SESSUALITÀ

mutilazioni sessuali delle donne africane

parigi, 28 ottobre 1978
Giornata internazionale contro le mutilazioni sessuali delle donne africane. Abbiamo tradotto questo articolo per solidarietà con le compagne in lotta.

ottobre 1978

Dopo il Viaggio che, tra il 1973 e il 1977, mi ha portato attraverso 18 Stati e in 28 città dell’Africa occidentale ed orientale ho potuto mettere insieme informazioni sulla circoncisione femminile. Le descrizioni romantiche degli antropologi (per lo più uomini) non si interessano mai né delle conseguenze per la salute delle donne di questi mutilanti riti d’iniziazione né tanto meno di come queste conseguenze si cronicizzino nel tempo divenendo insanabili. (1) Tutte le tradizioni, indifferentemente, vengono lodate per il loro «contenuto culturale», senza riflettere su come questi tremendi interventi sui genitali costino la vita a centinaia di donne e ragazze. A questo bisognerebbe aggiungere che ci sono riti d’iniziazione completamente inoffensivi, che non prevedono lesioni fisiche.
Per prima cosa bisogna precisare alcuni concetti. Ad esempio quello di «circoncisione della donna» è tecnicamente ingannevole, sebbene usato per indicare qualsiasi tipo di mutilazione genitale. (2) Esso fa pensare che si tratti dell’operazione analoga a quella subita dai ragazzi: dal punto di vista medico ciò non corrisponde affatto alla realtà.
La parola infibulazione deriva dal latino fibula (fibbia).
Una fibula veniva ad esempio applicata al prepuzio degli schiavi per evitare che potessero avere rapporti tra di loro. (3) In Africa, soprattutto lungo la costa del Mar Rosso e nella Valle del Nilo, l’infibu-lazione viene praticata da molti secoli ed è descritta in vari testi; da qui discende il termine «circoncisione faraonica». I diversi tipi di mutilazione sessuale sono:
A) La circoncisione Sunna: asportazione del prepuzio della punta della clitoride
B) Eccisione: asportazione dell’intera clitoride con le parti con essa confinanti delle piccole labbra e di tutti i genitali esterni ad esclusione delle grandi labbra.
C) Infibulazione (circoncisione faraonica): asportazione dell’intera clitoride, delle piccole labbra e di una parte delle grandi. Le due parti della vulva vengono poi completamente unite a chiudere la vagina, con l’esclusione di una piccola apertura per l’urina e il flusso mestruale. La ferita viene o ricucita con filo di intestino di gatto o richiusa mediante aculei. I margini di ciò che rimane delle grandi labbra vengono a loro volta uniti, sicché la vagina, a parte la piccola apertura di cui sopra, risulta completamente chiusa. Le gambe della ragazza vengono fasciate insieme ed essa è costretta all’immobilismo per alcune settimane o perlomeno fin quando la ferita si è risanata. Le donne che hanno subito questa operazione devono essere «ritagliate» per poter avere rapporti sessuali ed ancora operate al momento di parto. Qualche volta, dopo il parto, vengono ricucite. La decisione a questo proposito compete al marito, che spesso ha altre mogli. Durante il loro periodo di fertilità le donne vengano sottoposte spesso a questi interventi. La mortalità è alta, tuttavia da nessuna parte vengono compilate statistiche. Il dott. H.T. Laycock, che ha lavorato in Africa, Somalia compresa, descrive alcuni casi da lui trattati in ospedale: (4) «L’eccisione limita senza ombra di dubbio l’attività sessuale della donna ed il piacere che ella prova in Un rapporto sessuale…. L’infibulazione mira ad impedire i rapporti sessuali prematuri, che sono proibiti, e ad accrescere il piacere dell’uomo durante il rapporto. L’infibulazione viene poi rifatta a ritroso per permettere il rapporto. Un’ulteriore incisione può rendersi necessaria al momento del parto…. l’infibulazione sembra essere una pratica di uso comune in tutta la Somalia ed anche i somali più progrediti con i quali ho parlato non erano disposti ad ammettere che fosse una pratica sbagliata o che dovesse essere limitata. L’intervento viene operato su ragazze in età compresa tra gli 8 e i 14 anni… Il chirurgo è sempre la donna più anziana del Midgan. Durante l’operazione viene asportata una parte della clitoride e vengono tagliate le piccole labbra; i margini della ferita vengono poi uniti con spine. La circoncisione Sunna e l’eccisione possono