inchiesta u.s.a.

c’eravamo tanto amate…

e ora? forse ci odiamo, siamo competitive, e tante altre cose ancora, phillis chesler autrice de “la donna e la pazzia” ne parla in un libro di prossima pubblicazione in italia e in questa intervista.

novembre 1982

Uscirà nei primi mesi dell’83, edita da Einaudi, la traduzione di un libro di Phyllis Chesler: “About man” (1978, Ed Simon and Shuster). Phyllis è una femminista “della prima ora”, ed è stata molto seguita in Italia, soprattutto grazie al suo “Donne e pazzia”, pubblicato nel ’77 e accolto con grande favore dalle donne che, allora, molto più di adesso, avevano coscienza del loro “sé” collettivo (non ognuna di se stesse, ma ciascuna di tutte). Per consegnare “About man” alla casa editrice italiana, Phyllis è passata per Roma. Per quanto mi riguarda, mai intervista durò tanto. Lei aveva molte cose da dire, e, come vedrete, da fare…Dà l’immagine di una sempre in movimento, anche quando dorme. Ed infatti ha preferito parlare, più che del libro che sta per uscire, di quello che sta scrivendo: un libro sull’odio tra donne. Strano, il destino di certe femministe americane: nel “riflusso”, cosi come nella montata rivoluzionaria, i loro testi sono la piccola bibbia del nostro esplorare al femminile. So che a tutte sta venendo in ménte Betty Friedan, ma non pensavo di metterla in tandem con la Chesler. Il “riflusso” non è detto che sia “ritorno a casa”. Il riflusso potrebbe anche essere esattamente quello che significa: il momento di sospensione in cui le onde fluiscono dal mare alla terra, e c’è un attimo di quiete prima che ritornino a gettarsi sugli scogli.
In questo momento di sospensione, di stasi ma anche di riflessione del movimento femminista non è fuori luogo parlare di odio, la cui assenza, tra le femministe, fu data per certa, i cui sintomi, in seguito, furono esorcizzati… Ma oggi è il momento di guardare in faccia quest’odio, di capirlo. Non è solo odio, è amore odio, ed esiste tra tutte le donne. Essere femminista non significa essere diversa dalle altre. La mamma rompe l’essenza dello spirito della figlia, che non si vuole identificare con lei. Le sorelle biologiche non diventano compagne o amiche: sono in competizione per il lavoro, per i ragazzi, per la professione. «Tu devi essere femminista» dicono le altre donne, «tu non devi essere intellettuale». In Africa tagliavano la clitoride fisicamente, in occidente lo fanno psicologicamente. Le altre donne ti chiudono la porta, hanno paura che rubi loro il marito, non aiutano le altre donne vittime non votano per le donne in politica.
Questa è una tua constatazione che trascende ogni coscienza politica. Pensi che le femministe abbiano vinto questa tendenza che, per te, pare essere quasi “genetica”, all’odio tra donne generalizzato?
No, assolutamente. Come potrebbe farlo?
In quasi tutto il mondo esistono donne che fanno insieme giornali, film, attività artigiane o qualsiasi altra cosa. E’ possibile superare la competitività “naturale” in vista di un progetto comune?
Siamo frustrate, siamo piene di odio verso noi stesse. Il femminismo dice: ama tua sorella come te stessa, ama te stessa. Se sei insicura, non lo puoi fare, se non ti piaci e non ti ami non puoi aiutare nessuno. Il femminismo è la dichiarazione di questo sogno di sorellanza, è un’idea spirituale, non significa che velocemente possiamo raggiungere questo ideale.
Già, ma, per raggiungere qualcosa bisogna lottare, e smettere di lottare mi sembra rischioso. Oggi le donne stanno tornando su se stesse, e, contemporaneamente, in tutto il mondo, vengono rimesse ‘al proprio posto ‘. Penso, in particolare, all’America, dove il28 giugno di quest’anno è stata abolita la Era (Equal Rights Amendement), una legge per uguali diritti tra uomini e donne. Perché questa sconfitta politica?
