dopo anni e anni di gestazione nasce già vecchio il nuovo diritto di famiglia

febbraio 1973

Quando la Camera dei Deputati ha approvato gli articoli del nuovo diritto di famiglia, (che dovranno ancora essere approvato al Senato), la voce è stata pressocché unanime: questo provvedimento rinnova in profondità la struttura familiare. «Parità fra i coniugi», «una riforma di struttura», «importanti modifiche»: questi alcuni dei titoli apparsi nella stampa. È indubbio che la nuova legge comporta mutamenti anche vistosi e apporta significative modifiche: ma ci pare interessante farne un bilancio per vedere se è esatto parlare per il prossimo futuro di reale ed assoluta parità fra i coniugi, poiché sembra piuttosto che questo nuovo diritto di famiglia si limiti a prendere atto di modifiche già esistenti, senza cercare minimamente di anticipare quella che dovrebbe essere la struttura familiare moderna. Fra tutti gli articoli, ce ne sono parsi particolarmente significativi due, uno relativo alla patria potestà, l’altro ai diritti patrimoniali della moglie, i quali danno l’idea dei limiti della nuova legislazione. Se c’è pericolo decide il padre L’articolo 135 dice: «la potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori. In caso di serio contrasto, ciascuno dei genitori può ricorrere al tribunale indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indefferibili»… La prima frase si riferisce chiara-22 mente alla coppia in pieno accordo nelle decisioni, mentre la seconda parte pone proprio l’accento sull’eventuale disaccordo. E cosa c’è di diverso rispetto a prima? L’ultima parola spetta sempre al padre. «Pericolo incombente» significa tutto e niente, ci dice un avvocato, è una di quelle tipiche frasi con le quali si possano giustificare decisioni importanti o di nessun conto, e dato che si ricorre al giudice solo in rarissimi casi estremi, è difficile asserire che i genitori sono pari nell’esercizio della potestà nei riguardi dei figli. I comunisti hanno votato contro questa parte dell’articolo, ritenendola un’aggiunta del tutto «superflua» e Nilde Jotti ih una recente intervista ha fatto l’esempio di un figlio malatissimo che debba essere operato e «la madre per troppo affetto si oppone. Io non credo — ha detto la Jotti — che ciò possa mai verificarsi, perché quando ci si trova in simili momenti, padre e madre sono sempre d’accordo. E non vedo perché, nei momenti drammatici, il padre dovrebbe avere una maggiore lucidità, a meno che non ci si voglia rifare al luogo comune che l’uomo ha più sangue freddo ed è meno emotivo della donna. Secondo me, proprio in quei momenti avviene il contrario», Ma sembra che questa maturità della donna, della madre nel caso specifico, sfugga totalmente ai deputati DC, che hanno voluto, anche in questa nuova legge, far prevalere l’antico concetto dell’emotività materna, nociva al sano sviluppo dei figli. E infatti la donna che emerge dal nuovo diritto di famiglia, è ancora a sprazzi una minorenne, a sprazzi una donna con pieni diritti. Da una parte può non saper decidere «nel pericolo», dall’altra acquisisce nuovi diritti patrimoniali, ma anche in questo caso non sarebbe giusto parlare di reale parità. Sei casalinga? Ti spetta un quarto Il nuovo diritto di famiglia abolisce la dote e crea la «comunione dei beni», uh patrimonio comune ai due coniugi e relativo a tutti gli acquisti fatti durante il matrimonio. Ma in caso di separazione — cartina di tornasole dei diritti della donna — «il coniuge (art. 72) che ha contribuito in modo notevolmente superiore all’altro alla creazione del patrimonio comune ed i suoi eredi possono chiedere al tribunale una diversa ripartizione. A tal fine deve tenersi adeguato conto dell’attività casalinga svolta nell’ambito della famiglia, e del contributo di lavoro recato nell’educazione dei figli e nell’azienda familiare comune. In ogni caso la ripartizione non può attribuire a ciascuno dei coniugi una quota inferiore al quarto». In caso di separazione, quindi, hanno diritto a metà patrimonio ciascuno solo quei coniugi che vi hanno contribuito