inchiesta u.s.a.
nonostante reagan
quali spostamenti si sono verificati dopo le ultime elezioni parziali negli stati uniti?
a metà mandato, reagan fa i conti con le donne.
“Le suffraggette lottarono disperatamente per avere il voto. E’ giunta l’ora di usarlo. In questo semplice slogan si può identificare il maggior cambiamento nella strategia del movimento delle donne americano. Per la prima volta infatti, da quando il neofemminismo è esploso, alla fine degli anni ’60, le principali organizzazioni delle donne in occasione delle ultime elezioni americane – hanno dato indicazioni precise di come votare e si sono impegnate, come mai in precedenza, nel far iscrivere le donne nelle liste elettorali. “It’s men’s world, unless women vote” (Il mondo è degli uomini, a meno che le donne votino!) è stato lo slogan della National Education Association, il secondo sindacato americano degli insegnati (con 1.700.000 iscritti, due terzi dei quali donne). “Women Power Vote” (Potere alle donne, vota!) quello del Now la National Organization of Women, che ha più di 300.000 socie. E le donne sono andate a votare, in numero maggiore degli uomini, dando la preferenza ai candidati del partito democratico per il 56% contro un 40% ai repubblicani, mentre per gli uomini la percentuale è stata del 53% contro il 43%.
Così Mario Cuomo, il neoeletto Governatore dello Stato di New York, che prima delle elezioni si era pubblicamente impegnato per una serie di misure a favore delle donne, è stato eletto – come hanno rilevato i sondaggi di opinione condotti fuori dai seggi elettorali dal New York Times e dalla rete televisiva Cbs grazie appunto al voto delle donne. E un buon numero di Governatori e di parlamentari degli stati, che si erano opposti alla ratifica dell’Era (Equal Rights Amendment, l’emendamento costituzionale, approvato nel’1972, che prevedeva la non discriminazione a causa del sesso e che non è stato ratificato in tempo da un numero sufficiente di Stati), sono stati rispediti a casa. E due donne, che peraltro erano state vicine al movimento delle donne, ma che in Parlamento avevano votato a favore della politica economica di Reagan, Millicent Fenwick del New Jersey e Margareth Heckeer del Massachussets, hanno perso contro i due candidati “liberali” maschi, Frank Loutember e Barney Frank.
Come hanno riconosciuto tutti i maggiori commentatori politici americani, si è dunque verificato, in occasione delle elezioni del 2 novembre, quel “gender gap”, quel voto diverso delle donne che tutti i sondaggi di opinione avevano pronosticato, e di cui tutti i partiti in futuro non potranno non tenere conto.
Per anni i due sessi avevano votato più o meno nello stesso modo. Nelle elezioni presidenziali le donne in generale, hanno prevalentemente votato a favore del Partito del Presidente uscente (per Nixon nel 1960, Humphrey nel 1968, Ford nel 1976) mentre gli uomini hanno votato per il partito dell’opposizione (Kennedy nel 1960, Nixon nel 1968, Carter nel 1976). Nel 1980 però gli uomini hanno dato la preferenza a Reagan con un margine (55%) molto maggiore di quello delle donne (47%).
Da quel momento il divario si è allargato. Perché dunque un cambiamento così improvviso e rapido? Il motivo sembra essere non soltanto la mancata ratifica dell’Era, o la lotta che il Presidente Reagan e la Moral Majority che lo sostiene, stanno facendo all’aborto, ma soprattutto la preoccupazione per i problemi economici. Oggi negli Stati Uniti, il 53% delle donne di età superiore ai 16 anni lavora. (41% nel 1970). Contemporaneamente le responsabilità familiari delle donne sono aumentate. Il 46% di tutte le donne con figli minori di 6 anni lavora, così come il 63% di quelle con figli tra i 6 e i 16 anni. Ma il dato più significativo è che negli ultimi dieci anni il numero delle coppie sposate è cresciuto del 10%, mentre quello delle famiglie con a capo una donna è aumentato del 51%.
L’occupazione femminile è però concentrata solo in pochi settori. Il 50% di tutte le lavoratrici si trova in 20 categorie di impiego su 440. Le donne rappresentano il 99% delle segretarie, il 50% degli addetti ai servizi, l’89% degli occupati nel settore sanitario e solo il 6% degli occupati nel settore artigianale. Rimangono peraltro tradizionali discriminazioni salariali tra l’occupazione femminile e quella maschile. Le donne guadagnano meno degli uomini in ogni occupazione ad Ogni livello di istruzione. Il salario medio delle donne nel 1980 era di 11.220 dollari, quello degli uomini di 18.000 dollari. Il guadagno medio delle donne con un diploma di scuola secondaria era di 5.903 dollari, mentre gli uomini con lo stesso diploma guadagnavano, sempre nel 1980, 16.200 dollari. Il salario medio delle donne laureate era di 11.000 dollari, quello degli uomini superiore ai 23.000 dollari.