essere distinte solo mediante visita medica, pertanto in questa sede verranno trattate unitamente. La gravità dell’operazione, ovvero delle ferite che vengono inferte alla ragazza, dipende apparentemente dalle usanze locali, dal chirurgo, dallo strumento (abitualmente coltello o rasoio) o dall’abilità di chi pratica l’intervento, per lo più una vecchia donna che nella letteratura specifica viene indicata come «levatrice»; qualche volta è un uomo ad eseguire l’operazione. In caso di morte nessuno ha responsabilità: né il chirurgo, né l’operazione in sé. Bisogna anche aggiungere che l’eccisione, specie in interventi radicali, ha lo stesso effetto della infibulazione cioè la cicatrice si ingrandisce, la vulva viene chiusa e l’ingresso della vagina viene bloccato. Poi bisogna «riparare», ciò che significa nuove ferite e nuovo pericolo di infezione. Quello delle mutilazioni sessuali è uno dei temi più misconosciuti e sul quale vengono diffuse le notizie più false. Né il personale medico occidentale, né la maggior parte degli Africani da me intervistati potevano immaginarsi la portata di queste pratiche né il loro esatto significato medico. Una eccezione è costituita dai ginecologi che esercitano nelle corrispondenti regioni. Ciò che succede nell’Africa Orientale è sconosciuto nell’Africa occidentale e viceversa ed usanze così gelosamente custodite, come le operazioni sessuali, vengono spesso taciute anche agli abitanti del villaggio vicino. Le informazioni basilari sono perciò state raccolte dalla letteratura specifica pubblicata. Esse trovano conferma nello scambio epistolare tra medici e levatrici e nelle storie di donne approdate all’ospedale in condizioni disperate dopo che tutti i mezzi tradizionali avevano fallito.
I due articoli più interessanti sono frutto di una ricerca condotta da Ahmed Abu-El Futuh Shandall, M.D. (5) su 4024 donne che nell’arco di parecchi anni sono state inviate all’ospedale di Khartoum; a 3820 era stata praticata l’infibulazione. Le conseguenze mediche sono raccolte in tabelle e l’autore fa anche proposte per porre fine a queste pratiche. Egli scrive: «Senza voler considerare i tremendi dolori che una simile inumana operazione origina, anche il trauma psicologico provocato alla ragazza è molto profondò, malgrado il fatto che ella è stata educata ad aspettare il giorno della sua circoncisione (Tahour) come un giorno di gioia e di onore che si vive una sola volta… Le ragazze non hanno idea dei dolori che si preparano loro, poiché le madri procurano di non farle assistere a certe scene fino al momento della loro circoncisione… Le complicazioni che immediatamente si presentano sono causa di shock; emorragie, ritenzione dell’urina, ferite agli organi vicini, infezioni, non guarigione della ferita della vulva…» «Delle 3013 donne del gruppo A, che avevano subito la circoncisione faraonica, 102 affermarono decisamente di essere svenute e addirittura di non aver perso sangue, 81 ebbero una certa perdita ematica ed abbisognarono, poco dopo l’operazione, dell’aiuto della levatrice o del medico, 84 ebbero delle emorragie così forti da rimanere shockate e da abbisognare di aiuto medico. Globalmente 267 hanno avuto emorragie o shock o entrambi (8,86%)… 5 ragazze ebbero uno shock neurogeno (2,12%); 5 dovettero essere curate per perdite di sangue e in tre casi queste furono così forti da provocare shock (1,27%), in un caso fu necessaria una trasfusione. Due dei 3 ultimi casi citati furono trattati dall’autore come casi di urgenza. Entrambi presentavano emorragia dell’arteria della clitoride, tagliata e mal suturata…» (6) Ritenzione dell’urina si presentò nel 10% dei casi, in un terzo di questi fu necessaria la cateterizzazione, il che portò con sé per altro il dover eliminare la sutura del-ì’infibulazione, pertanto la ragazza dove, in seguito, essere di nuovo infibulata. (7) Malgrado queste affermazioni ed altre notizie mediche, si pensa che queste pratiche non esistano pia Le autorità inglesi proibirono nel 1945 la circoncisione nel Sudan: un anno dopo essi ritenevano che il numero delle operazioni si fosse ridotto del 75% : ciò non corrisponde però al vero. È chiaro, che, per quei casi che necessitarono di assistenza medica, l’esito di questi interventi mutilatori sarebbe stato mortale in mancanza dell’assistenza