professione casalingo

maggio 2015

 

Scardinare i ruoli, costruire una società in cui donne e uomini, spezzati i codici corrosi del «maschile» e del «femminile», siano semplicemente esseri umani: questa una delle mete principali del femminismo. Non utopia, ma, per mediare da Brecht la definizione del socialismo, «la cosa facile difficile a farsi». difficile perché presuppone un radicale cambiamento dell’attuale sistema, che non avverrà in tempi brevi ma comporterà una lunga e complessa fase di transizione. Poiché abitiamo nel cuore di questo decrepito capitalismo e non ci illudiamo che la rivoluzione esploda domani, (ma neppure vogliamo accettare l’alibi, cui tanto tenacemente si abbarbicano schiere di «compagni padroni», del «dopo la rivoluzione cambiare anche la condizione femminile»), il problema è quanto ci si possa liberare dai ruoli in questa società. Qualunque settore si prenda in esame, da qualunque angolazione, la conclusione, una volta rimesse insieme le tessere del mosaico, è che la ricerca di soluzioni individuali apre spazi di libertà, ma solo per un’élite (e su quanto questi spiragli siano illusori, ci sarebbe molto da discutere), lasciando tutti gli altri, inesorabilmente, ai piedi della Grande Muraglia: il sistema com’è.

Restringiamo l’analisi a un campo limitato, quello della divisione dei ruoli nell’ambito dei lavori domestici (campo esplorato solo dal femminismo, in genere spazzato via con regale noncuranza dal «compagno padrone» aduso a gestirsi la prassi globale ma non il calzino personale), e partiamo da un «caso» particolare, un «caso» in cui le condizioni di partenza siano di per sé propizie alla ricerca d’un superamento dei ruoli in questo settore.

Una coppia — Paola e Roberto — femminista lei, lui che non si dichiara femminista (occhio a quelli che si dicono tali: è il patriarca mimetizzato che rispunta) ma «disponibile», cioè pronto, sia pur con riluttanza e scalpitando un po’, a mettersi in discussione, percorso da qualche sussulto di dubbio sulla sua identità di «maschio», esemplare di una specie ancora agli albori, in bilico tra l’antico ruolo e la confusa sensazione che il maschio guerriero-condottiero-eroe-navigatore ecc. ecc., sia un patetico, anacronistico fantoccio.

 

