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d’amore si scrive
per chi frequenta le librerie in questi giorni proponiamo un baedecker un po’ ironico un po’ nostalgico.
può darsi che il discorso amoroso sia oggi di un’estrema solitudine, “non sostenuto da nessuno”, come afferma Barthes. Può darsi per gli innamorati. Varcata la soglia di una qualsiasi libreria, è vero il contrario. Dell’amore si sono appropriate le case editrici per rilanciarlo a colpi di “manchettes” con tirature e cifre e non vi è chi non provi sgomento e il capogiro davanti alle pile ben allineate di titoli sul tema. Mai il “privato” dei sentimenti è stato tanto assecondato, coccolato, sorretto con qualificati puntelli: implicitamente rilevando, si suppone, quanto improponibile e insostenibile sia il “pubblico”, quasi da rimuovere. Ma se si entra nel gioco dei titoli si verifica che le differenze tra questi passano anche sul filo di quella rimozione: tra chi l’accetta e non se ne cura (Barthes) e chi invece se l’assume e tende a dialettizzare il “privato” con il “pubblico” (Alberoni e Bruckner-Finkielkraut).
Il libro di Alberoni e quello di Bruckner e Finkielkraut continuamente rimandano l’analisi del rapporto d’amore e della sessualità all’ “esterno” del quale denunciano l’inadeguatezza e la crisi per suggerire una prospettiva di rivitalizzazione sociale. Nel Nuovo disordine amoroso gli autori intravvedo-no la possibile liberazione da ogni ortodossia e totalitarismo nell’affermazione generalizzata della “dissidenza” amorosa e nel rifiuto dell'”eresia”. L’ eresia, infatti, nell’amore e nella sessualità come altrove, è più ortodossa dell’ortodossia che rifiuta, vuol sostituire un codice con un altro, è assimilabile perché ricalca a rovescio i meccanismi dell’ortodossia sostituisce a una centralità un’altra centralità. La dissidenza ha invece come finalità non più occupare ma sloggiare il centro, è minoritaria e scandalosa, piuttosto che stare al gioco sposta il senso della battaglia: «E’ frivola perché combatte un sistema senza porre la sua candidatura alla successione, accelera il decadimento della norma, ma afferma simultaneamente la sua reticenza a sostituirvi qualcosa, tanto meno la singolarità (erotica, culturale, sociale) che essa difende». L’ortodossia totalitaria di cui qui si parla è quella della sessualità genitale maschile,_ allusiva di altre e più soffocanti ortodossie nelle quali si rispecchia. In questo gioco della sessualità che scalza i poteri per affermare la dissidenza, il ruolo della donna è centrale, sostengono gli autori, il suo godimento invidiato perché inimitabile, solo di lei: lo si può intuire ma non provare, l’omosessualità maschile può darne solo una pallida idea. Ciò che il corpo femminile di per sé indica è la possibilità di un godimento “altro”, una disponibilità totale al piacere che la genitalità invece circoscrive così come la pornografia che è genitalità esaltata e quantificata, falsa forma di liberazione sessuale assolutamente speculare a ciò cui finge di contrapporsi. Peccato che questo “godimento della donna” — che dà il titolo a un capitolo centrale — gli autori lo descrivano con parole già note di donne, Luce Irigaray e Helene Cixous in particolare; e che poco o nulla si intuisca, al di là del riproposto cliché sulla “virilità”, della sessualità maschile specifica. Non convince poi per la sua astrattezza la proposta, che è il fine del libro, di una sessualità liberatoria e liberante che coinvolga tutti uomini e donne: malleabilità erotica, apertura al disordine, negazione delle gerarchie nell’uso di tutto il corpo, addio definitivo alle catalogazioni perverse di Kraft-Ebin. Anche se, in un paese cattolico, questa crociata contro i travet della mutanda e i decurioni dell’orgasmo potrà accendere polemiche e/o entusiasmi, non si vede il come e l’attraverso cosa entreremo in quest’eden erotico, intricati come siamo a sciogliere nodi psicologici e pesanti intrecci tra “pubblico” e “privato” e ad arginare ricatti affettivi. I due giovani autori, inoltre, occupano più di duecento pagine per spiegare quel che, con economia loro e nostra, avrebbero potuto dire in meno di cento, coltivando di più il piacere dell’immaginario che qua e là rende sapida la lettura come nel racconto del Ravanello rosa e della Crepa rossa che apre il libro con fantasiosa leggerezza ma è solo un’apertura accattivante, non si illuda chi legge, dopo arriva la spiega talvolta divertente ma esasperatamente torrentizia.