Grandi interessi economici si oppongono a che le donne vengano pagate come gli uomini. E inoltre le femministe molto radicali non hanno voluto prendere in considerazione l’importanza di questa legge. Usando questa legge, puoi fare causa al tuo datore di lavoro, ma il processo durerà anni. E allora non hanno lottato per questa legge perché non la ritenevano valida? Giusto. Poi c’è il fatto che le donne non si sono mosse abbastanza presto. E stato sottovalutato il fatto che la legge non è uguale per tutti. Mi sembra comunque che in generale le donne americane non stiano esercitando un’azione politica di vasto spessore. Ad esempio hanno scelto il silenzio durante l’ultima campagna presidenziale, e non hanno fatto nulla per impedire l’elezione di Reagan. Al contrario, lo scorso anno, in situazione analoga, le francesi hanno ufficialmente appoggiato Mitterrand, si sono espresse nel politico… E vero. Il femminismo radicale soffre del fatto di essere stato innocente, naif, e di aver combattuto troppe battaglie, senza riuscire ad imporre posti di lavoro per le donne, per le femministe. Negli ultimi quattro anni c’è stata una grande depressione, tra le donne che tra il ’67 e u ’74 hanno tratto energia dal femminismo, e che oggi sono sole, disoccupate, coi problemi di sempre. Le femministe sono impopolari, emarginate, le nuove scrittrici femministe faticano a collocare i propri prodotti, se fai la femminista su lavoro lo perdi…E ci sono femministe che dieci anni fa avevano 25 anni e che oggi sono donne che devono preoccuparsi soprattutto della loro sopravvivenza. Molte poi Sono state abbandonate dai mariti, ci sono state tante tragedie personali che non possono essere aiutate da nessun movimento. Perché il movimento non è più forte, anzi, sembra non esserci più. Per questo le donne sono rimaste sole con le loro tragedie.
Ti racconto un episodio sintomatico: ci sono state sette femministe che hanno fatto lo sciopero della fame per l’ Era. Avevano bisogno di guardie del corpo. Senza mangiare stavano sedute, ragazzini gli portavano del cibo, e altre donne, contro l’Era, andavano in giro con dei cartelli che dicevano: tanto sono troppo grasse, gli fa bene dimagrire.
Che tipo di donne erano, queste ultime?
Quelle dominate dal marito, quelle che gli devono dimostrare che sono brave, che sono d’accordo con lui. E così ridevano di altre donne che stavano facendo un atto politico. Contro Bobby Sands nessuno ha usato tanto scherno. Quando le donne fanno qualcosa di politico la prima risposta è la risata, l’ostracismo.
Credi che questa difficoltà esista solo in America?
Non abbiamo tradizione, da noi non ci sono state suffragette. Stiamo a lottare contro un sistema troppo potente. Se volessimo distruggere la pornografia, saremmo torturate: dalla mafia, dal governo, dai singoli uomini. Così capisci perché le donne non hanno organizzato un progetto politico. E allora, di che ci sarebbe bisogno? Di un governo Internazionale Rivoluzionario Femminista, con i suoi aerei, con le sue navi…
Con il suo esercito! Tu ipotizzi da un po’ questa cosa che mi ha sempre lasciata perplessa, forse perché in Italia il femminismo ha sempre avuto una valenza nettamente antistituzionale, e, naturalmente, antimilitarista.
Le donne sono sempre contro il militarismo, contro la guerra. Sono buone, pacifiche, cristiane. E per questo che sono sempre oggetto di soprusi. Bisogna organizzarsi, invece, esattamente come un piccolo stato. …Uno stato che tu definisci “in esilio”. Siamo tutte apolidi? L’unico paese che noi abbiamo sono i nostri corpi. In ogni paese siamo colonizzate. Come puoi liberarti di questa colonizzazione? Se fai una marcia contro la guerra, contro le bombe, ciò non eliminerà la colonizzazione che c’è sul tuo paese, cioè sul tuo corpo. In tutta Europa, e anche in America, la nuova finalità intorno alla quale le donne paiono riorganizzarsi (anche se insieme agli uomini) è quello della pace. Non ti fa riflettere il fatto che, al di là di ogni giudizio, è questo obiettivo a riportare in piazza le donne, e anche le femministe?
Non servirà a nulla. Anche io sono contro la guerra, ma mi chiedo: perché gli uomini non fanno una marcia per l’aborto, o per prendersi cura dei figli? Non esiste uno “specifico femminile” nell’opposizione alla guerra?
