mezzo pollice per creare immagini
video ’79, la prima rassegna internazionale del video-tape, ha chiuso i battenti per trasferirsi, data l’importanza, a Tokio e a New York. Sono stati presentati circa quattrocento nastri, provenienti per la maggior parte dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Germania Federale e dalla Francia. Questa mostra, nata sotto il segno dello sperimentalismo elettronico, ha delineato le linee di quanto prodotto in video in questi ultimi dieci anni: video-arte, documentaristi, video militanti, video femministi. Il nostro campo di indagine si soffermerà sulla ampia produzione di audio visivi delle donne; e fin dalle prime battute una critica non sospetta di polemiche; il video donna perlopiù non si identifica con le grandi tematiche del movimento femminista, pur rintracciando in margine al prodotto, la grande influenza di questo sulle autrici. Quindi non avremo argomenti principi di cui trattare ma, la materia: l’immagine magnetica, nelle sue vaste accezioni: dalla video arte — intesa come arte visiva, performance — alla video militanza — video come produttore di comunicazione antagonista — vai la pena ricordare le autrici che lavorano in stretto contatto con il capitale finanziario delle televisioni private americane, e senza molta coscienza aiutano a determinare il potere. Come mai le donne si sono rivolte a un mezzo elettronico? E’ noto il dissapore tra le registe e il cinema, dove l’esiguità della produzione filmica vede rappresentato l’un per cento “del gentil sesso”; al contrario il video si è sempre posto come mezzo di facile uso, di costo non eccessivo, ma soprattutto a ben guardare come uno strumento individualista. E una donna per creare, oggi come oggi, ha bisogno di non più delegare le (proprie) immagini; volendo, il porta pack è trasportabile anche dalle leggiadre mani di una “fanciulla”. Non più un operatore uomo alla camera, che per quanto democratico, tende a distorcere l’indicazione di regia del sesso debole, ma il potere della ripresa sotto i propri occhi, la possibilità inoltre, di rivedere immediatamente il girato. E’ chiaro, si sta parlando di uno strumento leggero (1/2 pollice). Nicole Croiset e Nil Yalter autrici del nastro: La Roquette, prigione di donne, dicono: «Il video è uno strumento plastico, tu puoi sentire le immagini, ti consente una percezione materiale ‘(‘…), il fatto di poter riprendere e subito rivedere, ti pone in stretto contatto con quello che vuoi fare». I lavori di Nil e di Nicole sono una. ricerca nel sociale. Un sociale non come impressione di realtà, ma anamnesi sintomatica del reale. La Roquette è girato come un documentario, l’impianto narrativo è un’indagine sulle carceri femminili: l’angoscia del luogo chiuso (segnalata da un muro su cui la camera si sofferma in piani fissi e duraturi), la mancanza di identità, l’alienazione, la ripetitività dei gesti quotidiani (i volti delle donne non sono mai ripresi in primo piano; ma in campo medio c’è l’ossessionante-movimento delle mani. Mani alla ricerca di qualcosa da afferrare, toccare: rollare sigarette, stringere le mani altrui ecc. ecc.), la parola, fuori campo, come mancanza-perdita. Nil Yalter precedentemente a questo lavoro, ha realizzato un programma sperimentale su una danzatrice dell’Anatolia: Belly Dance. Il filmato riprende il movimento del ventre della ballerina, su di esso vengono scritte delle parole, che a fine danza si rivelano incomprensibili. Ipotesi di fondo del nastro è il reale femminile, l’essere concava e convessa; dentro la donna, fuori la donna. Il codice dei segni grafici, e l’inafferrabile movimento del corpo, l’erotismo e la civiltà. Questa tematica alla ricerca del rituale femminile può appartenere anche al filmato: Donne in Cina. Realizzato da Bitte Krause e Stefanie Ritter, analizza la condizione della donna in Cina, vista da 23 donne tedesche durante la loro visita nell’estate ’77. Le donne intervistate da Bitte in fabbrica, in strada, al ristorante parlano, senza retorica, delle difficoltà del loro lavoro. Le immagini si soffermano sui gesti secolari e pazienti delle lavoratrici, mani che delicatamente tessono sete o, chinate su telai, confezionano indumenti, l’ordinata conduzione di una cucina in un ristorante. Tutto è ripreso dal punto di vista della tenacia della ripetizione quotidiana, questa armonia sotterranea del lavoro femminile, come un nascondiglio che alla luce del giorno dimostra la sua perfezione. Su quante mani di donna è fatta una civiltà, che si è costruita come un automatismo?