Più avveduto Alberoni dà al suo libro la misura di un “pamplet” ma gli intenti sono più ambiziosi: sconfiggere il disprezzo che i sociologici hanno sempre nutrito per l’amore, sottrarre questo al vago terreno del mito e della poesia e elevarlo a teoria politica in quanto terreno privilegiato della conflittualità ma anche della simbiosi tra individuale e collettivo, privato e pubblico. E’ un programma non indifferente. In quali termini lo espone Alberoni? A partire da una proporzione aritmetica enunciata già nella prima pagina del libro (e pubblicata un anno fa su un’altra prima pagina, quella del “Corriere della Sera”, se la memoria non mi inganna; ma non mi inganna). Quale? L’innamoramento sta all’amore come i movimenti collettivi stanno all’istituzione: dirompente il primo, rasserenante il secondo anche se con rischi di cristallizzazione che si possono superare dando all’amore-istituzione una struttura aperta, permeabile alla trasformazione in “forme nuove”. Capito la lezione? Ora possiamo vedere più da vicino l’analisi del rapporto tra eversione e istituzione, anche se, come alla lettura di un pessimo giallo, la tensione si è allentata e sappiamo già in anticipo chi è l’assassino. L’innamoramento, intanto, non è affatto una questione privata come molti tendono a credere, dice Alberoni, è invece lo «stato nascente di un movimento collettivo a due», una dirompente forza rivoluzionaria che, come tutti i processi rivoluzionari «separa qualcosa che era unito» e «unisce qualcosa che era diviso (sempre dalla tradizione, dalle consuetudini, dalle istituzioni)”; ma 1′ innamoramento ha in sé una carica eversiva anche perché si pone come ministruttura a due, impermeabile a un sistema che prevede invece blocchi collettivi, istituzioni, permeabilità degli individui. L’innamoramento perde la sua eversività quando si trasforma in amore ossia in tranquillo nucleo di relazioni, socializzabile e omologabile alle istituzioni dominanti: e non è dette che qui si muoia di noia, assicura Alberoni, basta spalancare la porta all’esterno e creare un po’ di circolazione d’aria. E via sociologando sin dilemma, che è lacerazione tipica dell’innamoramento, e la serenità che nell’amore ricompone gli squilibri, per ventidue capitoletti di luoghi comuni elevati a teoria politica. Chi riesce a condurre a termine la lettura ha il privilegio di trovarsi in rara compagnia. Mi spiego. «Questo libro» conclude Alberoni «è destinato certamente a scontentare tre categorie di persone: quelle che si muovono in orbita utilitaristico-pragmatistica, quelle che si muovono nell’ambito di sistemi ideologici come il cattolicesimo, l’islam e il marxismo; e, infine, coloro che, in questo periodo, stanno conducendo una critica alla coppia eterosessuale, quindi per esempio molte femministe». Solo a considerare la seconda categoria e a quantificarla a scopo didascalico-informativo, lo scontento riguarderebbe svariate centinaia di milioni di persone dell’universo mondo alle quali Alberoni si rivolge. Si rassicuri il sociologo: pochi si scontenteranno nel leggere il suo libro, i più passeranno subito ad altre letture. Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes si colloca su un versante esoterico tra la produzione dell’immaginario puro e la registrazione-riflessione dei e sui segni dell’amore. «Il soggetto amoroso non può scrivere egli stesso il suo romanzo d’amore. Solo una forma molto arcaica potrebbe raccogliere il fatto che lui declama senza però poterlo raccontare». Ma, aggiunge ‘Barthes, nessun discorso amoroso ha senso se non si fa “per” qualcuno, nessun discorso amoroso ha luogo se non si è innamorati. E’ dunque un innamorato che parla e che dice nel libro, esprimendosi come è possibile nel discursus dell’amore (“originariamente discursus è il correre qua e là”): attraverso “figure” delineate nei loro contorni come segni e memorabili come un’immagine o un racconto. 