una stanza tutta per sé?

giugno 1979

Quando entrai nel seggio con il mio cuore stanco di donna c’erano poche persone. Era presto ma già faceva un caldo fottuto. Io arrivavo sudata con la borsa della spesa piena. Mi si fece incontro una vecchina che mi prese per un braccio e mi chiese sottovoce: «E’ vero che la Macciocchi è una emarginata?». La mia risposta fu confusa perché non volevo dare indicazioni di sorta agli scrutatori che erano appunto li per scrutare e ci scrutavano infatti con tanto d’occhi.

Una volta in cabina controllai la punta scarsa della matita. Mi sarebbe stato richiesto un gesto formalmente semplice se le mie schede fossero state graficamente normali, ma si dava il caso che tutte e due portavano stampato un groviglio di itinerari, tipo quelli «La via giusta, la via sbagliata» della Settimana Enigmistica. Mi stropicciai gli occhi, pensai che doveva essere un effetto della mia notte agitata. Infatti mi ero svegliata ogni mezz’ora con una puntualità estremamente fastidiosa, attraversata da ricordi, problemi presenti, fantasmi di definizioni. Infatti la mia vecchia militanza in un partito mi aveva preso sotto come un tram, i miei anni di femminismo mi avevano fatto recitare nuda davanti a Bettino Craxi nell’anfiteatro di Taormina, perdevo il lavoro perché mi mancava un’interrogazione di matematica, il mio ex marito e i miei figli entravano ed uscivano dalle porte e io pregavo «chiudete le porte!» e quelli non le chiudevano mai, il mio amore mi spariva sempre da sotto gli occhi e mi telefonava il giorno dopo con un’aria da niente e mi diceva «(a va?». Tutto questo nei sogni. Mi stropicciai gli occhi, ho detto, ma i grovigli restavano nitidissimi davanti a me. Allora pensai che era un nuovo tipo di scheda in cui una grafica onesta rappresentava bene quanto la politica fosse diventata un mestiere, per cui era facile districarsi e scegliere a chi questo mestiere lo fa, ma per i povericristi che ne fanno un altro diventava difficilissimo rocca-pezzarcisi.

Onestamente lo sapevo che sarebbe stato un momentaccio, perché per la prima volta ero entrata in cabina senza avere ancora deciso. Per chi ha scelto di vivere le proprie contraddizioni senza vergognarsene è tremendamente complicato scegliere qualcuno, qualcosa nel mondo della politica, dove tutti si sforzano disperatamente di dimostrare le proprie coerenze, nascondendo affannosamente i dubbi come segni indecenti. Di questi tempi il politico è perplesso al cesso e se è di razza neanche lì. Almanaccavo e intanto era passata una buona mezz’ora, niente mi aiutava. Fu la mia capacità di adattamento a venirmi incontro: in fin del conti non stavo bene lì dentro? Potevo pensare, potevo riflettere, nessuno mi disturbava, nessuno mi chiamava e tutto questo era nel mio diritto. Mi guardai intorno, sguardo a raggio corto beninteso. Non poteva essere questa cabina elettorale la famosa «stanza tutta per sé»? Perché no? Dove potevo essere più in pace se non lì dentro, a casa forse, sul lavoro, in strada? Così decisi di non uscire più e cominciai a pensare in termini di difesa del luogo, in fondo nessuno mi poteva buttare fuori, e in termini di sopravvivenza per me. Quanto avrei potuto resistere? Moltissimo, avevo con me la borsa della spesa. Ora, tolti i cibi bisognosi di cottura, avevo del prosciutto, dei cetrioli sottaceto, del pane, la pizza per la merenda dei bambini, un chilo di pesche e un litro di vino. Una vera pacchia! E per appropriarmi subito del luogo decisi di fare merenda, pizza e

prosciutto. Le schede si riempivano di briciole ed io mi sentivo molto felice. Intanto ascoltavo i discorsi degli scrutatori. Riuscii a cogliere una frase detta da una donna «…sono grata al mio partito perché mi fa giocare a “base ball” con gli uomini». Doveva essere la scrutatrice del Movimento Sociale, quella che mi aveva preso la patente che io in genere di malavoglia consegno alla polizia stradale figuriamoci a lèi che portava la fiamma tricolore al braccio. Il nodo più importante da risolvere resta ancora il rapporto donne e istituzioni, fu il mio ultimo pensiero perché dopo mi appisolai in una posizione geniale.

Mi svegliai di soprassalto sentendomi toccare il polpaccio: era il signore della cabina accanto che era riuscito a strisciare fino a me carponi per terra, mi rivolgeva dei gesti rassicuranti ed imploranti il silenzio. Era un signore di una certa età, con una vecchia cravatta regimental unta sul nodo. Mi mostrò un foglietto su cui era scritto «Quale è il simbolo del partito social democratico?». Non nego il mio imbarazzo. Gli presi il foglietto dalle mani e con la mia matita scrissi a mia volta una domanda e così cominciò tra noi un dialogo silenzioso che sono in grado di trascrivere interamente perché il foglietto poi è restato a me. «Perché vota social democratico?»,

risposta «perché sono un po’ socialista ma sono soprattutto un democratico». «C’est pas question de mots!», risposta «Non parlo le lingue»,
«Dico, non è questione di parole. Se ci fosse un partito Giuseppe, lei pensa che tutti i Giuseppe lo voterebbero?», risposta «Come fa a conoscere il mio nome?»,
«Mi scusi, è stato un puro caso. Lo sa che l’unico ministro in galera della nostra storia è un socialdemocratico?» e qui notai un certo imbarazzo del signore. «Non lo sapevo. Ma intanto è lo stesso, una volta in parlamento sono tutti uguali», «Ma come?!», e fu a questo punto che mi strappò la matita dalle mani e scrisse «Perché la fa tanto lunga? Io voto D.C., perché sono democratico e cristiano», io indignata «Sarei io a farla tanto lunga?, piuttosto lei con tutta questa messa in scena.
Esca dalla mia cabina!». Ma qui il signore si mise a piangere, trattenendo a stento i singhiozzi, scrisse: «Volevo un alibi, i miei figli sono tutti di sinistra». «Bell’alibi!», scrissi io. Poi lui scrisse con una grafia tremolante
«Sono stanco» e così io mi sentii di scrivere conciliante
«Crede anche lei che la politica abbia dimenticato la vita?». Ma improvvisamente il signore si irrigidì e concluse scrivendo «Non è il momento di fare filosofia» e come era comparso scivolò via.
Poi sentii un grande trambusto, tanto che pensai che il signore era stato scoperto.
Grida, qualche battimano. Il presidente del seggio comparve all’improvviso «Esca, esca!» mi gridò tutto festante. Io tentai un «Come si permette?, sto pensando!», decisa a resistere a qualunque costo. «Ma cosa vuole pensare, le votazioni sono sospese. Non la sa la novità?».
«Quale novità?», ribatto io seria, tentando di arginare la sua scomposta felicità. «Siamo tutti figli del Papa!». «E chi l’ha detto?». «L’ha detto lui!». «Quando?», Cominciavo a perdermi di coraggio, «Un’ora fa, ma ce lo hanno
comunicato solo adesso!». Stancamente allungai un piede verso di lui come per salire uno scalino che non c’era e mi svegliai con una gamba intrappolata nel lenzuolo. Era presto, così mi vestii con calma ed andai a votare.
Quando entrai nel seggio con il mio cuore stanco di donna…