la salute non si vende, si paga

il nuovo contratto ospedaliero vanifica molte delle conquiste delia riforma sanitaria. Questo articolo è un momento di riflessione su una realtà passata sotto silenzio.

ottobre 1978

sono rimasta molto colpita, anche come donna, da quello che sta avvenendo in questi giorni, delle cui conseguenze credo che nessuna di noi si renda ben conto: dopo che si è tanto parlato della salute da parte della sinistra e del movimento delle donne ci si sarebbe aspettata una maggiore attenzione nei riguardi del contratto degli ospedalieri appena firmato per i problemi che esso pone al movimento; invece niente di tutto questo. Una pesante cortina di silenzio è calata da parte della grande informazione, eccettuati i puntuali piagnistei sui malati abbandonati dagli ospedalieri cattivi e un po’ «autonomi» sempre ed in ogni caso corporativi. Situazione che ci deve far meditare ancora una volta sulle conseguenze della mancanza di una opposizione reale nel nostro Paese. Ma anche nella stampa di sinistra è mancata una comprensione reale e una analisi approfondita dei problemi in campo. Si è parlato ora del ticket, ora delle camere a pagamento e del contratto separato dei medici, ora dello sgombero del reparto del Policlinico occupato dalle donne. Si è perso di vista come questi avvenimenti siano facce di uno stesso problema che stravolgono profondamente, anzi addirittura capovolgono, la concezione della medicina divenuta patrimonio di tutti, e non solo del movimento, in questi dieci anni di lotte. Nel ’74 il personale ospedaliero concluse un contratto Unico (cioè lo stesso per medici e paramedici). Era un contratto fortemente politicizzato perché nella parte normativa poneva le basi per un’attuazione «di sinistra» della tanto attesa Riforma Sanitaria. Vi si parlava di sviluppo e valorizzazione del tempo pieno, di dipartimenti, di incremento della pratica ambulatoriale, di una nuova didattica che avesse come riferimento la medicina preventiva.
Nel contratto era presente anche l’apertura dell’Ospedale all’esterno e nel complesso una forte spinta alla medicina pubblica. Inoltre il discorso introdotto sul lavoro di gruppo, sulla figura del medico unico e sull’entrata in ospedale di elementi nuovi (si pensi all’esperienza condotta sullo studio dell’ambiente di lavoro insieme ai consigli di fabbrica) poneva in modo nuovo e originale il problema della degerarchizzazione.
È vero altresì che rimanevano nella legge elementi vecchi, non superati nello scontro contrattuale, quali le camere a pagamento e la libera professione all’interno della struttura pubblica, ma la forza del movimento fece rimanere tali elementi solo sulla carta, aggirando l’ostacolo giuridico con un’intelligente programmazione regionale che non prevedeva le camere a pagamento e la libera professione per mancanza di strutture adeguate. In ogni caso si pensava che queste vecchie leggi sarebbero state superate dalla riforma sanitaria. Il contratto che i medici hanno firmato separatamente col governo riporta la situazione a dieci anni fa. Intanto reintroduce aumenti economici che accrescono, anziché ridurre il ventaglio salariale e che vanno come entità dalle 80.000 alle 160.000 lire di media. È un duro colpo all’egualitarismo portato avanti in tutti questi anni, (alla faccia della giungla retributiva), anche perché questi miglioramenti economici sono realizzati anche mediante reinquadramenti normativi che aboliscono le categorie più basse e separano quindi ancor di più i medici dal resto del personale ospedaliero.
Viene inoltre quantificata, per la prima volta a livello nazionale, l’entità della libera professione. Il medico a tempo pieno potrà guadagnare, con la libera professione svolta dentro l’ospedale, un altro 90% oltre lo stipendio percepito, mentre il medico a metà tempo limiterà questo guadagno al 75% (ampiamente recuperato nei suoi studi privati). Che cosa significherà questo discorso per tutti noi? Semplicemente che per avere una visita specialistica gratuita occorrerà mettersi in lista e aspettare uno, due o sei mesi come all’Oftalmico di Roma, mentre a pagamento si potrà essere visitati nel giro di pochi giorni. Pensiamo poi per un momento a come peggiorerà con l’introduzione della camera a pagamento la già disperata situazione dell’aborto. È veramente un affronto al movimento delle donne passare così brutalmente sopra a tutte le istanze di gestione diversa della salute solo per consolidare i propri privilegi. Diventerà un miraggio sempre più lontano la pratica dell’aborto per aspirazione fatta in un ambiente rilassato e se-‘ reno quando ci saranno le corsie sempre più affollate e si sopirà la coscienza del proprio diritto a essere curate perché persone.
E interessante sottolineare che questo contratto è stato voluto da tutti i medici, anche da quelli «progressisti» del-l’A.N.A.A.O. che hanno preferito allearsi con l’ala più reazionaria, dando vita all’Intersindacale Medica con la copertura ufficiale del P.S.I. e del P.C.I. Ma questo delle camere a pagamento e della libera professione è sì il fatto più eclatante, ma forse non è neanche il più significativo : è la punta di un iceberg la cui base è molto più grossa e meno evidente. Prima ancora del contratto dei medici è infatti passato, con l’approvazione di tutti i partiti e dei sindacati, il ticket sui farmaci, che di fatto reintroduce il principio che una quota per la propria salute deve essere pagata, e che colpevolizza e penalizza il malato per scelte sanitarie operate dai medici. Infatti chi se non i medici prescriveva le tonnellate di medicinali consumate dagli italiani? Queste sono le notizie che tutti sanno. Poi ci sono i fatti sotterranei, come la ripresa delle convenzioni con Enti religiosi, e con cliniche psichiatriche private. Così assistiamo all’assurdo che si chiudono gli ospedali psichiatrici pubblici mentre aumentano selvaggiamente i ricoveri nelle cliniche private ove, fra l’altro, non è possibile attuare nessun controllo da parte del territorio sui metodi di cura adottati.
Infine ci sono i fatti ventilati, previsti o auspicati, non ancora realizzati ma sintomo di un mutato clima politico. Si parla addirittura di un ticket sui giorni di degenza e parallelamente, in campo previdenziale, della non retribuzione dei primi tre giorni di malattia. Scaturisce un quadro estremamente preoccupante che porta il segno di una ripresa dell’ideologia privatistica nel campo della salute, segnando grossi punti a favore degli interessi più smaccatamente corporativi: oltre quelli dei medici, quelli delle case farmaceutiche e dell’industria sanitaria, la quale produce apparecchiature costosissime (il più delle volte inutili).
Ancora una volta il medico è il centro della scienza, il luminare, il semidio che quanto più viene pagato tanto meglio risolve i problemi.
È un colpo serio ai discorsi che come femministe abbiamo portato avanti: sul nostro corpo, sulla riappropriazione della scienza, sulla malattia non come malattia di un organo, ma come stato di malessere di tutta la persona, sull’autogestione, sul controllo del tecnico. È un colpo forse mortale a tutto il discorso della medicina preventiva. Se non capiamo questo e non troviamo nella realtà del territorio la forza di mobilitarci e opporci a tutto questo progetto, e non solo ai suoi singoli aspetti, passeremo in pochi anni dal concetto la salute non si vende a quello opposto la salute si paga.