano nuovi dati, nuovi elementi su cui riflettere. Abbiamo sospeso per poterci assumere la responsabilità del gesto, del «fare» appunto. Oggi, come dici tu, esistiamo non solo per noi stesse ma anche per tutte quelle donne che non conoscevamo e che oggi vengono ad iscriversi ai seminari, Parlami un po’ di chi viene ad iscriversi.

Intanto ti posso dire che sono molte. Abbiamo aperto le iscrizioni da una settimana e ci sono già duecento iscrizioni. Sono nella maggioranza impiegate, studentesse, insegnanti, qualche casalinga, qualche pensionata. Da quelle poche parole che finora ho avuto occasione di scambiare con loro ti posso dire che vengono non solo con un bisogno di cultura, ma con un bisogno di stare insieme, con una certa sfiducia e sospetto e stanchezza dei luoghi di cultura tradizionali, con una volontà di autovalorizzazione e con una grande fiducia nel lavoro delle donne e con un bisogno di separatismo. E pensa che nella maggioranza queste donne non sono mai state femministe, non hanno mai fatto parte di un collettivo e per la prima volta entrano a Via del Governo Vecchio 39. Come te lo spieghi? Ma, …delle volte la cultura può apparire come una mediazione. Noi tutte sappiamo quante donne hanno avuto paura di un femminismo che le avrebbe costrette ad un riesame spietato della loro vita, ad una invalidazione delle loro scelte. Molte donne si difendono da questo, ma d’altra parte non possono negarsi la necessità di conoscersi, di conoscere la loro condizione, di superare un destino che sempre meno si sente come privato. La cultura, lo studio può sembrare in questi casi un punto di partenza meno doloroso, meno traumatico. Ma tutte sanno che è solo un punto di partenza. Ma si sono iscritte anche le vecchie femministe, le femministe “storiche”, l’altro giorno tra le schede trovo quella di Gabriella Frabotta e di Joanna Capra, debbo dire che mi sono commossa.

Quali sono i seminari dì maggior successo, se così si può dire, insomma quali seminari hanno ricevuto più iscrizioni?

Per ora se la battono un po’ tutti, ma ci sono due punte massime: Letteratura Greca e Antropologia. E’ incredibile ma hanno già quaranta iscrizioni ciascuna. Per antropologia forse è comprensibile perché è una materia dove esiste già una produzione critica di donne, ma per Letteratura Greca non so che dire… forse l’interesse per i miti. Una mia illazione è che nei titoli di questi seminari compare la parola “origine”, “all’origine del pensiero occidentale…” e “…origine dell’ oppressione della donna…” e che esiste una volontà delle donne di ripartire da zero per riattraversare la cultura, per conoscerla dalle origim appunto. Ma ti ripeto è una mia illazione. Mi puoi dare un quadro generale delle vostre attività?

Dunque, ci sono tredici seminari. I seminari sono aperti a tutte le iscritte, non esiste né limite d’età naturalmente, né è richiesto alcun titolo di studio. Per quanto riguarda le studentesse, con alcuni di questi seminari è possibile dare un esame all’Università. In alcuni casi è già stato raggiunto un accordo con il docente che ha accettato il nostro, programma, in altri oasi sarà la studentessa stessa che potrà proporre il nostro programma come corso monografico individuale. Poi ci sono tre gruppi di lettura, uno su testi di Freud, un altro su un testo di Jung e un terzo sui quotidiani e settimanali. Questi gruppi analizzano un testo, lo approfondiscono, rintracciano tutte le implicazioni, i riferimenti. Poi ci sono i gruppi di studio che trattano temi più specifici. Per quest’anno ce ne sono tre: uno di Economia, uno di Sociologia e uno di Diritto. Poi ci sono i gruppi di ricerca. Ai gruppi di ricerca non è possibile iscriversi, seno chiusi. Ti spiego meglio, se alcune donne vogliono affrontare una ricerca su di un tema specifico partendo già da un’ipotesi da verificare, si propongono come gruppo di ricerca. In questo caso noi formiamo loro gli ambienti e quel minimo di attrezzatura ed organizzazione necessaria. Sia i seminari che i gruppi di studio che i gruppi di ricerca dovranno terminare con una relazione scritta che dovrebbe venire pubblicata su dei “quaderni” a cura del Centro. Una critica che si fa al vostro Centro è che viene riproposta la divisione disciplinare tradizionale, cosa rispondete?

