anticonformismo a roma

luglio 1974

 

A Roma, da alcuni anni, in via San Marino 23, esiste un asilo, dove, pur tra le mille difficoltà che un tale esperimento comporta, si fa ogni sforzo per non interferire nello sviluppo autonomo del bambino. Il quartiere è di stampo medio-borghese e piuttosto reazionario, per cui non poche sono le ostilità nei confronti di una impostazione educativa antiautoritaria, anche se la maggior parte dei genitori dei piccoli ospiti si dichiara « di sinistra ». Sappiamo bene, però, che militare nei partiti di sinistra o aderire a concezioni politiche di sinistra non significa certo essersi affrancati da meccanismi psicologici ancorati ad una visione educativa tradizionale e repressiva, oppure improntata al «laissez faire» indiscriminato, all’ansia, all’iperprotettività. Questi modi — purtroppo diffusi — di porsi nei confronti dell’infanzia favoriscono lo sviluppo di personalità rigide e insicure, perpetuando, così, quelle strutture caratteriali su cui poggiano i regimi totalitari: individui autoritari pronti al comando e individui gregari disposti ad obbedire.

Perciò, se vogliamo credere alle tesi della psicologia di massa, dobbiamo convenire che o si cambiano i metodi educativi oppure non ci sarà scampo per l’umanità. L’asilo di Via San Marino, condotto da Marcella Facchin, è un tentativo serio di operare sul piano educativo quel ribaltamento delle strutture caratteriali che è alla base di ogni rinnovamento sociale. E, non a caso, ha dovuto svilupparsi poggiando solo sulle forze delle sue animatrici Marcella, Clara e Roberta e senza il sussidio d’una sola lira di quel denaro pubblico così prodigalmente versato alle varie Pagliuche.

Effettivamente l’asilo di Marcella è un asilo diverso, che fa sperare: i bambini sono allegri, spontanei, comunicativi, creativi e per niente intimiditi da una nuova presenza. Difatti mi corrono incontro per domandarmi chi sono e cosa voglio ma poi scappano via a riprendere i loro giochi e le attività interrotte.

Mi vengono in mente, per contrasto, le faccine annoiate dei piccoli che affollano gli asili comunali e quelli delle suore, rigidi nei loro grembiulini candidi, con le mani dietro la schiena. Gli unici movimenti consentiti sono il camminare in fila, il girare in tondo, ripetendo pappagallescamente quello che dice l’insegnante.

Per evitare una arbitraria proiezione delle mie impressioni sull’esperienza reale di Marcella le rivolgo qualche domanda:

D. Qual è l’estrazione sociale dei bambini qui ospitati?

R. Provengono da famiglie di insegnanti, impiegati o professionisti.

D. Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato nell’applicazione dei principi antiautoritari?

R. Distinguerei tra le difficoltà con i genitori e quelle con i bambini.

Le difficoltà con questi ultimi, comunque, derivano quasi sempre da quelle con i primi. Nei genitori ho notato una grossa contraddizione: mentre la maggior parte sembra entusiasta che i figli frequentino un asilo antiautoritario e sul piano verbale riconoscono la validità di tale impostazione educativa, praticamente, nel rapporto quotidiano con i figli commettono una serie di errori. Ad esempio un atteggiamento molto frequente è quello del non intervento assoluto, al punto da rendersi schiavi dei bambini, salvo poi assumere posizioni intransigenti nei riguardi dell’alimentazione e dell’abbigliamento. I genitori sono anche ossessionati dal problema del rendimento. Se i figli a cinque anni o anche prima non sanno leggere e scrivere

  1. comunque, a loro avviso, non hanno «imparato niente», se ne lamentano e in molti casi li ritirano per portarli negli asili «seri» dove c’è anche disciplina, perché ritengono che prima di andare alle elementari è meglio che siano più «controllati». L’asilo antiautoritario deve rappresentare tutt’al più una parentesi gioiosa dei primi anni di vita. E’ un atteggiamento non solo incoerente ma anche poco realista, perché i bambini che continuano a frequentare questo asilo fino all’età scolare, dopo i cinque anni (non prima) imparano spontaneamente a leggere e a scrivere, sempre però mossi da un interesse concreto: per scrivere storie sui cartelloni a spiegazione dei loro disegni oppure per leggere i libri della piccola biblioteca. Ho anche notato, in questi quattro anni di esperienza, che
  2. genitori più rigidi e conformisti si autoselezionano. Difatti basta che stiano un’ora in asilo e vedano i bambini sporcarsi liberamente o dire parole escrementizie o, comunque ritenute « sconvenienti », per decidere di non iscrivere il proprio figlio. Anche agli inizi, quando avevo bisogno di un numero abbastanza congruo di bambini, ho sempre scoraggiato i genitori che ritenevo più inadeguati. Devo anche rilevare che le previsioni catastrofiche sui bambini educati in modo libero, secondo le quali questi avrebbero un futuro da « buoni a nulla capaci di tutto » (per dirla con Jonesco) sono assolutamente infondate. I bambini che hanno frequentato il mio asilo, a scuola sono degli ottimi allievi, vitali, non competitivi e pieni di interesse.

D. E con la religione come la metti?

R. Con i genitori anche l’assenza di insegnamento religioso è fonte di discussione.

D. qual è il periodo più difficile con i bambini?

R. Le maggiori difficoltà si presentano soprattutto appena arrivano, quando devono inserirsi in un ambiente per loro nuovo e… sconvolgente. Siccome la dipendenza dall’adulto è enorme, il bambino si trova infatti disorientato in un clima di autodeterminazione e, se non ha iniziativa, difficilmente viene accettato dai compagni. Perciò all’inizio è consentito ai genitori di stare in asilo per abituare gradualmente il bambino al distacco.

