perché i grandi della storia sono solo uomini?
Beethoven femmina strangolata sul nascere
Intervista al sociologo Franco Ferrarotti
D. – Quando si parla della donna, di emancipazione e di liberazione, ci si sente spesso fare questa domanda: «Come mai le donne non hanno raggiunto alti livelli nell’arte, nella scienza, ecc.?»
R. – Le donne non hanno raggiunto alti livelli nell’arte, nella diplomazia, nella politica, cioè in tutte le professioni da cui dipendono i destini del mondo, per bene o per male, semplicemente perché non hanno avuto l’accesso oggettivo a queste posizioni. L’immagine che queste posizioni evocano, per esempio il direttore d’orchestra, è un’immagine tipicamente maschile; non esiste la direttrice d’orchestra, esiste la violinista, l’arpista, ma non esiste il direttore d’orchestra di sesso femminile, perché? Perché c’è fin dalla nascita, fin dai primi rudimenti che civilizzano il bambino e che vanno dal chiamare papà e mamma, al controllo intestinale, ecco, fin da quei primi momenti la socializzazione primaria avviene su due linee differenziate secondo il sesso. La parte dominante, attiva, fattiva, di iniziativa è del maschio. La parte dolce, passiva, subalterna, in attesa, è quella della femmina. Quindi non dobbiamo stupirci, anzi personalmente ritengo che nel tempo in cui stiamo vivendo, tempo eccitante, straordinario per molti aspetti di cui dovremmo rendere grazie agli Dei per esserci capitati a vivere; ebbene, in questo tempo, sempre più sovente si registra il caso di una donna che trascende queste frontiere, che sono a un tempo biologico, ma soprattutto culturali, politiche, cioè indotte. Su una base di una differenziazione biologica indubbia, si è costruita una differenziazione culturale e politica altrettanto pesante.
D. – Ma le donne oggi vogliono affermare una loro positività. Il femminismo pone all’attenzione la creatività, l’intuizione, la fantasia, la ricettività della donna in quanto, soggetto non integrato culturalmente in un mondo maschile, competitivo, di sopraffazione. Se le istituzioni sono frenanti e sono maschili (vedi esercito, chiesa, politica ecc.), maschile il carrierismo, la gerarchia, la conquista della «poltrona» o «dell’alloro», la donna, non essendo integrata in questa «cultura» che valorizza il comando e il potere, non è entrata neanche in un tipo di «arte» che questa cultura applaudiva. In fondo anche il genio militare, che sa fare la guerra è un grande personaggio in questa cultura. La donna oggi non avrebbe, non solo la possibilità perché esclusa oggettivamente, ma anche la voglia di essere un genio militare. La donna lo rifiuta proprio perché ha conservato un certo rapporto con i bambini, con la natura, con la vita…
R. – Questo lo appoggio certamente. La donna come essere umano è stata castrata, cioè è stata limitata da alcune particolari predisposizioni e vocazioni. Ma io non posso negarmi di pensare che una Rosa Luxemburg, sarebbe stata, ed era, una splendida mente strategica militare, tale da battere, per esempio, o di essere almeno sullo stesso piano di un Trotzki che diresse vittoriosamente, occorre dirlo, la lotta rivoluzionaria dell’armata rossa contro le armate bianche. In questo non ci sono dubbi. La storia di un genio solo maschile è una stupidaggine. Il genio maschile che ha in proprietà una sorta di monopolio è un fatto storico culturale determinato, non innato.
D. – La donna che arriva a certi posti di comando, in questa società è una donna con la testa da uomo, un negro con la testa da bianco. Anche una Rosa Luxemburg era accettata all’interno di una politica maschile, perché usava strumenti, metodi, linguaggio maschili, tutto elaborato da altri…
R. – Questo va da sé. In questa società, è chiaro che finché ci sono degli ostacoli per l’affermazione della donna, ostacoli culturali, politici, economici e di socializzazione primaria quindi familiare, per cui la bambina giocherà con certi giocattoli e il bambino con altri; è chiaro che fino a quando ci sarà questa situazione, solo donne altamente eccezionali potranno trascendere e superare queste barriere. Perché si tratta di vere e proprie barriere.
