parliamo di figli

la rabbia di essere madre

Si parla sempre dell’amore materno, non si parla mai del risentimento che una madre può provare, almeno una volta, nei riguardi dei figli. Il problema di cui discuteremo oggi è quello di una madre, Anna N., che si occupa della casa e dei figli e lo fa con intelligenza, eppure scrive: «L’altra sera mi è capitato di odiare per un attimo questi miei due figli, di essermi sentita in gabbia per colpa loro e mi vergogno di questo sentimento, ma soprattutto non ne capisco il perché».

febbraio 1973

Teresa: Anch’io ho provato rancore verso mia figlia e come Anna N. ho anche provato tanta vergogna per questo sentimento. Credo proprio che si provi vergogna perché ci si immagina «madri snaturate» e si pensa di essere le sole a provare simili orrendi sentimenti, mentre invece penso che sia un problema generale.

Luisa: Generale lo è di sicuro e deriva proprio dal fatto di amare con molta dedizione. La rabbia materna è il contrapposto dell’amore materno; cioè sempre quando ami qualcuno dai una parte di te stessa e c’è sempre un po’ di risentimento per la parte di indipendenza che perdi. Avendo i figli si perde la propria libertà d’azione, di movimento, si hanno le giornate piene di doveri successivi da compiere: svegliarli, vestirli, colazione, scuola, compiti, ecc.. Alla sera si è spesso sfinite ed un’ultima richiesta è quella che fa scattare la rabbia, il risentimento.

Marisa: Io non credo di aver mai provato risentimento verso i figli. Provo piuttosto esasperazione o senso di colpa tutte le volte che non posso dedicarmi interamente a loro. Per esempio la domenica è la giornata con i figli, dato che lavoro tutta la settimana. Se mi capita come domenica scorsa di non potermi occupare di loro perché ho da lavorare a casa, provo un gran senso di colpa, anche perché li vedo inquieti e insoddisfatti.

Rita: Ma tu, per esempio, quando ti sei separata e hai preso i figli con te, la maternità ha significato per te una precisa serie di impegni, di sacrifici, dato che rimanevi da sola. Qual’è stata la tua reazione a questa situazione?

Marisa: Allora avevo solo un risentimento sulla questione economica, dovuto al fatto che ero stata sposata per tanti anni e che per tutto quel tempo non avevo fatto altro che la segretaria di mio marito. Mi ero quindi giocata la possibilità di trovare un lavoro ben remunerato e con la separazione mi trovavo tutto il peso economico dei bambini.

Luisa: Quindi non hai mai avuto la classica reazione della tipica divorziata americana che si sente limitata dai figli, che pensa di non poter uscire, fare la sua vita, ecc.?

Marisa: Assolutamente no. Questo non l’ho mai sentito. Ho sempre fatto la vita che volevo. Sono sempre uscita quando volevo. Certo che, quando ho potuto pagarmi un aiuto mi sono sentita più tranquilla nei confronti dei figli, però non mi sono mai sentita limitata da loro.

Luisa: Ecco perché non hai mai provato rabbia. Perché in fondo non ti sei mai sacrificata per i tuoi figli.

Marisa: È vero e quando i suoceri mi accusano di non sacrificarmi per i figli, rispondo che mi batto proprio per questo, per non sacrificarmi. Trovo sbagliato il concetto del sacrificio che poi i figli pagheranno in un modo o nell’altro. E quando li porto fuori con me è perché siamo felici insieme, non perché è un sacrificio che devo fare per loro,

Luisa: Questo è il discorso da fare. Perché la rabbia è il sentimento che si prova quando si ritiene di non essere stati abbastanza ricompensati per tutti i sacrifici fatti.

Rita: Sacrifici che si fanno soprattutto perché si è legate ad un ideale di maternità che ci viene imposto, per cui ci consideriamo e consideriamo le altre «buone madri» se si comportano secondo determinati canoni.

Luisa: È vero. C’è ad esempio un proverbio che dice: «Ti abbandoneranno tutti ma gli occhi di Dio e il cuore della mamma ti seguiranno ovunque». Non dicono il cuore del padre. È cioè implicito che l’amore materno deve essere un tipo di amore assoluto, incondizionato: la maternità vista come sacrificio sublime insomma. Ogni madre che cerca di adeguarsi a questa figura di madre perfetta naturalmente non ci riesce, e diventa complessata, si accorge di non amare i figli come «dovrebbe». Se poi le capita come ad Anna di odiarli per un attimo, si sente colpevole e per compensare cerca di fare ancora altri sacrifici. Così comincia un ciclo che ha effetti spesso distruttivi per la madre e per i figli. Mi è capitato spesso in terapia questo tipo di madre.

Rita: Ma anche senza arrivare alla terapia esistono molti momenti in cui gli altri ti pongono davanti alla necessità di dire: hai scelto di essere madre, devi quindi accettarne tutti i sacrifici.

Marisa: Prima di tutto nota che non dicono ai padri la stessa cosa, eppure anche loro hanno scelto di essere genitore, e se di sacrifici dobbiamo proprio parlare, si dovrebbe almeno includere ambedue i genitori. Certo che la scelta di essere madre ti impegna tutta la vita ma c’è differenza tra scelta e martirio. Un conto è dare ai figli affetto e protezione, un altro è rinunciare per loro ad ogni altro interesse. Se fai dei tuoi figli l’unico scopo della tua vita, naturalmente poi pretendi da loro di più, come compenso, e spesso ottieni di meno.

Rita: Infatti capita spesso che più grandi sono stati i veri o presunti sacrifici di una madre, più forte è la reazione di distacco, quasi di abbandono, dei figli. Oppure le restano vicini ed accettano il ricatto, ben sapendo però che è un ricatto.

Teresa: E in questo caso sono proprio i figli a provare la rabbia di non poter essere indipendenti, sono loro a percepire il legame con la madre come una catena.

Rita: Secondo me si opprimono i figli e si sente poi rabbia verso di loro quando la scelta della maternità ha implicato la rinuncia ad un proprio interesse, ad un proprio lavoro. Io mi sono imposta in famiglia per continuare a lavorare, anche quando il terzo figlio aveva appena tre mesi perché smettere di lavorare allora significava per il futuro dipendere totalmente dai figli ed ero certa — l’ho visto fare troppe volte — che avrei poi chiesto loro un compenso per la dedizione data.

Teresa: Ma quando una donna non ha mai lavorato o ha smesso da molti anni, come fa a cambiare nei riguardi dei figli?

Luisa: Anche quando una donna è casalinga può crearsi un angolo per sé e convincere i figli che per mezz’ora, per un’ora al giorno, ha diritto di fare quello che vuole. Poi dovrebbe organizzarsi con qualche altra madre per avere almeno un pomeriggio libero alla settimana per uscire di casa.

Marisa: Per me dovrebbe cercare una occupazione, forse non a tempo pieno all’inizio, perché sarebbe un cambiamento troppo brusco per i figli. Me ne sono accorta io quando, dopo la separazione, mi sono trasformata da casalinga a impiegata a tempo pieno. Però credo che tutto sommato il cambiamento abbia giovato pure ai figli. Anche la presenza ossessiva e costante di una madre può essere nociva alla maturazione dei figli.

Luisa: Certamente, chi ha ricevuto dalla madre un tipo di affetto super-protettivo ed esclusivo cercherà più tardi lo stesso sentimento nel compagno o nella compagna della sua vita.