Alcune radicali vedono la guerra come arma precisa contro il primo prodotto del lavoro femminile, cioè contro i figli. Ed hanno ragione, ma io dico che è troppo pericoloso fare alleanza con gli uomini: sono troppo più forti. Stai toccando un altro tema cruciale: il separatismo, fondamentale nell’elaborazione femminista e ora, pare, in disuso. L’ultimo colpo gliel ‘ha inferto Betty Friedan. Tu, invece, mi sembri accettarlo…
Il separatismo è nella chiesa, nell’industria, nell’esercito, e nel Potere, in cui nessuna donna può entrare. Io sono femminista, e sono a favore dell’integrazione. In teoria, non mi opporrei a una realtà in cui gli uomini stessero in casa a lavorare e le donne guidassero i Paesi.
Ma il separatismo non coincide con un generico concetto di emancipazione… Se non vogliamo andare in un posto dove ci torturano, ciò non significa che vogliamo essere “separatiste”. I cristiani scappavano dal leone: li chiameresti, tu, oggi, “separatisti”? Come se avessero avuto il potere, nell’antica Roma, come se non stessero cercando di salvare la pelle!
Come le donne! Allora il separatismo è un’altra componente biologica del femminismo?
Prima di parlare di separatismo femminista, voglio ricordare che gli uomini sono i primi ad essere separatisti. E quando sembra che siamo noi ad esserlo, siamo come i cristiani che scappano dal leone. Vorrei, ripeto, che gli uomini fossero coinvolti come le femministe nei problemi delle donne. Il problema è che loro non lo faranno mai. Anche se scrivo un libro in cui dico, come Betty Friedan, «torna uomo I’m sorry non posso vivere senza di te», non ottengo da loro la sensibilità che vorrei. Noi abbiamo bisogno di aiuto, di un compagno, di “comunità”. Le famiglie di cui parla la Friedan tutto questo non potranno mai darcelo, perché mai ce lo hanno dato.
Eppure tu quest’uomo insufficiente non lo rifiuti.
La schizofrenia esistenziale di una femminista è straordinaria. La maggior parte degli uomini, se sa che sei femminista, ti dice arrivederci. C’è poi una minoranza che non lo fa, e nessuno sa quale prezzo paga per questo. È chiaro che ogni scelta politica diventa una scelta individuale, una cambiale da pagare, in ogni giorno della vita, però le scelte che tra le donne oggi si fanno potrebbero avere una significazione diversa dal passato…penso, ad esempio, alla tua decisione di avere un bambino, quella, insomma, sulla quale hai scritto il tuo “With Child “. Anche la scelta di stare con un certo uomo per viverci o per un’attrazione sessuale possono essere viste in modo nuovo dalle femministe, ma la testa il cuore la passione…sono femminili. Ci sono femministe che stimo e con le quali io personalmente non dormo, perché preferisco dormire con un uomo che mi è estraneo, che è uno straniero rispetto a quelle persone. Che ci si può fare?
Non è tanto neanche il modo in cui si fanno le scelte… (la tua può essere rispettabilissima), ma piuttosto la lettura sociale che di queste scelte viene data. Ad esempio in Italia i settimanali più “in” fanno grande chiacchierate intorno al fatto che alcune note femministe abbiano deciso di avere un figlio, e così un fatto personale diventa politico, nel senso, però, che, per loro, anche questo significa che il femminismo è morto…
No! Avere un figlio significa toccare il futuro: forse posso dargli una forma. Lascerò che solo le donne non femministe diano una forma al futuro? E poi non voglio assecondare la scelta selvaggia imposta dalla società patriarcale: o lavorare o avere figli. Non voglio agire come un uomo, e una persona che si occupi solo del lavoro e mai dell’amore, indossando gli orpelli del successo, non è che un uomo. Noi abbiamo il diritto di avere un figlio, cosi come quello di abortire. E il diritto di tenerlo, questo figlio. Mi pare che questo è l’argomento dell’altro libro a cui stai lavorando. Infatti: scrivo delle donne che dispiacciono ai mariti, e per questo sono punite attraverso i figli. I figli sono il frutto del nostro corpo, che è il nostro Paese. Quello che viene dal nostro corpo è nostra risorsa materiale, è il termine del diritto di madre. “Patriarcato” è colonizzare il frutto di una donna, avere proprietà sui suoi prodotti, diritto legale su di essa…Noi siamo come schiave che lavorano la terra e consegnano i frutti al padrone. Il punto è chi ha diritto ai prodotti? La maternità è questione di proprietà, di potere?