stessa. D’altronde soltanto una percentuale trascurabile delle donne sudanesi ha la possibilità di arrivare ad un ospedale o semplicemente ad un trattamento medico. La maggior parte delle popolazione originarie del Sudan (tutte regioni densamente popolate) sottopongono le ragazze all’infibulazione. Le informazioni che seguono riguardano il Kenia e le ho apprese da una levatrice che esercita nel nord del Paese: «La circoncisione delle donne viene ancora praticata in regioni rurali, soprattutto da quei gruppi che ancora sono fedeli alle nostre tradizioni e credenze culturali. L’intervento viene praticato da tribù come i Kuria, Kisii, Masai, Suk, Nandi, Kipsigis e Kamba. Lo scopo dell’intervento è di ridurre (mediante l’asportazione della parte più sensibile del suo sesso) lo stimolo sessuale nella ragazza in età puberale, sì da evitare rapporti sessuali
prematrimoniali. Una volta sposata la ragazza infibulata non ha rapporti extra matrimoniali e così viene salvaguardata la morale della società.
Come levatrice del Ministero della Sanità, vorrei peraltro citare dei casi in cui delle partorienti, soprattutto primipare hanno avuto complicazioni durante il parto (ad esempio prolungamento della seconda fase) causate proprio dall’operazione subita; il perineo non riesce a dilatarsi per lasciare passare la testa del bambino, in questi casi bisogna, ad ogni parto, incidere il setto perineale per evitare gravi lacerazioni tanto al perineo quanto ai muscoli adiacenti che a loro volta coinvolgono anche l’intestino crasso. Spesso questo donne hanno anche una fistola vaginale vascolare difficilmente trattabile senza personale specializzato. Inoltre sono molto alte la mortalità e la possibilità di ferite cerebrali tra i neonati di primo parto. Molti bambini partoriti a casa, senza l’aiuto di levatrici preparate, nascono morti per il prolungarsi del parto. Dai margini delle cicatrici si originano forti emorragie e la cicatrice stessa forma in continuazione ematomi che causano dolori atroci». (8)
Il ministero della Sanità del Kenia rifiuta tuttavia di ammettere l’esistenza di queste operazioni mutilanti, per tacere completamente sulla sua disponibilità a compilare statistiche sui danni irreversibili provocati a donne e ragazze da queste pratiche. Uno scambio epistolare tra il Ministero della Sanità e la facoltà di medicina di Nairobi mostra inoltre che finora non è stata intrapresa alcuna ricerca medica nel campo di queste operazioni ai
genitali, benché si tratti di un importante problema della salute pubblica, dal momento che un numero sempre crescente di donne si rivolge alle moderne istituzioni sanitarie dopo che gli altri mezzi tradizionali hanno fallito. A tutto questo bisognerebbe aggiungere che il Presidente Kenyatta è un acceso sostenitore di tutti i riti tradizionali e che, in una controversia con gli Inglesi, ha affermato che la mutilazione dei genitali è la componente fondamentale dei riti d’iniziazione dei Kikuyu, cioè del più importante gruppo etnico Keniano che egli rappresenta. Nel suo libro Facing Mount Kenia c’è una romantica descrizione di questa cerimonia, descrizione che egli basa sulla sua dissertazione antropologica con Bronislav Malinovski alla London School of Economics. (9) Il cieco avallo di Kenyatta a tutte le tradizioni sulla falsa riga di quanto sostenuto dagli antropologi occidentali (tutti uomini), che approvano i medesimi scopi unilaterali, ha gli effetti più disastrosi sulla salute delle donne.
Sembra una ironia della sorte che attualmente, e cioè contemporaneamente alle affermazioni di Kenyatta, molti folkloristiri riti d’iniziazione dei Kìkuyu (e di altri gruppi etnici) vengano ampiamente semplificati se non addirittura abbandonati del tutto. Però ho appreso che le operazioni alle bambine vengono ancora praticate sotto forma di «cerimonia privata» poiché gli uomini ancora lo pretendono. Come una volta Kenyatta disse: «Ad un Kikuyu non verrebbe mai in niente di sposare una ragazza non circoncisa». Così queste pratiche vanno avanti: anche nelle regioni raggiunte della modernizzazione, addirittura nelle città, poiché il matrimonio è indispensabile non solo alla ragazza keniana ma in genere a tutte le donne africane. Lo scopo della vita delle donne locali è di generare figli: senza non sono nulla.
