inediti

a cosa serve avere dei diritti

giugno 1979

La seduta è aperta alle ore 11, dalla Presidente Marie Goegg, che pronuncia il seguente discorso:

Signore e Signori,

è con viva emozione che apro questa assemblea destinata, lo spero, ad essere il primo anello di una serie di riunioni simili a questa il cui interesse e la cui importanza, senza dubbio, sono destinate sempre di più ad aumentare. E’ inutile nasconderlo, la nostra presenza qui, il tema di cui ci occupiamo, la forma stessa che riveste la nostra assemblea, tutto sta a indicare che la riunione di oggi è una grande novità, una contestazione del passato, una pietra miliare nella costruzione del futuro.

Inaugurando un ordine di cose completamente nuovo, lavorando affinché la società ripudi i suoi vecchi errori nei confronti della donna e le renda possibile l’uso dei talenti che la natura le ha fornito, siamo persuase di lavorare per il benessere della società, per il suo avanzamento morale e intellettuale; ma poiché sappiamo che la nostra opera non viene giudicata così da tutti, poiché sappiamo che viene sottoposta a critiche più o meno severe, a un’opposizione irrazionale, all’ironia più impietosa, proprio per questa diversità ideale dei nostri avversari, tengo a spiegarvi oggi il nostro fine positivo e le ragioni che ci sono proprie, per non lasciar adito né a dubbi, né a false Interpretazioni. L’uomo e la donna sono destinati dalla natura a formare un’unità; insieme devono realizzare l’armonia nella diversità, e dovrebbero, unendo le loro differenti facoltà e qualità personali, lavorare, mano nella mano, per la realizzazione del progresso umano evidentemente spinti dalla loro natura perfettibile.

Ora, al posto di questa unione, di questa fraternità, di questo progresso, che cosa vediamo? Ovunque, la legge sanziona l’oppressione della donna, ovunque il dominio esercitato dall’uomo, lo sfruttamento in tutte le sue forme elevato a diritto, a dogma, a tal punto che anche le sue vittime non si rendono conto che la loro posizione va contro tutte le leggi della natura e che sottomettendosi senza protestare commettono un atto di lesa-dignità. So bene che molte donne sono felici, molto felici, e che le lamentele o le rivendicazioni che sentono sembrano loro esagerate e inopportune, ma queste donne giudicano la questione da un punto di vista strettamente personale, non hanno mai dovuto combattere l’avversario, districarsi dalle leggi o agire isolate con le loro sole forze; queste donne non si sono guardate intorno per rendersi conto delle cause prime della maggior parte delle sofferenze che affliggono la società; hanno sempre distolto gli occhi dalla piaga orrenda e terribile della prostituzione, senza risalire all’origine del male.

Infatti è facile, per una donna ricca, amata, circondata di affetto e di gentilezze, dire; «A cosa serve avere dei diritti? La donna gode di sufficiente libertà, il mondo va bene così com’è». Ma quando questa donna subisce un rovescio della fortuna, o perde il padre, il marito, il figlio, la cui sollecitudine le aveva evitato ogni preoccupazione, solo allora comprenderà quale sia attualmente la vita di una donna abbandonata alle sue sole forze. Vedrà e comprenderà la miseria intellettuale e morale di molte donne e quella della società che sconta tutti insieme gli errori dei suoi membri. L’Associazione Internazionale delle Donne, ha compreso tutto ciò. Non divide affatto la società in due campi, non crea antagonismi tra uomo e donna, non divide elementi creati per fondersi; non cerca di conquistare diritti per le donne a spese degli uomini, ma al contrario, vuole far cessare tutte le forme di antagonismo, delle quali l’uomo soffre moralmente, senza rendersene conto.

L’Associazione Internazionale chiede innanzitutto l’eguaglianza del diritto di istruzione, perché è convinta che la donna deve essere intellettualmente, ed anche moralmente, eguale all’uomo con cui deve passare la vita, e dovendo educare i suoi figli, deve essere in grado di assolvere questo compito importante.