Non voglio fare un inno di gloria alla maternità, però voglio dire che quando tu, donna, senti che il mondo non ti vuole, crei il tuo mondo dentro di te, con te, dove tu sei. Quando volevo scrivere questo libro, gli editori obiettavano: «Ma di maternità è stato già parlato!». Rispondevo: chi l’ha fatto? Dante? Cervantes? Shakespeare? Gli uomini, tutti, scrivono soltanto di due cose; d’amore e di guerra. Io, quando ero incinta, ho cercato come Dante in Virgilio, una guida, in qualcosa o in qualcuno. Non l’ho trovata, e ho deciso di esserlo io, per me e per le altre. Questo libro è un atto di poesia, ed è anche un discorso sul silenzio, sull’isolamento esistenziale che circondano la realtà di una nuova esistenza…che poi significa pure avere problemi di soldi e nessuno che si occupi di tuo figlio. Non è un trattato, è una cosa personale, che però, se viene analizzato dalle donne in maniera personale, può offrire una grandissima saggezza.

La maternità è una condizione fisica ed esistenziale intorno alla quale il movimento femminista ha sempre dibattuto. Inoltre, all’epoca dell’autocoscienza, c’erano “piccoli gruppi” di donne incinte che svisceravano l’evento più “femminile” del mondo per comprenderlo realmente…Tu non te ne sei giovata?

No. Quando sono tornata a casa, dopo aver partorito, al telefono una strana donna mi ha chiesto: «Hai avuto un bambino o una bambina?». Ho risposto: un bambino, e lei mi ha urlato: Malissimo! Mai una mia amica femminista ha fatto la baby sitter per me…E, veramente, neanche le altre! Torniamo all’inizio del nostro discorso, al problema del poco amore che esiste tra le donne…
E più complicato: le donne-madri affogano in un superlavoro, le altre sono gelose, inconcludenti, oppure, per fare qualcos’altro, hanno rinunciato ad avere quest’esperienza per sé. Mi sembra un ritratto penosamente pessimista.
E dal ’66 che sono nel femminismo, e credo di avere elementi e materiale umano per tentare di tracciare uno schizzo della situazione attuale tra le donne. Non so se cambierà. Non lo so neanche io, però è anche vero che quelle che sono ragazze oggi sono forse punk, ma mai femministe. Le femministe sono oggi come le mamme che dicono non fare questo o quell’altro. E, invece, nel sogno di ogni ragazzina, qualcosa come il baccanale, la sessualità, l’orgia, il principe azzurro per andare via dal mondo di sua madre e per essere coinvolta nel mondo vero, che è quello degli uomini. Le ragazze giovani non pensano che l’aborto potrà essere proibito, che l’America è sferzata da un freddo vento moralizzatore e repressivo…Si godono i frutti della lotta delle femministe come i figli si godono i frutti del lavoro delle loro mamme, odiandole, però, come si odiano le mamme.
Stremata dalle sue stesse parole, Phyllis sogna un albergo sulla riviera ligure, o in Costa Azzurra. Per il momento, si accontenta di trascinarmi sui gradini di Piazza di Spagna. A guardarla allibita mentre, d’improvviso e assurdamente compresa nel ruolo “dell’americana”, acquista patacche simil egiziane ansiosa di souvenirs comprati in Italy. Ed intanto mi chiede: di me, della mia vita, del mio lavoro, e vorrebbe sapere qualcosa di tutte le donne che conosco. Come un cacciatore d’oro, amerebbe scoprire tutti i rivoli sopravvissuti alla secca del grande fiume del Femminismo. Finisce che, due ore dopo, di fronte a una aranciata amara, su, al Pincio, le confesso ridendo che i suoi gusti in fatto di anelli mi sono incomprensibili quasi come il suo sogno di un esercito di donne.