Noi non crediamo ad una cultura alternativa, proponiamo un riattraversamento critico della cultura. E’ chiaro quindi che proprio per questo è necessario assumere in partenza la stessa divisione disciplinare, talvolta anche in senso provocatorio. Cosa nascerà da tutto questo: nuove materie? nuovi campi di indagine? nuove impostazioni? Credo di sì, ma ipotizzare questo a monte, a parte lo sforzo di fantasia, non sarebbe stata che un’operazione ideologica e anche un po’ cretina.

Cosa vuol dire “riattraversamento critico della cultura”? L’isolamento della contraddizione capitale-lavoro ha fornito una chiave interpretativa della realtà, ha prodotto un punto di vista inedito da cui leggere la storia, la società, gli uomini, la famiglia, la religione, insomma tutto o quasi. Ha prodotto dei veri \e propri terremoti metodologici in alcune discipline: la storia per esempio. Ecco io credo che la contraddizione uomo-donna sia altrettanto ricca, altrettanto producente, altrettanto attiva. Fornisce un punto di vista critico da cui è possibile leggere la realtà, fornisce un’altra chiave interpretativa che può produrre altri terremoti metodologici, altre utopie quindi altre realtà sociali. Le docenti chi sono? Da noi si chiamano responsabili di seminario. Scusa!

Prego, prego, ci consideri un po’ gesuite vero? Ma vedi, è innegabile che ci si ripropone la divisione tra coloro che sanno e coloro che non sanno, tra docente e discente, ma non vedo che cosa ci sia di male nel comunicare delle informazioni, degli interessi, delle passioni ad altre. E’ innegabile che oggi ci sia tra le donne una richiesta di cultura, è molto, io trovo, riuscire ad ottenere questo scambio tra donne, in una condizione di separatismo.

Avevo chiesto semplicemente chi sono…

Sono suscettibile, come dici tu. Dunque, chi sono… Sono assistenti all’Università, insegnanti, ricercatrici al C. N.R., c’è una docente di cattedra… ma fuori da definizioni istituzionali sono tutte donne che hanno sentito l’esigenza di legare il loro femminismo con i loro campi di interesse, di studio. Debbo dire che hanno aderito tutte con grande entusiasmo anche se dovranno fare un lavoro enorme e per quest’anno non siamo in grado di pagare loro neanche un gettone di presenza!

Mi chiedo come faranno ad organizzare un seminario con donne di diverso grado di cultura. Io continuo a credere, forse sbaglio, che non esiste tanto un problema di livelli quanto quello della chiarezza. Comunque abbiamo lasciato che ogni responsabile di seminario organizzasse il suo corso secondo i suoi propri criteri, scegliesse il metodo che a suo avviso riteneva più adatto. Poi si vedrà, saranno esse stesse che si confronteranno con i problemi che via via sorgeranno. Nessuno a questo punto se li può immaginare. I temi dei seminari come sono stati scelti?

Sono stati proposti dalle stesse responsabili di seminario. Finanziamenti?

Per ora ci autofinanziamo, con un enorme sforzo di tutte noi, in fin dei conti siamo solo in dieci. Poi ora cominciano ad arrivare le quote di iscrizione con le quali finiremo di restaurare la sede. Questo è tutto, Ma ci stiamo muovendo per ottenere dei fondi dalla CEE. Chiederemo finanziamenti anche al Comune, alla Regione e a tutte quelle donne che potrebbero aiutarci finanziariamente, a cui piace il nostro progetto. Con i soldi potremmo pagare le persone che lavorano nel Centro, potremmo istituire borse di studio interne e per le Università italiane e anche estere, potremmo fare una biblioteca, organizzare viaggi di studio e tante al-‘tre cose, ma ottimisticamente di tutto ciò se ne potrà parlare tra un anno e mezzo almeno.

In una cosa io credo con certezza che senza soldi questo progetto non durerà a lungo. Non è possibile chiedere alle donne un lavoro enorme per militanza, è un problema anche di valorizzazione del proprio lavoro, di rapporto con la realtà quotidiana di ciascuna.

Perché la sede a via del Governo Vecchio?

Perché è un palazzo delle donne, perché è un segno di separatismo nella città, perché è bello.