Sollecitate dall’ondata di repressione che in questi anni ha scosso la Germania federale, le compagne tedesche, pur rischiando in prima persona, nel ’76 realizzano i video militanti: Astrid Proli di Gerd Conrad e Ulrike di Nadja Ringatt e Florence Assouline. Astrid Proli, membro del gruppo Baa-der-Meinhof, fu arrestata nel “71 sotto l’accusa di tentato omicidio. Detenuta a lungo in condizioni di totale isolamento — fu la prima degli appartenenti al suo gruppo a sperimentare questa tortura psicologica — nel ’74 riuscì a fuggire a Londra sotto falso nome di Anna Puttick, dopo che il processo a suo carico dovette essere interrotto a causa delle sue condizioni di salute. Il video-nastro ricostruisce l’esperienza di Astrid Proli a Londra: l’inserimento nel quartiere proletario nell’East End, i vari lavori, l’attività con i giovani, le amicizie tessute pian piano e con molta difficoltà. Nella seconda parte il nastro raccoglie le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuta e mostra le iniziative prese dalla stampa e da privati cittadini per impedirne V estradizione. Ulrike, come già riportato nelle pagine dello scorso numero di Effe, ripercorre la storia politico-umana della Meinhof fino a quando fu trovata impiccata nella cella del carcere di Stuttgart-Stammheim. E’ un video di contro informazione, le farneticazioni della stampa borghese e social democratica vengono rilette alla luce delle testimonianze degli avvocati della difesa, del clima di paura e di sor spetto in cui, buona parte della giovane sinistra in Germania si trovò a vivere in quei giorni. Su un altro versante, anche se lo si può considerare politico militante, si collocano i nastri sulle lotte delle prostitute di Lione, e sul quartiere, detto “della gioia”, realizzato, quest’ultimo, da un gruppo di prostitute del quartiere Nord di Bruxelles. Le prostitute di Lione parlano del gruppo Video Out (Carole e Paul Roussopoulos, Helène Chatelain), è la cronistoria della occupazione della chiesa di San Nazier. Le prostitute di Lione, costituitesi in comitato di lotta, informano la cittadinanza delle loro condizioni lavorative, sulla loro sessualità polverizzata, i rapporti con la società. Le Quartier de la foie del gruppo St. Josse, indaga, con una video-camera nascosta, le condizioni di vita delle prostitute nel quartiere-ghetto in cui la società le ha relegate. Gli approcci con gli uomini, le lunghe interviste al barista-pappone, sempre pronto alla reticenza, il trucco-mascherata prima di iniziare il lavoro, il breve scorcio su questo spazio di vita segnala, attraverso la camera fissa su una finestra, da cui si intravedono le attività descritte, un mondo atonico, la sensazione di un tramonto nella risata finale della attempata prostituta biondo platinata, sulla strada dei ricordi.
Richiamo astratto, seppure realisticamente collegato all’immagine-oggetto, il corpo femminile, i due filmati Fifty Wonderful Years del gruppo Optic Nerve, e Mrs. Jeckill and Mr. Love di Milka Assaf.
Cinquanta anni -di bellezza è un’accurata indagine sociologica sulle elezioni di Miss. California, le ragazze si espongono ai più duri sforzi per raggiungere l’agognato premio, non lo fanno soltanto a scopo divistico o perché prese dalla smania del essere guardate, ma perché vincere significa poter frequentare l’università, elevarsi culturalmente. La seconda parte del nastro documenta un contro concorso del Now (Organizzazione Nazionale delle Donne). A parte la messa in ridicolo dell’organizzazione intorno ai concorsi di bellezza, l’immagine femminile né esce come entità ih grado di sfruttare l’ordine del potere della pubblicità: usandolo per la propria emancipazione. L’essere seducente (miss Love) e il nostro stesso io (mrs Jeckill), questo audiovisivo rappresenta la conflittualità esistente sul. modo del femminile di percepire il proprio corpo, come materia erotica. L’impianto narrativo non segue una trama, ma trama alle nostre spalle: io sono davanti allo specchio, ma nello specchio chi c’è? L’immagine, ciò che è profondamente assente ner sua natura, raddoppia la mia assenza nel momento in cui sembra affermarla, mi riflette nello specchio della seduzione. Il montaggio affascina con giochi di colore, pubblicità fluenti, perplessità del volto dell’autrice nello studio di regia. Il finale rivela l’assunto fondamentale di questo essere femminili; due donne si asciugano i capelli e nel contempo si sottopongono ad una dolorosa seduta di bellezza, improvvisamente una delle due guarda l’altra e scherzosamente le dice: «Per essere seducenti, bisogna essere prima tanto masochiste?». L’altra non dice nulla, prende lo specchio e la invita a guardare, a questo punto scoppiano a ridere irruentemente. A lungo dovremmo parlare dei video arte, ma la produzione presentata è stata vastissima. Ci soffermeremo quindi, su Swimmer di Suzanne Nessin e su Art, Hers Story di Hermine Freed. Protagonista la nuotatrice, dalla gara alla preparazione atletica, entra e esce dentro il luogo-acqua da tutti i punti del rettangolo piscina, per apparirci sempre sull’orizzonte-schermo nella potenza del fisico. Questo nastro dimostra la possibilità di fondere le potenzialità pittoriche del video con delle intenzioni puramente grafiche. L’autrice interpreta i ruoli delle grandi donne nei quadri di pittori famosi. Andy Warhol e lei e la reincarnazione del cartoon: Marilyn Monroe, il famosissimo le labbra rosse della diva. Botticelli e la sua primavera, commento dell’autrice: «Nessuna di queste donne mi guarda». I dipinti vengono ironizzati dalla voce fuori campo, che enuncia frasi celebrative e senza senso sul suo rapporto con l’arte figurativa. Quanto grande il mare della creatività femminile, quanta energia comunicativa ci offrono questi nastri! Un commento informativo non basta ad analizzare i molteplici rapporti professionali, sociali che sono emersi dalla visione di tanto materiale. Per ognuna di queste autrici bisognerebbe specificare la provenienza, la formazione artistica, la necessità primaria che tutte dichiarano di essere delle vere e proprie produttrici di immaginano.