cinema

quale mare ci ha chiamate?

la norma che vuole l’interdizione della donna dal «fare cinema» e dal formulare nuovi discorsi critici, si sta man mano smentendo.

ottobre 1978

in opposizione ad un vuoto culturale fioriscono momenti di incontro e dibattito sui films delle donne. In questi giorni a Sorrento (dall’11 al 13 ottobre) si è svolta la terza rassegna del Cinema Femminista, nell’ambito degli Incontri Internazionali del Cinema. La rassegna organizzata dalle Nemesiache e coordinata da Cine Femme International nasce con l’intento di costruire dei momenti di riflessione sul cinema, con le autrici e le spettatrici. La rassegna ha proposto come tema di ricerca la follia, presentando questi film: II mare ci ha chiamato di Lina Mangia-capra, Paradise place di Gunnel Lindblom, Donne da slegare di Armenia Balducci, Mapi Maino e Marilisa Trombetta, Union Maids di Julia Reichert, Sotto il muro di Liliana Ginanneschi, Aloise di Liliane de Kermadec, Das zweite erwa-chen (Il secondo risveglio) di Margarethe von Trotta, Maternale di Giovanna Gagliardo e, inaspettati ospiti, i superotto di Luciana Lusso dal titolo Quello che accade nel frattempo e Parole per immagini di Anna Maria Piccioni. Illustriamo rapidamente i films di maggior interesse, riservandoci un discorso a parte per i superotto. Paradise Place narra la storia di Katha, divorziata da lungo tempo, dottoressa, madre di due figlie e già nonna di tre nipoti. Katha invita i familiari e l’amica Emma a trascorrere alcuni giorni di vacanza nella sua casa tra i boschi, denominata: Il Posto del Paradiso, illudendosi, così, di ricostruire il precario equilibrio dei rapporti di interazione tra lei, le figlie e l’amica Emma. Il film, un gentile affresco della società permissiva svedese, coglie la decadenza e la solitudine dei rapporti, la perduta capacità di comunicazione, culminando nel suicidio di un giovane nipote di Katha e nel sintomatico discorso di Emma pieno di ancestrale e ambiguo umano perduto. Donne da Slegare: la casalinghità tema portante del film, è di fattura e contenuto discutibili. Il film ha suscitato, durante il dibattito con le autrici, commenti positivi: per quanto riguarda il tentativo di cogliere il nesso esistente tra l’essere casalinga e la presa di coscienza femminista del ruolo stesso della casalinghità, negativi laddove il film, formalmente reazionario, vedeva la casalinga come un oggetto di indagine sul quale parlare da esperte, infatti il commento con voce fuori campo è fatto da tre esperte di femminismo: una psicanalista, una sindacalista, una politica.
Sotto il Muro: film che si richiama all’underground americano; contiene degli elementi che l’autrice così illustra: «Il sogno-incubo di una donna che ricostruisce con una serie di immagini e suoni il suo malessere di fronte al desiderio di procreare, alla paura del dolore…» Il Secondo Risveglio individua nella storia di Christa, una giovane maestra d’asilo, il rapporto di trasgressione della donna con le istituzioni. Christa rapina una banca per sovvenzionare l’asilo aperto dove va sua figlia. Viene riconosciuta dall’impiegata della banca, che l’identifica, pur negando al posto di polizia la certezza del suo riconoscimento. Questo sarà la salvezza di Christa. Nel film i rapporti di solidarietà tra donne si fanno evidenti, nel corso della narrazione, nel momento in cui sia la giovane impiegata che l’amica d’infanzia, sposata ad un ufficiale federale, attraverso le vicende di Christa, prenderanno coscienza nel sentirsi vicine al mondo dei bisogni della protagonista che agendo in forza di un ideale da perseguire, le pone di fronte alle proprie contraddizioni di piccole borghesi.
Aloise: storia di una contadina che voleva cantare e non soddisfatta nel suo desiderio, man mano viene considerata folle. Nell’istituzione manicomiale dove viene messa, a seguito della guerra, ella si costruisce un mondo di immagini naives. I quadri esposti in un seminario di studio per psichiatri ci indicano la repressione subita dalla donna nel non potersi esprimere in pubblico, nel dover dichiarare, accettandola, la sua non possibilità di vivere una vita da individuo nella Francia di quegli anni. Il film non vuole essere semplicemente un atto di denuncia della condizione della donna, ma la ribellione alle autorità, date come certe per una donna: il padre, il maestro, il matrimonio. Aloise non comprende storicamente un’epoca, ma rivoluziona nel film, con il suo atteggiamento una storia di schizofrenia come vuoto, imponendo lo spaccato di una persona.
In questa sede non ci soffermeremo a parlare di Maternale di cui è già stato scritto. Lo ricordiamo come esempio della entrata di un prodotto nel circuito nazionale.
Avevo detto che un discorso a parte; va fatto per i superotto.
Se la memoria non mi inganna, qualche mese fa Rony Daopulo, alla fine della proiezione di un film di una donna, in super otto, e riassumendo con le mie parole il contenuto del suo discorso, disse:. «Bà.-sta con i veli, i sospiri, i film in viola, le sfocature e gli attacchi sbagliati. I drammi che si perdono nella vastità di oceani senza risposta del sentire come donne. Un film, per chi voglia fare cinema, non è un hobby (sé lo è, è bene, dirlo), un film è un percorso, un progetto e come tale non può dimenticare il mezzo stesso che lo produce…» La mia sensazione è soprattutto questa, le donne dimenticano troppo spesso l’itinerario da percorrere, illudendosi che basti dichiarare di essere contro un modo di cinema maschile, la cinepresa controllata dal loro occhio, produca immagini e suoni non offensivi per la donna. Ricordo a questo proposito t’onirismo-erotico dei suoni e delle immagini del «Il Mare ci ha chiamate», che conteneva stereotipi del tutto simili a talune sensualità, di natura maschilista. Inoltre far capire ad altri l’immagine proiettata, significa aver acquisito la capacità di astrarsi dal proprio io interiorizzato, astrarre un corpo di donna, un ambiente in un immagine. Questo accenno polemico tenta un’analisi, poiché ritengo giunto il momento di ( chiarire che il diritto di scelta di un prodotto va fatto non accettando tout court la tesi che dice che le donne non si sono mai espresse e quindi qualsiasi produzione femminile ha valore poiché investe la capacità e l’esserci delle donne, io come donna e in quanto femminista non mi sento debitrice di un tormentoso delitto da far pagare al mio modo di percepire ] immagini e discorsi sul cinema, trovo j ideologico e frastornante il discorso che vuole la creatività femminile priva di progetti, di analisi, di ricerche. Distinguere l’inizio di tentativi di produzioni e lavoro di professioniste, impegnate nel campo cinematografico, mi sembra importante. Il fare cinema significa sceglie- ,, re una professione, possiamo anche decidere di giocare con la cinepresa. Non è però logico creare dei luoghi, come le rassegne di cinema femminista, accettando in toto i prodotti. La ricerca di un possibile linguaggio filmico femminile è all’inizio, divulgare in queste rassegne opere e contenuti spacciandoli per cultura al femminile, mi sembra un atteggiamento demagogico e massimalista che certo non aiuta a sciogliere i nodi di un problema. Augurandomi che l’atto polemico insito nell’articolo possa sviluppare un ampio dibattito nelle prossime rassegne vi saluto con la metafora di Bertold Brecht: «Che è un susino, appena lo credi/ perché susine non ne fa./ Eppure è un susino e lo vedi/ dalla foglia che ha».