Circa 13 milioni di donne di età superiore ai 35 anni sono “displaced home makers”, vale a dire divorziate, vedove o semplicemente abbandonate dal marito. Il 15% di tutte le famiglie americane hanno oggi come capofamiglia una donna (nel 1970 erano il 10%). Metà di tutte le famiglie povere hanno come capofamiglia una donna. I problemi economici delle donne tendono ad accentuarsi con l’età. Le donne rappresentano il 60% degli anziani degli Stati Uniti (circa 15 milioni) ed il 60% di tutte le donne non sposate di età superiore ai 65 anni hanno come unico reddito la pensione previdenziale di 2.500 dollari l’anno. Uno studio condotto nel 1980 dal National Advisory Council on Economie Opportunities parla di “femminilizzazione della povertà” e prevedeva che nell’anno 2000 il 100% dei poveri negli Stati Uniti saranno donne capofamiglia con i loro figli. Oggi le donne sono le prime ad essere licenziate, perché occupate nei settori in crisi e perché sono state le ultime ad essere assunte. La disoccupazione dunque è un problema essenzialmente femminile. Dì conseguenza i tagli nei programmi sociali hanno avuto i loro principali effetti su questa parte della popolazione. Infatti, il 93% di tutti coloro che vivono di sussidi sono donne e bambini. L’80% di tutte le famiglie che ricevono un sussidio hanno una donna come capofamiglia. I due terzi di coloro che ricevono assistenza me dica gratuita sono donne, 10 milioni delle quali hanno oltre 75 anni di età.
Il 70% di coloro che ricevono i buoni pasto sono donne, 11 milioni sono bambini.
Il 66% di tutte le famiglie che vivono in case popolari pubbliche hanno una donna capofamiglia; metà di queste case sono occupate da donne anziane che vivono sole.
L’amministrazione repubblicana sta inoltre cercando di vanificare alcuni dei progressi realizzati dalle donne negli ultimi anni. Non esiste oggi nessuna applicazione da parte del governo federale dei programmi di azione positiva, che richiedeva ai fornitori del Governo Federale piani per l’integrazione delle minoranze e delle donne nella forza lavoro, mediante programmi di formazione professionale. La Commissione Federale per l’Eguaglianza delle Opportunità, a detta del suo nuovo direttore, concentrerà la propria azione solo sulle denunce di casi individuali di discriminazione, senza condurre inchieste di propria iniziativa nelle aziende sospette di discriminazione. Tutti questi elementi hanno certamente influito nel comportamento elettorale delle donne.
Il Now e le altre organizzazioni che avevano costituito speciali comitati elettorali, hanno sostenuto anche finanziariamente i candidati scelti. “Per le elezioni abbiamo raccolto più denaro dello stesso Partito Democratico e useremo questo denaro” aveva dichiarato Denise Fuge, Presidente del Now di New York. “We have the power of the ballot” (abbiamo il potere del voto!). Una prima indicazione di ciò si era avuta al momento delle elezioni presidenziali del 1980. “Carter si era impegnato nel 1976 a fare approvare l’Era e una serie di misure che avrebbero cambiato la condizione femminile. Non ha mantenuto le sue promesse e nel 1980 noi non l’abbiamo appoggiato” continua Denise Fuge. “Siamo state accusate di aver cosi permesso che Reagan fosse eletto. Ma Reagan sarebbe stato eletto comunque, perché il paese stava andando a destra. Ma il messaggio che abbiamo lanciato allora era molto chiaro: in nessun modo e per nessun motivo avremmo più dato il nostro appoggio a candidati che non mantenevano le promesse. Questa nostra posizione rappresenta una pietra miliare nella storia politica americana. Se non ci fosse stato l’Era avremmo dovuto inventarlo. E’ stato un magnifico strumento organizzativo. Ora sappiamo come si conducono le campagne elettorali, come si raccolgono finanziamenti, come si esercita pressione sui candidati, come si arriva alla gente”. Il movimento delle donne in America ha comunque di fronte a sé anni difficili. “Se prima eravamo proiettate verso nuove misure legislative, oggi dobbiamo lottare per mantenere quello che abbiamo ” dice Judith Lepwich del National Legai Defense Fund. “Ci vorranno anni per riparare i danni fatti dall’Amministrazione Reagan- aggiunge Carol Bonosaro, femminista storica, cattolica che sostiene la libertà di scelta per l’aborto e che da anni lavora nel campo dei diritti civili – “I problemi su cui lottare sono sempre gli stessi: violenza domestica, stupro, asili nido, aborto. Ma soprattutto oggi dobbiamo impegnarci nel campo della formazione, della necessità di avere paga eguale per lavoro di eguale valore, di come il welfare è amministrato. Il nucleo centrale della nostra azione futura saranno dunque i problemi economici e del lavoro.
L’Era è già stato ripresentato e dovremo riprendere la lotta perché oggi i diritti di una donna dipendono dallo Stato in cui le capita di vivere”. E in questa lotta ci sono indicazioni che le donne si troveranno di nuovo alleati i neri e le altre minoranze. Dopo un periodo di velate accuse da parte del movimento per i neri che le donne ce l’avevano fatta “on the back of the black”, sulle spalle dei neri, per il fatto che si preferisce oggi impiegare una donna bianca piuttosto che un uomo nero, questo problema sembra essere superato e recentemente il Presidente del Joint Center for Politicai Studies ha riconosciuto pubblicamente la necessità dell’alleanza tra i due movimenti. E se questo veramente si verificherà, allora la scena politica americana potrà cambiare e se il partito democratico saprà comprendere le indicazioni che gli sono venute dalle ultime elezioni, una nuova vittoria di Reagan nel 1984 non sarà poi così certa.