D. L’aggressività esplode davvero quando manca la disciplina?

R. Il problema dell’aggressività mi ha veramente angosciato durante i primi anni. Quando tornano dalle vacanze, i bambini sono molto aggressivi sia verso l’adulto che nei confronti dei coetanei e dei più piccoli. Devo dire, però, che andando avanti nel corso dell’anno, l’aggressività diminuisce e i più grandi diventano protettivi verso i piccoli. Insomma: l’aggressività scoppia spesso nel mio asilo ma soprattutto come reazione alla repressione esterna.

D. Ritieni che il tuo asilo sia veramente libertario?

R. Non credo. La liberazione del bambino è un obiettivo: il nostro sforzo è di tendere a realizzarlo. Inoltre, secondo me, la libertà non deve prescindere dal rispetto dell’altro.

D. Il ritorno quotidiano in famiglia è fonte di conflitto per i bambini? Come rimediate a queste interferenze?

R. Esse non consentono un esperimento educativo veramente libertario. Ho avuto dei casi che mi hanno molto preoccupata: un vero e proprio sdoppiamento nel modo di comportarsi dei bambini che, vivaci, allegri e abbastanza autonomi all’asilo, a casa diventavano dipendenti, annoiati e chiusi e a volte anche molto aggressivi. Mi è capitato un bambino veramente massacrato dalla famiglia: aveva un rapporto talmente negativo con il padre da presentare nel portamento, molto rigido, chiari sintomi di somatizzazione dell’ansia ed era anche affetto da balbuzie. Dopo parecchio tempo era riuscito a sciogliersi nei movimenti e a non balbettare. Ma, appena si trovava in presenza del padre, tutto tornava come prima. Ad ogni modo, dopo due o tre anni di frequenza, il doppio comportamento tende a sparire e la personalità diventa più unitaria.

D. A quali concezioni pedagogiche ti ispiri?

R. All’opera solitaria di Alexander Neill. A chi altro potrei guardare? Ho grande ammirazione per il coraggio dimostrato dall’unico educatore veramente antiautoritario.

D. Mi consenti una domanda da femminista? I bambini lasciati liberi agiscono ugualmente secondo i ruoli sessuali loro imposti dalla tradizione e dal condizionamento familiare e sociale? Per quanto ti è possibile cerchi di decodificare tali ruoli?

R. Non ho rilevato una differenziazione notevole dei ruoli sessuali. I bambini e le bambine partecipano alle stesse attività. Non c’è tendenza al leaderismo da parte dei maschi. Le bambine però non prendono quasi mai parte al gioco della guerra. Fino all’anno scorso nemmeno i maschi. Quest’anno, stimolati da un carroarmato-giocattolo portato da un bambino, vi si sono dedicati per un certo periodo. Abbiamo tentato di scoraggiarli ma con scarso risultato. Lo hanno abbandonato spontaneamente dopo aver esaurito l’interesse.

D. In questo come in altri indirizzi dell’asilo si è vista una carenza metodologica?

R. Purtroppo si. Quest’accusa della «mancanza di metodo» mi viene fatta spesso dalle persone che, lasciamelo dire, non possono o non vogliono capire granché dell’educazione libertaria. Mi è tuttavia di conforto sapere che la stessa accusa fu ostinatamente mossa a Neill, che la respinse sempre, prima con pazienza e poi con fastidio, ripetendo il suo slogan preferito: «Il mio unico metodo sta nel rifiuto di ogni metodo». Ha forse senso parlare di metodo di sviluppo di un fiore? Bisogna solo fare di volta in volta quello che questo sviluppo richiede.

D. E come hai affrontato il problema del comportamento sessuale dei bambini?

R. I bambini sono molto interessati al sesso e al proprio corpo in genere e, qui da noi, possono indisturbati fare giochi esplorativi. Quando li fanno in giardino i passanti a volte intervengono con commenti moralistici, lo d’altra parte non li esorto a rientrare perché non voglio in alcun modo che si abituino a considerare il sesso come una cosa sporca da conoscere clandestinamente. I gabinetti dei bambini sono comunitari, non vi sono porte o pareti che dividano un ambiente dall’altro. I genitori cercano di non ostacolarmi ma a volte la loro apprensione affiora dietro certi interrogativi un pò ingenui: « Ma non prenderanno freddo al pancino quando si scoprono per guardarsi o toccarsi? ».

I maschietti esibiscono il pisello con una certa ostentazione, facendo notare alle bambine che loro non lo hanno. Ad una piccola molto perplessa di fronte a tale constatazione ho suggerito che lei ha il buchino. Così si è inorgoglita e andava dicendo: «lo ho il buchino…» Un gioco ricorrente tra le bambine è quello di fingere di essere incinte facendosi ingrossare la pancia con degli stracci o barattoli.

D. In campo alimentare come ti regoli?

R. Come in ogni altro campo, lascio che i bambini si autoregolino. Qui vige il self-service. Ogni bambino ha il suo vassoio e prende, col nostro aiuto, le cose che preferisce. Cerchiamo solo di non fargli prendere troppa roba perché, come dice Neill, «i bambini hanno gli occhi più grandi dello stomaco». [m.d.a.]