Questa necessità è incontestabile; in braccio alla madre il bambino impara a pensare, da lei riceve le prime impressioni, a lei si rivolge per farsi spiegare ciò che vede, tutto ciò che lo colpisce, e più la madre sarà istruita e intelligente, più saprà conformare lo spirito del suo bambino (femmina o maschio) alla morale e alla virtù. L’istruzione è la base di granito sulla quale la nuova società può e deve gettare le proprie fondamenta. L’Associazione chiede anche libertà di lavoro per la donna e salario eguale per mansioni eguali. Il lavoro salva e rigenera l’individuo; il lavoro è la sola condizione possibile per assicurare l’indipendenza economica alla donna e per permetterle di conservare la propria dignità e la propria moralità.

Sulla questione del lavoro, attualmente esistono due sistemi diametralmente opposti e entrambi producono effetti molto deplorevoli. Parlo del sistema di Oppressione e di quello di protezione. 11 primo si esercita sulle giovani e le donne povere gettandole sul marciapiede senz’altra risorsa che un mestiere il cui prodotto è insufficiente alle loro spese più modeste e che, di conseguenza, le lascia indifese di fronte ai numerosi pericoli che le sovrastano. Il secondo sistema, al contrario, tende a far credere alle donne della classe agiata e ricca, di essere al mondo per piacere, per seguire la moda, per soddisfare tutti i loro gusti puerili, e sulla loro vocazione si inculca una tale dose di pregiudizi, che considerano l’ozio un merito e il lavoro una vergogna… Soltanto quando i lavori di cucito, pagati in modo irrisorio, cesseranno di essere l’unica risorsa di migliaia di operaie, vedremo diminuire l’immoralità e regnare la felicità in una gran numero di famiglie che fino ad allora la conosceranno solo di nome. Finché la donna protetta, come l’ho descritta prima, non abbandonerà le sue idee futili e la sua indifferenza per tutto ciò che è umanitario, la società non potrà sperare di mettersi decisamente sulla via del progresso. L’Associazione chiede l’eguaglianza dei diritti civili ed economici appellandosi per questo, come per ogni altra cosa, al sentimento di equità che sta in fondo ad ogni coscienza. In questo senso, c’è da fare più in alcuni paesi che in altri; in alcuni la donna è sotto tutela per tutta la vita, come nel Cantone di Vaud dove, con il pretesto caritatevole di evitarle la’ preoccupazione di amministrare la sua fortuna, si ritrova talvolta rovinata senza pietà dal suo tutore, oppure come in Inghilterra dove, una volta sposata, la donna non ha più alcun diritto sulla stia fortuna, che passa interamente nelle inani del marito che può disporne a suo piacimento e anche donarla o cederla per testamento a un estraneo, senza che la donna possa invocare la legge contro tale ingiustizia.

Qui a Ginevra, siamo certamente in anticipo rispetto a numerose legislazioni, ma tuttavia molto resta da conquistare; finché il nostro codice non promulgherà l’eguaglianza dei due sessi di fronte alla legge, finché la donna verrà messa (come è stato fatto ultimamente nel codice del Commercio) insieme ai minori e agli interdetti non smetteremo di protestare e di chiedere ai nostri amici di protestare assieme a noi. E dicendo eguaglianza in tutti gli atti civili, intendiamo ribadire gli stessi principi per l’istituzione più importante di tutte, quella del matrimonio. Siamo convinte che, senza correre pericolo alcuno, se la donna conserva la sua autonomia e abolisce la formula di obbedienza, l’istituzione del matrimonio realizzerà un grado di dignità e di superiorità cui non può arrivare finché sarà regolato da formule antiquate che consacrino il diritto arbitrario del marito sulla moglie e che, solo per questo, negano a quest’ultima la facoltà del libero arbitrio. Sorge qui una domanda. Nelle nuove condizioni indicate, la donna sarà meno attaccata alla vita familiare e ai suoi doveri naturali? Lungi da un simile timore e rivolgendoci a tutte le madri, chiediamo loro se, come spose o come madri, sono state obbligate a compiere i loro doveri dal ricordo dell’obbedienza promessa all’atto del matrimonio?