Attualmente l’eccisione viene praticata in tutta l’Africa occidentale. In Nigeria, il paese più densamente popolato dell’Africa, l’eccisione viene praticata da alcuni dei più grandi gruppi etnici, il che ha come conseguenza che quasi tutte le donne di quel Paese vengono operate. Il dott. C. Longo ci dà notizia delle esperienze in campo ginecologico e ostetrico da lui vissute durante il suo lavoro nella regione dell’Ite. Questa regione comprende la Nigeria occidentale ed alcuni territori confinanti ed è abitata dagli Yoruba, una stirpe che conta circa 5 milioni di appartenenti. Egli descrive le modalità con cui si svolgono il parto e la circoncisione, che viene praticata a bambini e bambine nel sesto giorno di vita. «La circoncisione viene praticata poco dopo l’alba dal locale «uomo di medicina». Un paio di forbici o due pezzi di bambù mossi a guisa di forbici servono ad asportare la parte anteriore delle piccole labbra e la clitoride in unico pezzo della grandezza di un «nocciolo di dattero». In alcuni casi tanto le piccole che le grandi labbra vengono completamente tagliate via. Non c’è anestesia. Per frenare la conseguente emorragia vengono applicati tamponi di ovatta umida e la pressione necessaria viene realizzata stringendo le gambe l’una contro l’altra… Qualche volta subentrano complicazioni dovute ad emorragie molto forti, infezioni e tetano». (10)
Ci si può solo chiedere quanti neonati riescano a sopravvivere tanto alla difficile operazione quanto alle infezioni che subentrano a causa di mani e strumenti sporchi. Il dott. Longo ha scritto anche un secondo articolo sulle operazioni da lui stesso pretese per combattere le fistole (11) In esso egli constata come molte donne soffrano di fistole alla vescica ed ai genitali interni provocate dalla prolungata fase di espulsione durante il parto, a sua volta dovuta alle cicatrici della circoncisione. A scopo informativo e didattico è stato realizzato un film «Ostetricia e ginecologia in una comunità dell’Africa occidentale» nel quale vengono mostrate queste operazioni in quelle regioni. (12)
Tuttavia nella letteratura medica non viene messo esplicitamente in risalto il legame causa-effetto che è stato chiaramente rilevato dall’ostetrica Keniana, sebbene i ginecologi direttamente interrogati su questo lo ammettano. Per questo queste pratiche mutilanti vengono proseguite oggi come ieri in tutta l’Africa.
Soltanto in Sudan la letteratura medica giudica questi danni per quel che sono e cioè la conseguenza di certe pratiche iniziatone e pretende una migliore informazione della popolazione: un lavoro gigantesco, dato che la maggior parte delle donne interessate è analfabeta. Accanto alle già ricordate e più o meno immediate conseguenze ci sono poi successive complicazioni ginecologiche: dermocisti (cisti o tumori ricoperti di pelle), definite rare, spesso presenti in Sudan, (13) menorragie (flusso mestruale eccessivo), la causa si può ricondurre alla circoncisione attraverso una infiammazione cronica del bacino; dismenorrea (mestruazione difficile e dolorosa), è da riportare ad una infiammazione cronica del bacino o ad un danno provocato dalla fuoriuscita del flusso mestruale attraverso la piccolissima apertura; dolori durante il rapporto sessuale; criptomenorrea (flusso mestruale senza perdita di sangue) che a sua volta può essere causa di gravi punizioni da parte di genitori severi che credono la ragazza incinta; (14) formazione di tumefazioni cicatriziali (iperaccrescimento dei tessuti cicatriziali) che si riscontra soprattutto nelle donne afro-arabe.
