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il piacere di condividere
“Se uno salisse in cielo e contemplasse la natura dell’universo e la bellezza degli astri, tutto quel suo ammirare sarebbe sterile di ogni gioia, mentre invece gli darebbe infinito diletto, se egli avesse qualcuno a cui poter narrare” queste parole di Archita di Taranto colgono uno degli aspetti salienti d’una esperienza fondamentale della nostra vita: l’amicizia. Se non è esatto quello che affermava Alberoni recentemente su Repubblica lamentando la carenza di ricerche sull’argomento — esistono infatti molti studi teorici ed empirici soprattutto in lingua inglese — è vero che in Italia sono state condotte pochissime ricerche, sull’amicizia in generale e sull’amicizia tra donne in particolare. Ci è sembrato pertanto interessante pubblicare la ricerca condotta da Luisa Genco per la sua tesi di laurea in psicologia che si occupa appunto d’amicizia tra donne. Prima di esaminare le ipotesi e i risultati della ricerca della Genco farò una breve rassegna degli studi teorici e delle ricerche empiriche sull’amicizia tra donne.
studi teorici e ricerche empiriche
Secondo Padiglione (1978) autore di uno stimolante libro sulla storia dell’amicizia nei secoli, è ricorrente nel mondo classico, tra i greci e tra i romani il pregiudizio che le donne non sono capaci d’amicizia. Giova ricordare che in Grecia c’era appunto la tendenza da parte dei maschi a cercare le amicizie in genere tra uomini: “l’esaltazione dell’amicizia si allaccia strettamente con la pratica omosessuale solo in parte accettata: più spesso è rappresentata in forma sublimata, come nella concezione platonica” (Padiglione 1978). Quanto i pregiudizi contro le capacità delle donne di stringere amicizie siano duri a morire lo mostra il libro d’una donna la Harding pubblicato nel 1951. Secondo lei, nel Medio Evo l’amicizia assume nuove caratteristiche, per cui la rete di vincoli di dipendenza e fedeltà personale tessuta dal vassallaggio e dal servaggio, diventa la base delle relazioni interpersonali. Ma l’amicizia rimane ancora una prerogativa del sesso maschile. Solo negli ultimi secoli con le mutate condizioni economiche e sociali le donne divengono secondo questa autrice capaci d’amicizia tra di loro. E sottolineato di proposito capaci perché la Harding sostiene che nello sviluppo dell’umanità le donne sono rimaste indietro rispetto agli uomini e pertanto stanno ora evolvendosi in modo da essere finalmente brave e mature abbastanza da poter dare e ricevere amicizia;
“L’amicizia tra le donne non è che un aspetto della rivoluzione sociale degli ultimi cento anni. Essa ha radici in movimenti sociali e razziali di lunga portata, nelle mutate condizioni economiche risultanti dalla meccanizzazione dell’industria, nell’educazione ed emancipazione economica delle donne, e anche nei mutamenti psicologici avvenuti nelle donne stesse. La frequenza di amicizie omosessuali tra donne deve essere considerata come indice d’una fase di transizione della civiltà. Forse la femminilità, quanto allo sviluppo individuale, sta passando attraverso l’adolescenza. Questa tendenza sociale è forse un sintomo d’evoluzione razziale. Il mutamento dei rapporti tra uomini e donne, in incubazione da anni; è stato preceduto da un passo indietro rispetto allo stadio del matrimonio convenzionale, per rendere possibile nel campo femminile un ulteriore sviluppo individuale, raggiunto il quale essa potrà avere con l’uomo una relazione psicologica cosciente”. Quanto le tesi sostenute dalla Harding siano prive d’ogni fondamento scientifico e illustrino solo come anche studiose donne abbiano ampiamente interiorizzato stereotipi negativi sulla donna è mostrato da una ricerca effettuata da Carol Smith Sosemberg (1979) che ha cercato di capire quali erano in realtà i rapporti tra le donne nell’ottocento esaminando diari e corrispondenze tra donne appartenenti a 35 famiglie americane, che vanno dal 1770 al 1980.