Roberto: 25 anni insegnante

Vive con Paola, insegnante anche lei. Dice: «I lavori di casa mi sono sempre piaciuti e li ho sempre fatti. Da piccolo aiutavo mia madre e la cameriera: era un gioco, un divertimento. Anche dopo, e finché sono rimasto in famiglia, non ho cambiato atteggiamento. Naturalmente mi rendo conto che era così perché nessuno mi chiedeva di farlo». A 22 anni, per la prima volta, Roberto si trova di fronte alla necessità di «mandare avanti una casa». «Ma era una casa di vacanze — ammette — e la cosa è durata un paio di mesi». Insomma, ancora «gioco». Poi a 24 anni, lasciata la famiglia, viene a Roma, dove ora vive con Paola. «I lavori di casa sono passati da divertimento a necessità. Dato che io ci ero più o meno abituato non mi pesano troppo; però ho visto che in fondo nessuno mi impone niente e che c’è la rotazione dei compiù: rimane sostanzialmente «gioco» perché sono libero di farlo». Roberto ha comunque decisamente superato lo schema lavoro-di-casa = faccende-da-donna. «Anzi, quando vado a casa di una coppia giovane e vedo che lui non fa niente, mi meraviglio». Bene: dunque i lavori casalinghi l’i ha accettati. Ma farebbe il casalingo? La risposta è immediata, recisa: «No, mai. Perché non sarebbe più gioco, ma un lavoro imposto. Poi penso che nessuno dovrebbe fare il casalingo o la casalinga così come questo lavoro è stato fatto fino a oggi. E’ un mestiere isolato, ti estrania dalla società, ti fa assumere una serie di falsi valori. Ognuno ha i valori che il suo ruolo gli impone: per una casalinga, o casalingo che sia, diventa valore, in una società così, il pavimento più pulito, il colletto della camicia più bianco del bianco e così via». Roberto non pensa che la soluzione stia nell’inversione dei ruoli: lui a casa, lei fuori a” guadagnare il pane”. «Così non si attacca la divisione dei ruoli: l’inverso è uguale. Ci può essere un gruppo minoritario di uomini che decide di stare a casa, ma dato che questa è una scelta, non una imposizione come per il 99% delle donne casalinghe, non si può fare una equivalenza tra la condizione dell’uomo casalingo per scelta e della donna casalinga per obbligo». L’unica soluzione è una società diversa, in cui i servizi siano socializzati, in cui (oltre a una tecnologia più avanzata disponibile a tutti: «le macchine obiettivamente alleggeriscono, i lavori di casa») esista un modo diverso di abitare e venga spezzato il ghetto in cui è rinchiuso chi si occupa della casa e basta. Benissimo, ma nel frattempo? «Nei frattempo le coppie che sono disponibili possono dividersi i lavori». Già, ma quante sono le coppie” disponibili” (leggi: i maschi disponibili all’interno delle coppie?). «Pochi», ammette. E allora? «Si potrebbero studiare forme di collaborazione tra chi abita nella stessa casa, nello stesso quartiere: non solo per i lavori domestici, ma anche (e qui tocchiamo l’altro grosso punto dolente della condizione della casalinga e della donna in genere) per i bambini. Per esempio, le donne di una casa o di un quartiere potrebbero fare i ‘turni per guardare i bambini». «Perché le donne» — gli dico — «Non pensi che la responsabilità dell’allevamento dei figli spetti a tutti e due?». «Infatti è vero, dovrebbero fare i turni uomini e donne. Però, se io insegno, vado dal preside e gli chiedo un giorno libero perché devo badare ai bambini, mi guarda stralunato, se ci va una donna tutto è normale. Insomma, anche volendo fare la mia parte, mi scontro con una società che è basata sulla divisione dei ruoli «.Questo significa che, per la prima volta nella storia, anche il maschio che voglia essere padre di fatto e non solo di nome, si trova di fronte al dilemma lavoro o paternità, così come la donna che lavora ha sempre dovuto fare la scelta lacerante tra lavoro e maternità. «E’ un grosso problema — riconosce Roberto — oggi sceglierei il mio lavoro ma nei momento in cui accettassi la paternità, accetterei anche di’ dividere i compiù che avere un figlio comporta». E qui nasce tutta una serie di guai. Esaminiamo le potenziali vie di uscita. Data la divisione del lavoro nell’attuale società, uno dei due dovrebbe lasciare il lavoro. Finora è stata la donna a” sacrificarsi”. Se una coppia prende coscienza che questo non è giusto, che si fa: lo lascia lui? Si avrebbe l’inversione dei ruoli, ma sempre ruoli rimarrebbero. Lo lasciano tutti e due: ma chi guadagna? Dove sono, in questa società, i lavori a orario ridotto per ambedue, gli asili nido per le ore in cui lui e lei lavorano? C’è la soluzione” baby-sitter” o” tata”, ma è riservata a pochi. Chi ha i soldi può godersi le gioie della maternità e della paternità evitandone i pesi più gravi e soprattutto la scelta tra figli e lavoro. «Oppure non si fanno figli, se i soldi non ci sono — dice Roberto — forse si va verso una generazione senza figli». Il problema è dunque aperto. In un sistema come questo i muri si possono aggirare per un pò, ma poi inevitabilmente ci si sbatte contro. E persino questo” aggiramento” parziale è concesso a pochi: il maschio che accetta di spartire lavori di casa e cura dei figli appartiene a un’élite che, oltre ad aver preso coscienza, è nelle condizioni oggettive più favorevoli per tentare di superare i ruoli, (naturalmente non parlo dell’aiuto occasionale, che molti uomini danno, ma di un cosciente sforzo di”spezzare gli schemi”). Non dimentichiamo poi che in certi ambienti intellettuali-borghesi — dove il femminismo, purtroppo per noi, è di moda —” fa fine” per il maschio” liberato” rivelare che Lui lavora in casa quanto e più di Lei. Ricordo uno scienziato che, a un convegno, raccontava con molto humour che, vivendo con una femminista super-impegnata, il suo lavoro primario era ormai quello di”casalingo”. Nessuno ha riso di lui: in un certo giro la cosa è” in”. Ma ve le immaginate le reazioni al medesimo racconto fatto da un operaio a una mensa aziendale o da un” maschio di paese” agli amici del bar? Su di loro cadrebbero i fulmini delle sanzioni sociali. Pochi (anche se il numero dei maschi che prendono coscienza si allarga) sono nelle condizioni di sfuggire ai ruoli imposti dalla società. Liberazione per chi, dunque? E fino a che punto? Sono problemi che dobbiamo affrontare. Finché le strutture economiche e sociali non saranno sradicate, la ricerca individuale della liberazione dai ruoli urterà contro continue barriere. Questo non significa rinunciare alla lotta per mutare il privato, perché il privato è politico, ma muoversi su tutti e due i fronti, quello esterno e quello interno, tenendo presente il divario tra obiettivo finale e realtà del quotidiano, cioè i limiti e le contraddizioni che oggi ci sbarrano la strada.