No, la virtù, la devozione, l’affetto, sono sentimenti che esistono o che s’ispirano, ma non si comandano, e ci basti la prova del prodigioso numero di separazioni di fatto” nei paesi in cui il matrimonio assume una forma religiosa che lo rende indissolubile. La società deve decidersi a non fare più della sposa un essere passivo e subordinato, deve incoraggiare la madre di famiglia, deve onorarla nei suoi lavori e nelle sue occupazioni domestiche, collocandola su un piano di parità civile con l’uomo, e allora vedremo aumentare considerevolmente il numero di famiglie in cui l’affetto e il dovere sono ospiti abituali. Veniamo infine ai diritti politici, egualmente rivendicati in nome della giustizia dall’Associazione Internazionale delle donne, nonostante che questa nostra cosiddetta pretesa susciti in certi paesi una forte opposizione. Per questa rivendicazione, marciamo con le nostre sorelle d’America e Inghilterra, che sono molto vicine, speriamo, sopra tutto le prime, a raccogliere il frutto della loro lotta. E’ veramente strano lo studio dei diversi modi di ragionare sulla teoria del diritto delle donne; ognuno dì essi tradisce il sentimento che domina l’individuo che lo esprime. Così il perfetto egoista non si vergogna di esclamare: «Mia moglie e le mie figlie mi rammendano le calze e non desiderano altro: sono felici!». Per lui, non esiste il principio di giustizia, trova la moglie e le figlie felici perché lui è soddisfatto, e suppone che tutte le altre donne debbano essere entusiaste di una vita come quella di sua moglie e delle sue figlie. Un altro tipo di egoismo, più nascosto, consiste nel convenire che c’è molto da fare per le donne per quanto riguarda l’istruzione e che bisogna effettivamente renderle capaci di svolgere il loro importante ruolo, di educatrici, ma per quanto riguarda gli altri diritti, cose da pazzi, da dementi! Così parlano gli uomini istruiti che, sentendo il bisogno di avere una compagna con le loro stesse idee, pensano a sé stessi, unicamente a sé, sentenziando da filantropi.

Altri egoisti vogliono prima di tutto assicurare alla donna una educazione laica, emanciparla dalla pratica dei doveri religiosi; ma sono quelli che vogliono che la donna sia posseduta solo da loro, senza dover lottare con la morale del prete, che vedono, a ragione, con orrore come terzo incomodo nel loro matrimonio.

Né gli uni né gli altri sono ispirati dall’afflato di una reale equità; non capiscono che si tratta non di un gusto personale ma di un principio, sapere che la donna è una come l’uomo è uno, e che il diritto della donna è una verità incontestabile, sacra quanto quello dell’uomo. Tra gli argomenti oggi più di moda, per addormentare la donna in una dolce quiete e distoglierla dal suo risveglio ideale, numerosi oscuri prosatori le ripetono continuamente che nelle attuali condizioni, la donna è la custode e l’angelo buono del focolare domestico, e che sé cercasse di acquisire delle funzioni diverse da quelle che possiede, avrebbe presto modo di pentirsene. Questi ragionamenti, che ricordano involontariamente una notissima favola, sono così inconcludenti che tutte le donne non sono chiamate a dedicare la loro attività e il loro amore al focolare domestico, ma che al contrario l’uomo, dimenticando la sua missione e cercando, oggi più che mai, la felicità senza una compagna del cuore, milioni e milioni di donne sono conseguentemente obbligate a pensare a sé stesse, a lavorare, ad agire e affrontare la lotta per la vita. Ora se le si toglie lo strumento per sostenere questa lotta già così terribile per la maggior parte degli uomini, che cosa diventerà la donna e che cosa diventeranno coloro per i quali talvolta è l’unico sostegno, cioè gli anziani genitori, o i giovani orfani, poiché non dobbiamo affatto dimenticare la falange così numerosa e interessante delle Vedove.