in uguale misura cioè con stipendi uguali, cosa che capita raramente persino nei casi in cui ambedue i coniugi sono liberi professionisti. Tutte le altre categorie di lavoratori e tutte le casalinghe, che sono ancora la maggioranza delle donne, dovranno accontentarsi di quel «quarto» di patrimonio e ritenersene ampiamente soddisfatte. Sarà inoltre interessante vedere come potranno i giudici stabilire il valore dell’attività casalinga e del lavoro recato nell’educazione dei figli. Famiglia o società per azioni? È forse troppo chiedere ad un diritto di famiglia, votato da tutti, dal PC, alla DC, una liberalizzazione dell’istituto stesso familiare. I legislatori si sono limitati a prendere atto della crisi in cui si dibatte la famiglia, hanno eluso i motivi per i quali questa crisi esiste e hanno solo cercato di rendere meno ingiusta la situazione, dando alcune garanzie in più al partner più debole, la donna. Ma hanno soprattutto teso a rafforzare la famiglia tradizionale con Una Finissima rete di interessi economico- patrimoniale e una serie di articoli da consiglio di amministrazione. E non a torto un’esponente femminista ha definito la nuova famiglia «una perfetta società per azione». Ma non è certo con i puntelli di una co-interessenza economica che si può risolvere la crisi della famiglia. Non basta togliere dal codice la parola «patria-potestà» lasciando integro concetto, o concedere alla donna di mantenere il proprio cognome «aggiungendo quello del marito», per credere di aver dato alle donne la parità. Questa la donna potrà ottenerla solo quando, oltre ai rapporti inter-familiari, muterà tutta l’organizzazione sociale, quando le sue possibilità di studio, di lavoro saranno uguali a quelle degli uomini, quando il «costo» di una maternità non verrà addebitato al solo nucleo familiare ma diverrà un costo «sociale», quando alloggi, servizi sociali ed assistenziali organizzati, toglieranno la donna dal ghetto delle quattro mura domestiche. La nuova legge sulla famiglia dà alle donne nuovi diritti, ma la parità è ancora lontana. Ecco tutto quel che e cambiato Domicilio dei coniugi: è previsto il diritto di ciascuno di abitare in luoghi diversi per esigenze di lavoro e di affari. Età del matrimonio: non più 12 e 14 anni ma 18. Per «gravi motivi» e se «psichicamente maturi» è permesso sposarsi a 16 anni. Visita prematrimoniale: consigliata ma facoltativa Reciproco impegno dei coniugi: fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione. Cognome della moglie: la moglie usa il proprio cognome e vi aggiunge quello del marito. Separazione: è abolita la separazione per colpa. Riconoscimento dei figli: padre e madre possono riconoscere i figli naturali anche se erano uniti in matrimonio al momento del concepimento e questi hanno gli stessi diritti dei figli legittimi. La dote: viene abolita. Disconoscimento di paternità: può essere fatto dal padre oppure dalla madre o dal figlio se maggiorenne. Il figlio naturale: assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se questi è il padre toccherà poi alla madre provare di essere tale davanti al tribunale. I figli incestuosi: non possono essere riconosciuti dai genitori se questi erano a conoscenza del vincolo di parentela esistente. La ragazzina violentata dal padre o dallo zio deve per legge lasciare il figlio al brefotrofio? Sono allargati 4 motivi di annullamento: per grave malattia psico-fisica, per deviazioni sessuali, delinquenza abituale, condanne per delitti contro la moralità, ecc.. (Tutti motivi questi per chiedere il divorzio e non l’annullamento). La comunione dei beni: comprende gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, i frutti dei beni propri, i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, le aziende a conduzione familiare nella quale prestano la loro attività entrambi i coniugi. I figli adottati da una stessa famiglia non possono sposarsi fra di loro. (È ormai accettato che i fratelli non possono sposarsi fra di loro per motivi genetici, ma quando si tratta di «fratelli» adottati non si capiscono le ragioni del veto).