alla scoperta di un libro

La coscienza di sfruttata, Ed. Mazzotta, di L. ABBÀ, G. FERRI, G. LAZZARETTO, E. MEDI, S. MOTTA. L 1.800.

febbraio 1973

Nel periodo 69-70, all’interno della facoltà di Sociologia di Trento, un gruppo di donne, avendo colto la portata rivoluzionaria del pensiero femminista americano, decise di scegliere, come argomento per una tesi di laurea, lo sfruttamento e l’oppressione della donna in quanto sesso discriminato. Questo gruppo si servì non soltanto degli strumenti della critica sociologica, ma utilizzò soprattutto il contributo delle donne che, in prima persona e partendo dalle loro esperienze personali, faceva esplodere in tutta là sua complessità la reale condizione femminile affrontata dalla Sinistra tradizionale in modo del tutto trascurabile. La discussione della tesi si svolse in un clima di tensione e di grande partecipazione. L’aula era gremita di studenti, i maschi assistevano con aria divertita e ironica, mentre le donne, studentesse e casalinghe di Trento, si mostravano decise a partecipare collettivamente alla discussione. Era un procedimento nuovo, che rimetteva in discussione, nel momento più ufficiale del periodo universitario, la separazione tra la scienza, astratta e burocratica, e la realtà vissuta di cui questa scienza voleva essere portavoce. Al primo intervento di una donna presente nell’aula, la commissione si oppose, minacciando di interrompere la tesi: «Il pubblico non può intervenire» «Noi non siamo pubblico» risposero le donne «Stiamo contribuendo con “questo lavoro”, con le nostre azioni, con la nostra presa di coscienza, a chiarire la nostra situazione. La «Scienza» ha sempre parlato di noi dall’esterno, adesso noi lo facciamo in prima persona».

Cominciavano ad alzarsi i cartelli di protesta: «Scienza borghese e maschile» «Anche all’interno dell’Università le donne non possono parlare» e per finire: «Merda, merda ai patriarcato accademico». A questo punto tutti si sentirono coinvolti e la tesi potè essere discussa. L’idea centrale successivamente rlelaborata e pubblicata come libro era che le donne costituiscono una casta all’interno della classe. L’appartenenza ad una casta si basa su caratteristiche ben identificabili: per esempio il colore della pelle o il sesso. Alla casta non si può sfuggire proprio perché è impossibile rifiutare la propria condizione biologica. La donna non può smettere di essere donna. SI trova perciò confinata nel vicolo cieco della casta, senza poter scegliere. La coscienza di questa condizione la porta a scoprire il proprio rapporto antagonista con l’uomo. Da sempre l’uomo ha avuto il predominio sulla donna, sia dal punto di vista materiale che ideologico. Nei confronti dei rapporti produttivi, basati sulla funzione economica, che è quella fondamentale, la superiorità dell’uomo è una costante rintracciabile in tutto il corso della storia.

È stato ed è così possibile contrabbandare il contributo della donna (produzione e allevamento figli, lavoro domestico, etc.) come fatto naturale, proprio dell’essere donna, quindi al di fuori del rapporto produttivo fondamentale, di riserva, svalutato rispetto al contributo dell’uomo.

Il libro analizza storicamente questi fattori e mette in rilievo come la donna, acquistando coscienza del proprio sfruttamento, diventi l’alleata di tutti gli altri sfruttati, cioè di tutti quelli che come lei, sono stati messi al margini del rapporto produttivo fondamentale. Grazie alla propria «coscienza di sfruttata» la donna viene quindi messa in grado di individuare nel capitalismo la contraddizione ultima e più esplosiva di quel sistema patriarcale che per secoli l’ha relegata nella casta.