D. – Diventare un nero con la testa da bianco, in poche parole. A parte la valutazione su questo fatto, è chiaro che ci sono enormi barriere alla libera espressività femminile. Questa è una società con valori, strutture, regole maschili. Ad esempio, la celebre romanziera del passato George Sand diceva che «uno dei motivi per cui le donne hanno avuto tanta fortuna come autrici di romanzi, è che si trattava di una forma artistica relativamente recente, di cui non erano state fissate tutte le regole». Per usare lo scalpello, ad esempio, occorreva invece tutta una serie di educazione fisica oltre che di strumenti. Per fare un «Mosé», occorreva questo, e non solo questo, non trova?
R. – Su questo non ho alcun dubbio, ma il punto è che, data una differenziazione sessuale che si può accettare come ovvia, tra l’altro perché, fino a quando saranno solo le donne ad essere incinte, questa sarà una loro grossa specializzazione, ciò che mi sembra discutibile è il derivare da questa «specializzazione» tutta una serie di conseguenze sessuali e di costume che, nel momento in cui apparentemente esaltano la funzione della donna, in realtà la deprimono e la limitano. La mia posizione personale è questa: né predominio maschile, né corporativismo femminile, uomini e donne considerati in maniera del tutto libera come esseri umani.
D. – Ma se esiste un potere per cui l’uomo ha certi privilegi, negati alla donna, quello che lei chiama «corporativismo sessuale» non è altro che un movimento- di lotta del sesso escluso, proprio per essere tutti individui liberi.
R. – Guardi, le spiego subito cosa intendo. Il corporativismo, economicamente e politicamente inteso, è una forma politica basata sull’autarchia, cioè sull’illusione dell’autosufficienza. Il corporativismo sessuale consiste in quell’atteggiamento mentale per cui le donne tendono a chiudersi in se stesse e a ritenersi del tutto autosufficienti. Questo lo ritengo un atteggiamento infantile e controproducente.
D. – Ma non è l’atteggiamento maschile ad essere controproducente? Il maschio crede di essere autosufficiente, fa politica, scienza, arte, porta avanti l’economia prendendo dalla donna tutto quello che gli serve: lavoro, gratificazione, stimolo, emotività, applauso ecc. dicendole addirittura che non conta niente, che non costruisce nulla, spesso che è «inferiore». Non solo, ma osa chiedere: dove sono i «Beethoven» femmine?
R. – Lei tenta di giustificare il «corporativismo sessuale» nel senso che ho appena spiegato, rifacendosi al corporativismo di segno opposto degli uomini. Sbagliano tutti e due, non si risponde ad una errata impostazione con un’altra impostazione egualmente errata. Si risponde con una lotta comune per l’emancipazione della donna, che non può non essere anche l’emancipazione degli uomini. E chiaro che in questa situazione storica gli uomini hanno avuto una situazione privilegiata.
D. – Non se la sono presa?
R. – Se la sono presa, non c’è dubbio, perché del resto sappiamo che lo stesso rapporto sessuale è un primo rapporto di sfruttamento a favore dell’uomo sulla donna. Ma mi domando se si possa rispondere con una presunta autosufficienza altrettanto infondata.
D. – La donna non fa un discorso di autosufficienza ma di rivolta, che è ben diverso. Per attuare questa sua rivolta deve confrontarsi con le altre donne, fare un discorso di presa di coscienza, parlare in prima persona, per cercare autonomamente e collettivamente le proprie forme di lotta. Non le sembra giusto?
R. – Sono perfettamente d’accordo. Capisco come storicamente, al fine di favorire una presa di coscienza univoca delle donne in quanto tali, sia necessario costruire una piattaforma di assoluta intransigenza. Oggi come oggi io capisco perfettamente anzi sottoscriverei, se potessi; naturalmente non può venirmi richiesto perché non sono una donna, ma sottoscriverei potendolo, ad un manifesto, a una posizione che faccia perno sulle donne in quanto tali. Questo perché, finalmente, il destino della donna sia preso in mano dalle donne stesse.