una squallida crociata del perbenismo torinese

perché colpire proprio le vittime?

febbraio 1973

Torino, gennaio — La caccia alle streghe è aperta. Quando uscirà questo articolo, le cinquantamila firme necessarie per chiedere la riforma della legge Merlin saranno già state raccolte. È una crociata squallida, basta guardare le facce delle persone che corrono a firmare, basta ascoltare le parole che dicono i benpensanti accaniti dal bigottismo, armati di penne biro come di spade di fuoco: «Quelle là devono finire in galera. Peggio per loro se hanno scelto questo mestiere, io le metterci nei vagoni piombati e le manderei per dieci anni nei campi di lavoro».

C’è chi non tiene tanto a mandarle dentro, quanto a renderle un bene di consumo «sicuro». Usarle sì, ma senza correre pericoli di malattie. Non una parola per gli uomini che vanno con loro. Il reato, se reato è, lo compie soltanto la prostituta, non l’uomo che la paga e se ne serve. La riforma prevede multe, prigione e visite mediche soltanto per «quelle signore», mentre «quei signori» che si fermano a decine con le macchine e tirano giù il finestrino sventolando le cinque o le diecimila lire non hanno colpe, sono intoccabili, sono la rispettabilità.

Per fortuna la città è divisa in due, non tutti approvano questa guerra al vizio sbilenca, fatta solo da una parte, colpendo solamente le vittime. Neanche i preti, l’arcivescovo di Torino per primo, sono d’accordo con la crociata, tranne quei tristi cattolici che non hanno la più vaga idea di quel che significa il messaggio evangelico.

Nell’omelia in Duomo, l’arcivescovo padre Pellegrino ha attaccato duramente gli ambienti cattolici che si sono prestati al gioco del perbenismo ottuso raccogliendo firme perfino in parrocchia. «Non saranno le leggi autoritarie e la polizia a sanare le piaghe sociali», ha detto padre Pellegrino. E ha ricordato ai fedeli che se in linguaggio cattolico un rapporto uomo-donna a tariffa è «peccato», i colpevoli sono sempre due.

«Non bisogna identificare il proprio atteggiamento con una legge punitiva — ha detto don Pagliarello, membro della commissione per la pastorale dell’assistenza — il messaggio di Cristo è per tutti gli uomini un messaggio di liberazione e non di repressione. Non possiamo proporre leggi che ci difendano proprio dalle persone che devono essere aiutate. Non possiamo avallare un alibi per la nostra coscienza, scaricando sulle persone coinvolte tutte le responsabilità, mentre nella maggioranza dei casi sono solo vittime».

Perché di fronte ad altre malattie sociali, per esempio l’alienazione «professionale», non si è altrettanto decisi? Nei confronti delle cause abbiamo soltanto intenzioni; nei confronti delle conseguenze, siamo già al progetto di legge. // Foglio, un mensile religioso, denuncia «il metodo inqualificabile con il quale La Stampa manipola e dirotta l’opinione pubblica verso la superficialità, verso la repressione degli effetti per distrarre la gente dalla ricerca delle cause», generando un clima da linciaggio «con l’aiuto — dice — perfino della RAI».

«Quelle signore» stanno a guardare stupefatte la città che si rivolta contro di loro. Torino ha sempre accolto il peccato con una certa grazia sorridente, mentre ora è presa dal maccartismo, traversata da un brivido che ricorda i tempi oscuri dell’Inquisizione. È vero che il «commercio» — anzi l’industria, la seconda come giro d’affari dopo la FIAT — della prostituzione si va facendo troppo sfacciato, che la città è invasa dai travestiti, dalle passeggiatrici e dai «gargagnani» cioè i «pappa» sempre più arroganti e insopportabili, è vero che qualcosa bisogna fare, ma perché prendersela proprio con le vittime, con le più sfruttate creature del mondo? Le sfruttano i clienti, perché un corpo vivo non è cosa da comprare, e le sfruttano i protettori, che portano loro via quasi tutto quello che guadagnano. Ma sui protettori non ci si accanisce, le leggi, che ci sono, non vengono neanche rispettate, se per caso vanno in galera tornano fuori subito. Il giro della malavita si richiude su se stesso, bloccato dall’omertà. Le vittime, invece, si possono colpire.

Ne abbiamo avvicinate alcune, le loro storie sono tutte più o meno uguali. Se vengono dal Sud, hanno incominciato a «fare la vita» per fame. «Mio padre è un operaio, ci ha portati tutti a Torino perché aveva trovato lavoro qui. Ma siamo seete, quello che guadagna non basta. A dodici anni mi hanno offerto i primi soldi. Un signore che passava. Lo sapevo che si poteva guadagnare a fargli certi piaceri che vogliono, me l’avevano detto le mie amiche. Ci sono stata, e poi sono andata avanti così». Quello che non racconta facilmente è l’incontro col protettore. S( per caso ne parla, viene fuori ur. bizzarro ritratto d’uomo che non ha nulla a che vedere con la realtà.

Questo essere miserabile è per lei un miscuglio tra gli eroi dei film western e il sogno di un marito; ne parla bene, dice che «veste come un signore», che è coraggioso, che ha grinta, che è gelosissimo di lei. Quando parla della gelosia di lui è patetica, fa quasi tenerezza oltre che pietà. Non viene certo voglia di mandare in galera quella disgraziata, viene voglia di andare a cercare il suo squallido eroe e di portare lui, nei vagoni piombati di cui parlano i bigotti che vanno a firmare, fino a un campo di lavoro dove impari quanto costa guadagnarsi la vita.

Ma i torinesi non ce l’hanno coi «gargagnani».

Il progetto di riforma della legge Merlin che vorrebbero far arrivare in Parlamento non sfiora neanche l’argomento. E non si capisce, con quel progetto di legge, che cosa pensino di ottenere: cancellare dalla città il più antico mestiere del mondo? Creare un Eros Zenter, una specie di quartiere per le prostitute, in modo che non si incontrino più nelle strade della città? «Io vorrei — diceva uno di quelli che andavano a firmare — che si tornasse ai vecchi tempi, quando quelle donne c’erano, ma non si vedevano troppo, e uno se ne aveva bisogno sapeva dove trovarle». Insomma, vogliono che si torni alle case chiuse, con lo Stato che sì sostituisce al protettore come faceva in passato?

I torinesi non si rendono conto che la loro città è uguale a decine d’altre città e che gli omicidi, gli scippi, la prostituzione, il disordine, sono sintomi di altri mali più gravi, forse inguaribili. In America tutto questo è moltiplicato per mille, e la «mappa del vizio» segue la mappa del reddito più alto: tanto denaro, tanta droga, tante passeggiatrici, tanti delitti e tanta solitudine. È il punto d’arrivo di quel modello di vita che l’Occidente va costruendo da tanto tempo e che noi copiamo, confondendolo col progresso.