Emerge un quadro d’una estrema varietà e ricchezza di rapporti tra donne, che vanno dall’amore solidale tra sorelle, agli entusiasmi delle amicizie adolescenziali, alle dichiarazioni d’amore tra donne mature. Amicizia ed intimità seguivano i ritmi biologici della vita delle donne, e duravano spesso l’intero arco dell’esistenza. Le donne si aiutavano, si assistevano durante tutte le crisi esistenziali, dal matrimonio alla gravidanza, dal parto allo svezzamento. Vicine affrontavano le frequenti morti, e le malattie. Secondo la Rosemberg spesso questi legami oltre ad essere emotivi erano anche fisici, e la società incoraggiava o perlomeno non scoraggiava i rapporti intensi tra donne mentre imponeva forti restrizioni sociali prima del matrimonio a rapporti d’intimità tra ragazzi e ragazze.
La Rosemberg ipotizza che solo nel XX secolo si sono sviluppati molti tabù che impediscono sul nascere i legami omosessuali delle adolescenti, guidate verso relazioni eterosessuali. Al contrario la società statunitense dell’ottocento non impediva che si sviluppassero intime relazioni d’amicizia tra donne e acconsentiva che rimanessero vitali ed importanti per tutta la durata della vita della donna. Sarebbe interessante se ulteriori ricerche storiche approfondissero e dimostrassero l’attendibilità di queste ipotesi della Robemberg. Certo è che nonostante i pregiudizi secolari questi diari e queste lettere dimostrano l’esistenza di forti amicizie tra donne. Sulle amicizie tra donne nella nostra epoca esistono anche una serie di ricerche empiriche soprattutto condotte negli Stati Uniti.
Gibb Candy e collaboratori (1981) hanno cercato di esplorare quali funzioni ha l’amicizia per le donne. Sono partite dall’ipotesi che l’amicizia risponda a bisogni di socievolezza, status, compatibilità, comunanza d’interessi, potere, aiuto ed intimità e che questi bisogni cambiassero nel corso della vita. Dopo aver intervistato sei gruppi di donne in età dai 14 agli 80 anni hanno trovato che per tutti i gruppi d’età valeva il concetto d’amicizia come risposta a bisogni di intimità ed aiuto. Invece l’amicizia come supporto al proprio status sociale diventava importante per le donne oltre i 50 anni. L’amicizia come acquisizione di potere era più prevalente tra le donne giovani e diveniva più rara con l’aumentare degli anni. Potere era qui definito come l’abilità nell’influenzare il comportamento di un’altra persona. In un’altra ricerca Bell ha studiato i comportamenti amicali di donne “convenzionali” e “non convenzionali” ha trovato che le donne “non convenzionali” avevano più amiche intime che amici intimi. Nelle amicizie apprezzavano soprattutto l’onestà, la reciprocità e la tolleranza. Le donne “convenzionali” preferivano invece rivelare alle proprie amiche solo una piccola parte di se stesse, ponendo grossi limiti alle proprie confidenze. Esse davano più importanza agli aspetti negoziabili ed esteriori dell’amicizia, aprendosi il meno possibile su aspetti intimi ed emotivi.
Per Davidson e Packard (1981) l’amicizia soprattutto nelle donne assume un significato speciale che essi definiscono “terapeutico”. Le donne mostrano capacità di aiutarsi l’un l’altra a superare momenti di crisi. In generale le ricerche sull’amicizia condotte su uomini e donne mostrano che le donne sono contrariamente a quanto affermato nell’antichità, oggi almeno, più aperte degli uomini all’amicizia e all’intimità, specie per quanto riguarda la rivelazione di aspetti intimi del proprio essere.
risultati della ricerca condotta in italia
Luisa Genco ha intervistato 120 donne tutte sposate, in età dai 20 ai 59 anni, metà con scolarità media superiore-metà con scolarità media inferiore. La Genco voleva appunto vedere se nella realtà d’un paese del Sud, tra donne, tutte sposate, l’età e il livello di scolarità influenzassero il tipo di rapporto amicale. Inoltre voleva verificare se il lavorare fuori casa modificava il tipo <J ‘amicizia intercorrente tra donne.