i La circoncisione della punta della clitoride e l’eccisione vengono praticate da i molte popolazioni dell’Africa occidentale, I orientale e centrale lungo un’estesa fa-
scia che, a cavallo dell’equatore e poco più a nord di esso, si estende dalla Somalia, lungo la costa del Mar Rosso, fino alla costa atlantica del Senegal. A giudicare dalla bibliografia specifica pubblicata, queste operazioni interessano più di 26 Paesi africani, tra i quali quelli costieri, j sia ad est che ad ovest, che sono i più popolosi, centinaia di gruppi etnici e milioni di donne. La eccisione è così diffusa che è ancora impossibile disporre di una lista completa (alla compilazione della quale si lavora attualmente) delle tribù e delle regioni da essa interessati. Le popolazioni e le regioni più famose sono: i Kikuyu, la più grande stirpe del Kenia (sostenuta dal presidente Kenyatta) ; i Masai in Kenia e Tanzania; altre popolazioni sempre in Tanzania, nel nord e sulla costa del Kenia; lo Zaire settentrionale (dove l’operazione viene eseguita da uomini); molte parti dell’Etiopia, dell’Egitto e delle regioni confinanti; Benin, Togo e la Repubblica centro-africana; il Sudan (la maggior parte della popolazione) ; tutti i Paesi dell’Africa centrale; importanti gruppi etnici della Nigeria (ad esempio presso gli Yorubas viene praticata ai neonati); Uganda; Camerun settentrionale; Ghana sett. quasi ovunque nell’Altovolta e Mali; la maggior parte della popolazione nella Sierra Leone; Mauritania, Gambia, Senegal e popoli di quasi tutti i Paesi dell’Africa occidentale. L’infibulazione viene praticata nell’Egitto meridionale (da cui il nome di circoncisione faraonica) e in tutta la valle del Nilo; nelle regioni più popolose del Sudan, comprese Kartum e Omdurman: sicché la maggior parte delle donne sudanesi è infibulata; l’intera popolazione femminile della Somalia, comprese le mogli delle personalità politiche dell’attuale governo rivoluzionario; il territorio degli Aras e Issas (Djibouti) parti dell’Etiopia e in particolare l’Eritrea e lungo l’intera costa del Mar Rosso.
La tradizione dell’infibulazione dovrebbe essere originaria del sud della penisola araba. Altre fonti riportano invece il Kenia settentrionale (confinante con la Somalia) o alcune popolazioni nomadi dell’Africa centrale che avrebbero diffuso questo costume dal Sudan e dalla Somalia verso ovest.
perché questi usi continuano a sopravvivere, malgrado siano causa di tali danni alla salute e malgrado la gente sia consapevole della loro pericolosità? Uno dei motivi più comunemente addotti è che l’eccisione è necessaria per poter concepire dei figli. Di questo le donne sono per lo più convinte: in definitiva il generare figli è, in questi Paesi, lo scopo della vita di una donna. Per una donna africana d’oggi è una tragedia non avere figli. Gli uomini e gli anziani ritengono che le operazioni sono intese a preservare la fedeltà della donna e ad evitare «capricci» troppo pericolosi nelle ragazze giovani: pertanto esse vengono praticate nell’interesse della morale e della famiglia. L’uomo ha spesso più di una moglie, e si può trovare una, correlazione tra le mutilazioni sessuali della donna e la poligamia. L’uomo si rifiuta di sposare una donna non circoncisa, dunque per le donne non c’è altra via d’uscita. Si crede che le donne non circoncise siano sterili. Molti credono anche che questo uso sia stato prescritto dagli Avi e che ci si debba improrogabilmente attenere: cose terribili si prospettano per chi vi si oppone. Senza l’eccisione la ragazza non può diiventare membro adulto della società; j Nei Paesi non maomettani la preservazione della verginità non è lo scopo fondamentale dell’operazione, come invece accade nei Paesi di questo credo religioso.
Nei Paesi rigidamente maomettani, peraltro, l’infibulazione viene appunto praticata per garantire in maniera «tangibile» la verginità: la posta in palio è l’onore dell’intera famiglia e tanto più piccola è l’apertura dei genitali della ragazza, tanto più alto è il prezzo che lo sposo deve pagare ai di lei genitori. Ciò, tuttavia, non esclude affatto la separazione, che anzi è abbastanza frequente. Le donne sono oggetti in mano dell’uomo e non possono disporre di se stesse. L’infibulazione viene praticata molto prima del-| l’inizio della pubertà, spesso a bambine ; tra i 4 e gli 8 anni; l’eccisione invece viene effettuata per lo più durante il periodo puberale e prima dell’inizio delle mestruazioni, a ragazze tra i 12 e i 14 anni (ad eccezione dei Masai, che operano la ragazza dopo il matrimonio; in Etiopia e presso gli Yoruba in Nigeria l’intervento viene effettuato sui neonati): a differenza dell’infibulazione, l’eccisione ha soprattutto il significato di rito d’iniziazione.