 

Riccardo: 27 anni sposato, due figli

Ex-operaio ottico si è confessato a Radio Europa I e l’intervista è stata ripresa da Elle. Ne pubblichiamo qui un breve stralcio dei punti fondamentali. «So bene che molti si stupiscono della mia scelta, ma sinceramente era più logico che fossi io a fermarmi. Con mia moglie avevamo salari uguali ma lei non era affatto una donna di casa. Io invece me la sono sempre sbrogliata. Ho lasciato casa dei miei giovanissimo. Ho proposto io a mia moglie di stare a casa. Una sera dopo cena rifacevamo per la centesima volta i conti per sapere come ce l’avremmo fatta con un solo stipendio. Il piccolo aveva pianto ritrovandoci alla sera. Continuavamo a ripeterci gli stessi” se tu lasciassi il lavoro…” senza trovare una soluzione perché mia moglie non aveva voglia di lasciare il suo lavoro e i suoi colleghi di ufficio.

Da alcune settimane avevo la mia piccola idea in testa, ma sinceramente esitavo a formularla. Temevo un rifiuto. Poi mi sono buttato” senti, forse lascio io il mio lavoro”. Lei non mi ha preso in giro, ma è rimasta sorpresa. Qualche giorno dopo mi ha detto si, aveva capito che ne avevo voglia. I miei genitori hanno reagito molto male quando ho comunicato loro la mia decisione. Sono stati lì lì per spiegarmi che era un disonore per un uomo comportarsi come una donna. In quanto agli amici, hanno sorriso. Le reazioni sono sempre le stesse. All’inizio ridono poi mi compiangono. D’altronde la gente vive in totale contraddizione: non vedo perché si dovrebbe compiangere un uomo che fa un lavoro di donna e allo stesso tempo si accetti che una donna faccia la stessa cosa con in più il lavoro di un uomo. Io mi alzo alle sette assieme a mia moglie per preparare la prima colazione e dare la pappa alla piccola. Poi preparo il grande per accompagnarlo all’asilo. Al ritorno faccio la spesa. Con i negozianti ora va meglio. Prima la gente non capiva quando mi vedeva arrivare col passeggino o con la piccola in braccio. S’impietosivano. Mancava poco che accusassero mia moglie di avere abbandonato marito e figli… Badi che dico che ora va meglio ma in realtà non è cambiato nulla. Sono io che mi sono abituato. Ora non m’importa dei loro sguardi di compassione. E i figli? Forse da grandi si sentiranno a disagio. Ma penso che saranno sempre meno infelici che avendo tutte e due i genitori che lavorano. E poi gli uomini sono meglio armati delle donne per resistere ai bambini e ogni educazione suppone una resistenza da parte dei genitori.

Certo non si tratta di eliminare le madri dal circuito per evitare ogni sensibilità morbosa e inutile, ma mi sento più adatto di una donna per affrontare le commedie dei bambini. Quando ho portato mio figlio a scuola per la prima volta non ha pianto come i compagni. Gli ho spiegato che doveva restare a scuola e ci siamo capiù. Tra uomini. Anche la piccola, piange molto meno degli altri ragazzini. Fin da piccolissima l’ho lasciata piangere senza intervenire. L’istinto materno impedisce alle donne di restare indifferenti, per me se piange tanto peggio. Quando un bambino piange, una madre si fa dei rimproveri, io no. E mi creda mia figlia è molto più equilibrata. In quanto a mia moglie inutile dirle che i suoi colleghi non capiscono assolutamente come abbiamo potuto organizzare la nostra vita in questo modo. E chiedono: è duro essere capofamiglia, cucina bene, ti stira i vestiti? E perché no? Io stiro benissimo, Non sento affatto rimessa in discussione la mia “virilità”.

E poi per fare una coppia non ci devono essere tre quarti di una personalità mascolina invadente e preservata e un piccolo quarto di donna dominata. E poco importa in quale settore preciso queste due metà si completano.