Per la sua ricerca ha utilizzato due questionari elaborati e già usati per altre ricerche negli Stati Uniti e in Italia. Il primo questionario dell’apertura di sé, analizza il grado di apertura ed intimità che la donna intervistata ha con diverse persone che vanno dal marito al padre, dalla madre all’amica intima, all’eventuale fratello o sorella. L’altro questionario indaga sui rapporti d’amicizia avuti nell’infanzia, nell’adolescenza, prima di sposarsi, dopo il matrimonio.
In generale la persona con cui le donne si aprono maggiormente è il marito. Non ci sono differenze tra donne con alta e bassa scolarità sul numero di amiche e di amiche intime. Le donne più anziane si aprono di più con altre donne, amica intima o sorella, mentre le più giovani scelgono ugualmente spesso un amico o un fratello. Le più anziane hanno inoltre un numero maggiore di amiche intime,
Con l’amica intima più spesso che con genitori, parenti o amici maschi le donne parlano della loro idee sugli uomini, sulla morale sessuale, sulla politica, sulla maternità e l’aborto e sulla contraccezione. Dopo il marito è l’amica intima che raccoglie le confidenze sulla vita sessuale.
Purtroppo la Genco per la sua tesi di laurea si è limitata ad analizzare i dati del primo questionario, riservandosi di esaminare i dati del secondo questionario — la storia delle amicizie di queste donne dall’adolescenza a dopo il matrimonio — in un, secondo momento. Sarà particolarmente interessante conoscere i risultati di questa parte della ricerca per poterli confrontare con l’evoluzione delle amicizie descritte dalla Robinson per le donne americane dell’ottocento. Da questi primi dati emerge un’assoluta preminenza del marito come confidente-amico di queste donne su tutti gli argomenti. Infatti esse si aprono maggiormente con il proprio coniuge sia su problematiche che riguardano il lavoro, il denaro, i propri gusti ed interessi, sia per argomenti concernenti il proprio corpo e atteggiamento ed opinioni sulla politica, la religione, Dopo il marito, predomina l’amica intima per quasi tutti gli argomenti specie per le donne più anziane. La maggior capacità delle donne più anziane (dai 40 ai 59 anni) di avere più amiche intime sembra confermare che esistono stadi evolutivi diversi per ogni persona nella capacità di stringere vari tipi di legami d’amicizia. Robert e Anna Selman (1981) ad esempio hanno identificato cinque stadi evolutivi attraverso i quali si articola e si sviluppa la concezione dell’amicizia e hanno verificato le loro ipotesi su 250 soggetti dai 3 ai 45 anni. Essi hanno verificato che nello stadio 0 cioè pressappoco dai 3 ai 7 “gli amici sono apprezzati per i loro attributi materiali e sono definiti sulla base della semplice vicinanza fisica. Nello stadio 1 che va dai 4 ai 9 anni il bambino riesce a distinguere il proprio punto di vista dagli altri, ma è uno stadio dell’assistenza a senso unico (cioè uno dei due fa quello che vuole l’altro) in quanto non si ha ancora un’idea precisa d’un rapporto reciproco di dare ed avere.
Nello stadio 2 tra i 6 e 12 anni questa idea è invece già acquisita per cui si dà molta importanza all’opinione dell’altro, subentrando così una “cooperazione reciproca con riserva”.
Tra i 9 e 15 si entra nello stadio 3: la ragazza può porsi anche fuori dal rapporto e guardare secondo il punto di vista d’una terza persona: “si passa dalla visione dell’amicizia come cooperazione reciproca al servizio degli interessi individuali di entrambi, a quella di una collaborazione finalizzata ad interessi comuni e mutui. Gli amici non si limitano a condividere segreti, accordi o progetti, ma anche sentimenti, si aiutano l’un l’altro a risolvere conflitti personali ed interpersonali e sì danno una mano nella risoluzione dì problemi. E questo lo stadio dei rapporti intimi mutualmente condivisi in cui però il legame è ancora abbastanza esclusivo e piuttosto possessivo. Secondo Raymond-Rivier le amicizie di questo stadio: “ferventi, esclusive, ombrose assomigliano all’amore che precedono ed annunciano soprattutto nelle ragazze ma frequentemente anche nei ragazzi. Dall’amore esse mutuano il linguaggio e come l’amore sono turbate da tempeste, discordie da rotture, perdoni, e riconciliazioni. Il tradimento d’un amico o di un’amica può rappresentare per gli adolescenti una esperienza sconvolgente. Esso non solo offende le loro esigenze di assoluto, il loro intenso bisogno d’affetto e di tenerezza; ma rimette in discussione la stessa autostima, sentimento che proprio nell’amicizia si stava fortificando”.