Abitualmente gruppi di ragazze coetanee vengono operate insieme fuori del villaggio. Dell’intervento si incaricano cosidette levatrici o vecchie donne, successivamente le ragazze trascorrono, lontane dalla famiglia, un periodo di tempo variabile tra alcuni giorni e alcuni mesi durante il quale vengono istruite sui doveri di una moglie. A seconda dei vari gruppi etnici l’operazione è accompagnata da varie cerimonie.
Riti di iniziazione comprendenti l’eccisione vengono praticati anche da popolazioni che si sono convertite al Cristianesimo. Nel passato alcuni missionari protestanti hanno combattuto violentemente contro questa operazione, ricordiamo a questo proposito, soprattutto la Scottish Missionary Society, (15) ma oggi non si sente più nulla o molto poco su passi di questo genere. I cattolici hanno sempre chiuso un occhio sulle mutilazioni ai genitali e non hanno mai protestato contro queste tormentose operazioni eseguite su bambine indifese. Missionari cristiani hanno anche lasciato sussistere lo status quo di ignoranza riguardo ai problemi del sesso e della fecondazione permettendo così in silenzio il perpetuarsi di certe tradizioni. Un’altra giustificazione addotta è che l’asportazione della clitoride è l’analogo della circoncisione nei maschi e pertanto quella come questa è l’operazione necessaria per consentire alla ragazza il passaggio dalla fanciullezza alla maturità, cioè per diventare donna. Nella letteratura etnografica esistono a questo proposito molte storie più o meno «infiorate». Una di queste leggende, di cui ci dà notizia J. Lantier, è stata raccolta dalla voce di uno stregone e riguarda la giustificazione dell’eccisione: «Dio ha creato la donna in modo che Egli soltanto, al momento del concepimento, può generare in lei una nuova vita. Dio (lo Spirito) non ha mai fatto nulla senza un buon motivo… Una donna ha due diverse e separate zone del corpo: quella in cui percepisce desiderio ed eccitazione, cioè la clitoride, e poi la vagina. La vagina è chiusa e può essere aperta soltanto dal marito, che con tale atto, apre la via allo Spirito degli Antenati, il che gli permetterà di perpetuare la famiglia. Dio (o lo Spirito) ordina che questa parte del corpo non venga insudiciata e desidera essere il solo a procurare alla donna il massimo dei piaceri. Dio ha fatto alla donna una clitoride, affinchè ella possa godere prima del matrimonio restando pur tuttavia pura. Il piacere che essa prova risveglierà in lei il desiderio del matrimonio. La clitoride viene asportata soltanto quando la giovane donna è in grado di concepire, ma non prima, poiché fino a quel momento ella ne ha bisogno per masturbarsi. Dopo l’intervento le ragazze si sentono tradite. Il loro desiderio sessuale si concentra allora su una sola parte del corpo ed esse si affrettano a sposare. Così la coppia vive insieme il piacere più intenso, proprio come voluto dallo Spirito degli Avi». (16) Questa e simili storie si raccontano in Africa. È sorprendente ritrovare in queste leggende il medesimo mito maschile che domina tra i medici e soprattutto in Freud. E le accezioni di Freud vengono accettate nel mondo occidentale, costruito a misura di maschio e da esso dominato, con la stessa arroganza presente nella storia di questo «uomo di medicina» africano. Evidentemente né Freud, né gli stregoni africani sapevano di essere affascinati dalla medesima convinzione sbagliata e tipicamente maschile e cioè dal mito dello orgasmo vaginale. In ogni caso hanno dovuto pagare le donne, in Africa spesso con la vita.