11 fascino di questo libro è tutto qui: nello sciogliere una materia deteriorabile come l’amore nella sola struttura che ne eviti oggi la banalizzazione: frammentaria, divisa secondo l’ordine casuale dell’alfabeto per figure legate al discorso amoroso: Abbraccio, Catastrofe, Dedica, Languore, Lettera etc. La figura è costruita per emozione-riflessione su materiali di vita propria, brani di conversazioni con amici, brevi passi di autori che hanno trattato dell’amore-passione. Assai rari i riferimenti alle donne (anche a quelle che scrivono o hanno scritto); nonostante l’intercambiabilità di certe figure che delineano l’oggetto d’amore come Altro/a, la frequenza di alcuni materiali culturali (Platone, Proust) e di vita personale, configura un itinerario omosessuale maschile dell’amore-passione, assunto, al di là di ogni provocazione e/o scandalo, nel suo sussultorio dispiegarsi. Non l’omosessualità, che ha valenza androgina, ma l’amore femminizza l’uomo, afferma Barthes: quell’elemento particolare dell’amore che è l’assenza — quali che siano la causa e la durata di essa — e che l’innamorato vive come prova di abbandono. «Storicamente, il discorso dell’assenza viene fatto dalla Donna: la Donna è sedentaria, l’Uomo è vagabondo, viaggiatore; la Donna è fedele i(aspetta), l’uomo è cacciatore (cerca l’avventura, fa la corte). E’ la Donna che dà forma all’assenza, che ne elabora la finzione, poiché ha il tempo per farlo. Ne consegue che in ogni uomo che esprime l’assenza dell’altro si manifesta l’elemento “femminino”: l’uomo che attende e che soffre è miracolosamente femminizzato». Questo libro di Barthes, che propone a lettori smaliziati una rilettura contemporanea dell’amore, suscita anche il desiderio di spostarsi sul terreno dell’immaginario puro, dell’amore che si fa linguaggio attraverso la mediazione dell’altro, dell’artista. Vale la pena ripescare due stupendi libri rieditati di recente e che rappresentano due diversi modi culturali di atteggiarsi di fronte all’amore: le’Lettere di Abelardo e Eloisa, un testo classico dell’undicesimo secolo, e Zoo o lettere non d’amore del formalista russo Victor Sklovskij scritto durante l’esilio berlinese dell’autore negli anni dello stalinismo.
Le lettere di Eloisa sono appunto un esempio della storica assenza vissuta al femminile della quale parla Barthes. In questo caso l’assenza è un dato immodificabile, assoluto: Eloisa è monaca per volontà del suo ex-maestro e examante Abelardo, anche lui in convento ma pentito e evirato per vendetta da un parente di lei. L’amore-passione di Eloisa, inutilmente scoraggiato dall’or-mai virtuoso Abelardo, divampa nelle preghiere, non si rassegna, si alimenta dell’assenza senza ritorni. In un periodo storico in cui la guerra è un valore e i sentimenti (come la cultura) sono marginali nell’economia sociale, sono disvalore, le voci femminili raggiungono un’intensità sorprendente e possono alimentarsi senza ostacoli. Nel libro di Sklovskij il discorso storico sull’assenza è rovesciato: l’amore e la cultura che lo esprime sono ormai un valore, patrimonio dell’uomo. Alja, la donna amata dal poeta è frivola e disattenta, sa poco o nulla di letteratura, non apprezza il suo invadente innamorato al quale concede la sua voce al telefono a intervalli di 12 ore, durante i quali l’innamorato attende. Qui l’assenza è altrettanto assoluta, mima continuamente la prova d’abbandono: l’amore è fatto oggetto di divieto: di tutto il poeta può parlare meno che d’ amore. Ne nasce un epistolario senza risposta, un romanzo ironico e disperato di lettere non d’amore, che parlano cifratamente d’amore: il cabaret, la strada, l’autunno-inverno di Berlino, la letteratura di cui Sklovskij si nutre macinandola fino al pettegolezzo, tutto si trasforma in una metafora dell’amore cui è vietato dar voce e che si afferma con tanta dirompenza e credibilità, da neutralizzare qualsiasi risorgente “bisogno” di sociologia.
R. Barthes
Frammenti di un discorso amoroso
Einaudi 1979 pp. 218, Lire 4500
F. Alberoni
Innamoramento e amore
Garzanti 1979 pp. 148, Lire 4500
P. Bruckner-A. Finkielkraut
Il nuovo disordine amoroso
Garzanti 1979 pp. 287, Lire 7000
V. Sklovskij
Zoo o lettere non d’amore
Einaudi 1979 pp. 99, Lire 3000
Abelardo e Eloisa
Lettere
Einaudi 1979 pp. 412, Lire 12000