Nello stadio 4 cioè dai 12 anni in poi l’amicizia può iniziare ad essere autonoma ed interdipendente. C’è un sostegno emotivo e psicologico che si ricava dall’amico, ma c’è anche la possibilità di sviluppare dei rapporti indipendenti da questo. Quindi in questo stadio di amicizia matura si ritrovano bisogni di dipendenza ed autonomia. Questi stadi secondo i due autori sono rintracciabili anche nelle amicizie tra adulti. Sia gli adolescenti che gli adulti hanno difficoltà a passare da amicizie da fase 3 ad amicizie di tipo 4. Per alcune di noi ci sono difficoltà legate alla paura d’una intensa intimità, per altre al contrario c’è una certa incapacità a stabilire un rapporto più indipendente.
Credo che queste ricerche e studi confermino in parte quello che noi abbiamo sperimentato nei nostri rapporti di amicizia personali e nei collettivi di donne negli ultimi anni. Molti aspetti dell’amicizia rimangono però largamente inesplorati.
La ricerca della Genco andrebbe ad esempio replicata con gruppi di donne nubili con e senza legami di coppia, per vedere se il posto di “primo confidente” che nella ricerca della Genco era attribuito al marito, viene preso da una sola amica o distribuito tra una rete di amici-amiche. Mancano totalmente anche “storie di vita” attuali che seguano l’evolversi e il mutare di amicizie tra donne lungo l’arco di una vita. Sarebbe interessante anche esplorare quanto il superstress che oggi perseguita le donne che lavorano dentro e fuori casa incida sulla capacità di mantenere rapporti d’amicizia soddisfacenti.
Sembra che chi abita nelle grandi città abbia più possibilità di conoscere gente nuova ma anche più difficoltà a vedere frequentemente le persone amiche. Per molte di noi il telefono diventa il modo privilegiato di restare in contatto. Così ci priviamo però del piacere del contatto fisico e visuale. Sarebbe importante anche conoscere quali atteggiamenti e comportamenti e situazioni ambientali favoriscono lo svilupparsi d’amicizie vitali e soddisfacenti. Il movimento femminista con la creazione di centinaia di collettivi è stato anche un momento eccezionale d’incontro per migliaia di donne, che hanno avuto l’opportunità di diventare amiche. Non sappiamo però quante di queste amicizie sono state mantenute dopo lo scioglimento o la trasformazione della maggior parte dei collettivi.
Se è vero che l’amicizia oltre ad essere un rapporto basato sull’attrazione reciproca, mutua solidarietà, interessi comuni ed il piacere di “stare insieme” offre anche ad ognuno di noi la possibilità di penetrare nel mondo intimo d’un altro; evitando almeno in parte gli eccessivi coinvolgimenti caratteristici dei rapporti amorosi, mi sembra che l’amicizia offra un’opportunità di crescita e cambiamento, d’introduzione al diverso per ognuno di noi. Questa componente di aiuto ad esplorare parte diverse di sé dovrebbe essere stata particolarmente forte nelle amicizie nate all’interno della solidarietà, delle lotte e dei conflitti sperimentati nei collettivi femministi.
Sarebbe bello poter avere degli studi che documentino attraverso lo studio dell’evoluzione delle amicizie tra donne coinvolte attivamente nel movimento femminista, quanto questi legami abbiano inciso (e in quali direzioni) sui percorsi individuali e collettivi delle nostre vite.