È un’ironia della sorte che delle bambine subiscano, a garanzia della loro fertilità, proprio quelle operazioni che hanno potenzialmente l’effetto di pregiudicarla per sempre. Questi interventi non portano infatti soltanto complicazioni al momento del parto, ma sono anche causa di sterilità, poiché provocano infezioni ai genitali. Accade persino che, in quei villaggi dove l’eccisione non viene abitualmente praticata, essa venga raccomandata come cura nei casi di sterilità. Ultimamente ho ricevuto questa lettera da un giovane medico in Nigeria:
«Una giovane donna di circa 30 anni venne condotta nel nostro ospedale. Le avevano consigliato come cura per la sua sterilità di farsi asportare la clitoride ed essa si era sottoposta all’operazione. Era sotto shock, aveva perso molto sangue, respirava a fatica, aveva i battiti del polso accelerati e sudava abbondantemente. È stata rianimata per mezzo di una trasfusione (più di un litro di sangue) e poi operata di urgenza per fermare l’emorragia. Senza questo aiuto sarebbe morta». (17)
Senza l’infibulazione una ragazza del mondo maomettano non può sposarsi e il matrimonio, come già detto, è l’unico compito della sua vita di donna. Ella viene ceduta, in cambio di denaro o bestiame, ad un uomo che è disposto a pagare il prezzo necessario, ma soltanto dopo che la madre abbia potuto controllare se la suturazione dell’infibulazione è ancora intatta e se la ragazza è stata «cucita» a dovere. Così viene consegnata dal padre , ad un uomo che la prende in moglie e compra la sua fertilità, spesso prima ancora che essa abbia avuto la prima mestruazione. Tanto più ricco è l’uomo, tante più mogli egli si può permettere; la separazione è comune e facile, anche se il padre deve restituire almeno una parte del prezzo ricevuto con il matrimonio. Non avere figli è motivo di separazione. Dopo ogni separazione la donna viene di nuovo suturata. Il controllo sulla fertilità della donna è diritto assoluto dell’uomo cui ella appartiene.
Nell’Africa nera e nei Paesi a sud del Sahara la posizione della donna sia nella società che nella famiglia (ricordiamo l’usuale poligamia), la qualità della sua vita dipendono dal numero dei bambini generati, cioè dalla sua fertilità. Data la grande importanza che questo problema riveste per tutte le donne africane, è preoccupante constatare quanta ignoranza ancora esista, come poco venga intrapreso per divulgare informazioni sulla procreazione. Con i moderni metodi questo problema della divulgazione di certe realtà mediche non dovrebbe essere né un ostacolo insormontabile né un compito economicamente troppo gravoso. I costi dei danni alla salute delle donne sono già ora molto superiori a quelli necessari per una azione di informazione e soltanto circa il 10% della popolazione ha possibilità di accesso alle moderne istituzioni sanitarie. Sempre più donne si rivolgeranno ai moderni istituti di medicina e questo in conseguenza di mutilazioni artificiosamente create e perfettamente evitabili.
Dalla Somalia ci giunge un articolo su una situazione più recente. (18) In esso vengono esposte le esperienze del Dr. G. Pieter, relative ad un periodo che va dal 1966 al 1968, quando lavorava come ginecologo in un ospedale della CE a Mogadiscio. In esso si legge che ogni domenica venivano eseguite nella sala operatoria principale dell’ospedale circa 15 infibulazioni a bambine tra i 4 e gli 8 anni di età. Le persone più ricche, dice il Dr. Pieters, pagano chirurghi per essere certi che l’operazione venga eseguita correttamente e fanno fare l’intervento in anestesia completa. Nelle sue lettere il Dr. Pieters non si limita a confermare questa realtà, ma afferma anche che simili operazioni vengono eseguite anche in ospedali di altre città da lui visitate. Il Dr. A. J. Abdille, presidente della delegazione somala alla conferenza dell’ONU del giugno 1976 a Vancouver, affermò di aver fatto infibulare le sue figlie, così come del resto era avvenuto per sua moglie. Quando gli chiesi degli interventi fatti in ospedale, rispose: «Così è meglio», e quando gli accennai che forse sarebbe stato meglio cambiare le tradizioni disse semplicemente: «Ma lo fanno tutti».
