analizzati i cosmetici all’università di bologna

cosmetici sotto accusa

Paghiamo 70.000 lire al litro l’acqua da metterci in faccia

febbraio 1973

Spendiamo ogni anno in saponi, creme di bellezza, prodotti da trucco, dentifrici eccetera, la ragguardevole somma di 500 miliardi di lire. Eppure l’industria dei cosmetici, che bersaglia le sue acquirenti con una martellante pubblicità, che ha un posto d’onore nelle pagine dei giornali femminili, che imperversa alla radio e alla televisione, è tuttora — nonostante i progetti di legge e le normative comunitarie sempre in corso — priva di qualsiasi controllo, a qualunque livello.

Chiunque oggi può mettersi a fabbricare creme, anche a domicilio e magari, già che c’è, aprire un istituto di bellezza dove massaggerà visi, seni e gambe di fiduciose clienti coi suoi manufatti. Come chiunque, dopo aver fatto un corso frettoloso di estetica presso qualche azienda, può circolare per le profumerie italiane, mettersi un camice bianco è sentenziare sulla pelle di tutte le donne che capitano a tiro, e consigliare l’acquisto di questa o quella crema: «Con la sua pelle, signora, ci vuole una buona crema nutriente (la più cara), vede come è disidratata, questa rigenera “le cellule”…» É via, partono dieci, anche quindicimila lire per una scatolina piccolissima, graziosissima, cori pochissima crema (tanto il peso non si sa) che al posto dell’etichetta informativa, con gli ingredienti dichiarati, porta un nome di fantasia, favoloso, che evoca boschi della Transilvania o misteri orientali.

A sentire la pubblicità, dentro i cosmetici ci sono sostanze miracolose, per questo costano tanto. In realtà, quando ci si vuol ficcare il naso, quando cioè ci si mette ad analizzarli, come è successo tempo fa nei laboratori di chimica dell’Istituto di merceologia di Bologna, che cosa salta fuori? Una crema nutriente, a base di — secondo la pubblicità — olii molto rari, sottoposta ad analisi, è risultata composta per 75% di acqua, per il resto di grassi comuni, molto simili a quelli che si consumano in cucina, resi attraverso opportuni trattamenti, inodori.

L’acqua del resto è uno dei più importanti costituenti delle creme di bellezza: secondo le analisi effettuate nei laboratori dell’Università di Bologna, su creme nutrienti, idratanti, detergenti, rassodanti, nutritive e dimagranti, è risultato che la percentuale di acqua oscilla tra 63 e 90 per cento (crema dimagrante): di conseguenza paghiamo l’acqua contenuta nei cosmetici una cifra eccezionale, da un minimo di sedicimila a un massimo di settantamila lire il litro.

Ovviamente questo discorso sarebbe paradossale se la materia prima contenuta nei cosmetici (quella che i chimici chiamano «residuo secco») fosse a base di sostanze preziose e rare: ma il più delle volte ci troviamo di fronte a lanolina, glicerina o cose similari abilmente travestite.

E finora abbiamo parlato soltanto di frodi merceologiche. Ma almeno si trattasse di prodotti del tutto innocui per la salute. Invece no. In molti casi si sono avute allergie, ustioni, eczemi, intossicazioni fortissime, tumori causati da certi cosmetici. Perché gran parte di essi contengono sostanze farmacologicamente attive, come gli estrogeni, i tensioattivi, gli antibiotici. In quale quantità non si sa, non c’è scritto, per cui neppure i dermatologi possono capire quale sostanza contenuta in una certa crema può essere stata la causa di un’allergia.

Concludendo. A livello delle consumatrici, si è diffuso il concetto che l’alto prezzo di questi prodotti è sinonimo di qualità, il che permette la proliferazione di prodotti di bassa qualità e di altissimo prezzo, mentre, dato l’incremento di questo settore, i prezzi dovrebbero diminuire per una maggiore produzione in serie. Inoltre la polverizzazione dei punti di vendita, e la quantità di «passaggi» inutili a cui vengono sottoposti questi prodotti, non rendono certo un buon servizio al pubblico. Se a ciò aggiungiamo che la maggior parte delle case che dominano questo tipo di mercato sono straniere e hanno ceduto il diritto di sfruttamento per l’Italia del nome, dei procedimenti di fabbricazione, della linea, ci possiamo ben rendere conto di quello che rimane da mettersi in faccia.