Le statistiche dei manicomi dicono che tra le donne, la categoria più numerosa è quella delle ex-istitutrici e tra gli uomini quella dei figli lasciati molto presto, per la morte o l’abbandono del padre, senza altro appoggio che la debolezza della loro madre. Profondo e triste monito alla società! Forse ci si stupirà che io citi questi esempi a proposito dei diritti politici; mi si dirà che sarebbe stato meglio usarli per parlare dei diritti civili ed economici; ma consentitemi di pensarla diversamente ed ecco le mie ragioni. E’ storicamente noto che, in tutte le epoche, le classi privilegiate che hanno avuto il diritto di fare le leggi, hanno pensato quasi solo a se stesse; e hanno trattato i membri delle altre classi come soggetti a “corvée” tassabili a loro piacimento, degni di ogni pena e di ogni disprezzo se avessero alzato la voce per protestare. Più erano gli eletti e i diseredati, più grande era la sofferenza collettiva. Oggi, si è verificato un grande cambiamento; ciascun uomo, eguale davanti alla legge, ha il diritto di eleggere i suoi rappresentanti e di essere -lui stesso eletto nei Consigli del suo paese, tanto è vero che lo spirito e il linguaggio moderni rifiutano di accettare la parola classe, che ricorda troppo il tempo in cui gli uomini erano classificati e divisi in nemici, e l’hanno sostituita con la parola generica “cittadino” che evoca l’idea dell’eguaglianza dei diritti e dei doveri. E’ dunque al voto politico, così duramente conquistato, che gli uomini devono il felice cambiamento che li riunisce sotto le stesse leggi; è il voto politico che ha fatto finire gran parte degli abusi che palesemente degradano la società; è grazie al voto politico, detto anche “suffragio universale”, parola illusoria finché le donne non vi parteciperanno, che hanno avuto luogo i progressi e i miglioramenti sociali che ci rallegrano, ma che, lo ripetiamo, sono molto insufficienti. La naturale conclusione è dunque questa: reclamiamo il diritto al voto, poiché qualsiasi miglioramento reale è dovuto all’esercizio di questo diritto; perché è tempo anche per noi di non essere più una classe; perché sentiamo la necessità che le nostre idee siano rappresentate nei Consigli, nelle Commissioni, ovunque esista una discussione umanitaria; perché vogliamo anche noi essere cittadine e partecipare ai compiti dei cittadini, nostri fratelli!

Ecco, signore e signori, i principi per i quali lavoriamo. Difendiamo l’autonomia della donna, vogliamo far riconoscere e rispettare la sua individualità, lo facciamo in nome dell’equità e della morale, e speriamo che vorrete tutte sostenerci con la vostra approvazione e il vostro aiuto. L’opera che perseguiamo sarà immensa per i suoi risultati, ma anche il compito da realizzare è immenso e malgrado il nostro coraggio, sottoposto, bisogna dirlo, a dure prove, non arriveremo a fare tutto ciò che vogliamo, tutto ciò che sarebbe necessario fare.

Siamo troppo poche per la grandezza dello scopo che perseguiamo, le nostre risorse sono troppo limitate per agire con tutta l’efficacia necessaria, perciò chiediamo a tutte le donne di dare il loro apporto e di aiutarci secondo le loro forze, secondo i mezzi di cui dispongono.

Esprimo l’augurio che voi tutte signore presenti, vi consideriate in futuro seguaci di questa grande idea e che le nostre care sorelle trovino all’estero sempre più aiuto e conforto per aiutarci attivamente…