Già da tempo si sente la necessità di una indagine rivolta all’intero continente africano sulle mutilazioni sessuali nonché sulla mortalità e sulla percentuale di malattie da esse derivanti e questo è proprio ciò che è stato richiesto nel 1960 dalle partecipanti ad un seminario ad Addis Abeba. Una qualsiasi azione, che necessariamente dovrà essere organizzata a livello regionale, data la moltitudine di popoli nomadi, è senz’altro destinata a fallire senza il necessario supporto di analisi mediche e statistiche complete. Analogamente si deve mostrare con chiarezza, attraverso studi clinici, lo stretto rapporto tra mutilazioni sessuali e sterilita. La bibliografia medica imputa fino al 25% dei casi di sterilità a queste operazioni e in particolare all’infibulazione, malgrado ciò non esiste ancora un’indagine che evidenzi questo rapporto di causa-effetto. Un rapporto sulla sterilità pubblicato nel 1975 da un gruppo di lavoro della WHO (World Health Organization) non coinvolge ad esempio né questi interventi mutilanti, né il rapporto con la sterilità. (19) Tuttavia ben poco potrà essere fatto fin tanto che i Ministeri dì Sanità nazionali continueranno nella loro politica del nonvedere, del non-sentire, del non-voler sapere, perché le organizzazioni internazionali hanno bisogno della loro collaborazione ed anzi del loro attivo sostegno; e finché la realtà dei fatti viene taciuta dalla stampa soprattutto nel mondo occidentale non verrà intrapreso alcun passo in questo senso. Nel frattempo queste operazioni vengono istituzionalizzate nelle moderne strutture mediche e persino negli ospedali, come accade in Somalia. Attualmente anche le più remote regioni africane sono state raggiunte dalle vaccinazioni, dalle campagne contro la malaria e dai provvedimenti contro le epidemie. Ma la diffusione di informazioni sul reale svolgimento della procreazione viene designata come «immischiarsi nelle tradizioni culturali». Giustificare la pratica di certi interventi solo perché sono diretti a donne e bambine nere, che vivono in un determinato ambiente culturale, è quanto di più bassamente odioso possa essere fatto in campo di discriminazioni razziali e sessuali da coloro che sanno ed hanno a disposizione i mezzi per porre fine a questo abuso. È ridicolo parlare di progresso fintanto che nulla viene intrapreso per impedire queste mutilazioni razionalmente inferte a bambini colpevoli soltanto di essere femmine.,

(Trad. di Silvia Carloni dalla rivista tedesca Courage, sett. 1978)

note:
1. J.A., MD, Sequelae of Femme Circumcìsion. Trop. Doct. pp. 163-169, Od. 1975
2. Ahmed Abu-El Futuh Sitandoli, M.D., Circumcìsion and Infibulatìon of Females, Sudan Medicai Journal, Voi. 5, No. 4, pp. 179-212,1967
3. Carl Gosta Widstrand, Female lnlibulatìon. Studia Ethno-gephica Vpsaliensa, Voi. XX, 1964
4. H.T. Laycok, East Ajr. Medicai Journal, Voi. 27, pp. 445 1950.
5. Futuh Shandall, p. 179
6. Futuh Shandall, p. 186
7. Futuh Shandall, p. 186
8. Lettera ricevuta dall’autrice
9. Jomo Kenyatta, I Kikuyu
10. Lawrence D. Longo, MD Sociocultural Practices Relating to Obstetrics and Gynecology in a Community in West Africa AM, Journal oj Ostetrical Gynecol. Voi. 89, N. 4, pp. 416-415 Junel5,1964.
11. Lawrence D. Longo, M.D., Postobstetric Genìtourinary Tract Fistula. Un rapporto su 38 casi in un villaggio dell’Africa Occidentale. Obstet. Gynec. Voi. 23, N. 5, pp.. 768-773, May 1964.
12. Loma Linda University, Audio Visual Service, Motion Pie-ture Library. Ob Gyn West African Community N. 007, p. 2 Lorna Linda, Calif.
13. A.Z. Mustafa, El Hakim, Voi. 9, p. 109,1969
14. Ebenda.
15. Jocelyn Margaret Murrary, The Kikuyu Female Circumcìsion Controversy. Tesi, Univ. of Calif. Los Angeles, 1964.
16. Jacques Lantìer, La Citè magique et magie en Eirique Noire, Librarie Fayard, 1972.
17. Lettera di un medico dalla Nigeria, agosto 1976
18. G. Pieters, M.D., Gynaecologie au Pays des Femmes Con-sues. Ada Chir. Belg., pp. L 73-193, Maggio 1972.
19. The Epidemiology of Infertility, Techinical Report Series N. 582, Organizzazione Mondiale della Sanità, Ginevra 1975.

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