contraccettivi per non abortire
In Italia, come in tutti i Paesi in cui l’aborto era reato e dunque proibito e punito con la sanzione penale, era reato anche la diffusione della conoscenza dei mezzi contraccettivi. In più, come in tutti i Paesi cattolici, « prendere la pillola », era ed è ritenuto un peccato e quindi punito dalla Chiesa cattolica con la minaccia della pena eterna.
In questo contesto la legge 405 — che prevede l’istituzione di una rete di consultori pubblici, gratuiti in tutto il Paese — fu il frutto di un’improvvisata e strumentale conversione in funzione antiaborto della Democrazia Cristiana che aveva sempre avversato per motivi ideologici la contraccezione.
Approvata frettolosamente, mentre (e solo perché) era già in discussione la legge sull’aborto, la L. 405 ha trovato lenta e incompleta attuazione, ed è disapplicata proprio nelle Regioni dove quelle forze politiche, così improvvisamente e strumentalmente convertite hanno il maggior potere.
Il problema « contraccezione » sia nel senso della diffusione, dell’informazione, sia nel senso di una seria indagine sugli effetti sulla salute delle donne, è rimasto ancora per gran parte insoluto. Uno degli effetti positivi della Legge 194 approvata 5 anni dopo, è stato quello di riaprire e rivivacizzare l’impegno per la diffusione dei mezzi contraccettivi.
La legge 194, ha infatti rifinanziati i consultori (per i quali la L. 405 aveva previsto una cifra assolutamente inadeguata), ma soprattutto ha messo in moto meccanismi di controllo sociale, e risvegliato l’interesse di Istituzioni, che dal momento in cui l’aborto non è più un fatto privato e segreto, non possono non interrogarsi sulle cause e sull’incidenza di un fenomeno tanto esteso.
Nel quadro di una serie di iniziative (ancora purtroppo non abbastanza numerose e conosciute), di grande interesse, è stato lo « Studio sulla contraccezione nella popolazione italiana » portata avanti da una équipe composta da Simonetta Tosi del Laboratorio di Biologia Cellulare del C.NiR. di Roma, A. Baldini e A. Carobbi Perini dell’Istituto di elaborazione dell’informazione del C.N.R. di Pisa e L. Zancan e V. Brasiello dell’Ufficio Consultori della Regione Lazio, nell’ambito del « Progetto finalizzato sulla Biologia della Riproduzione ».
La ricerca
La ricerca consiste in una estesa indagine epidemiologica sulla contraccezione in Italia, compiuta principalmente attraverso l’attività dei Consultori familiari pubblici. Lo strumento usato è una « Scheda nazionale per la contraccezione » preparata col contributo dei principali esperti italiani, con il parere delle utenti e con l’analisi degli esempi analoghi esistenti in Paesi progrediti dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria.
Questo studio, che si proponeva l’obiettivo della conoscenza, dell’uso, o per meglio dire delle tre forme di: « non uso », « uso », e « abuso » dei metodi anticoncezionali nel nostro Paese, progredendo nel tempo nelle varie fasi del progetto, ha radunato intorno a sé un sempre maggior numero di persone con competenze e professionalità diverse, numero necessario a formare un discreto gruppo di lavoro interdisciplinare.La prima fase è stata quella che ha impegnato massicciamente tutte le persone a cui fa capo lo Studio con riunioni, prese di contatto con le utenti e il personale dei consultori, incontri con esperti del ramo, analisi di schede straniere in particolare del Family Planning Study di Oxford, del King’s College Hospital di Londra, dell’OMS e del Siste- mic Contraceptive Study dell’International Fartility Research Program, USA. Ci sono stati colloqui e scambi di informazioni col gruppo di Oxford e col gruppo della London School of Hygiene che fa capo alla Dott. Béral. Tutto il materiale raccolto e le idee maturate nel frattempo sono serviti da materia prima e punto di discussione per il I Convegno sulla Cartella Clinica Nazionale per la contraccezione, tenutosi presso la sede del C.N.R. nei giorni 2-3 novembre 1977.
Da esso sono emerse idee e suggerimenti sulla proposta dello strumento per l’espletamento dell’indagine e un accordo sulle varie fasi di avanzamento dello studio.
La seconda fase si è concretizzata nella preparazione di una scheda sperimentale per la contraccezione e delle relative note per la sua corretta compilazione, che sono state inviate per l’opportuna revisione a tutti gli intervenuti al Convegno e agli Assessorati regionali della Sanità.
Questa fase si concludeva verso la metà dell’anno ’78 con la revisione della scheda sperimentale, la sua messa a punto finale e con l’invio delle cartelle definitive ai vari Consultori che nel frattempo avevano proposto di collaborare per la compilazione della scheda. Parte essenziale del lavoro in questa fase è stata il coinvolgimento del personale e delle utenti sull’importanza della raccolta esauriente ed esatta dei dati.
Si è cercato di affrontarla con lezioni e discussioni in cui sono state illustrate le finalità della scheda, la sua importanza e la necessità di una corretta e completa compilazione. Si è sempre inoltre chiarito l’elemento educativo della scheda stessa che prevede una spiegazione collettiva e una parte di autocompilazione. Non si è mai distribuita la scheda se non dopo questo lavoro preparatorio diretto.
Da parte dei responsabili del lavoro veniva redatto un piano di invio comunicando che venisse rispettata la proporzionalità esistente tra le utenti dei consultori e la popolazione italiana femminile in età feconda (anni 14-49). Questa proporzione risultava essere, da pubblicazioni sia dell’ISTAT che dei vari ordini professionali, circa la seguente in percentuale:
Studentesse 7,52%
Colf 5,10%
Lavoratrici a domicilio, artigiane 3,38%
Operaie 10,50%
Impiegate, commesse, commercianti 13,50%
Insegnanti, libere professioniste 2,25%
Contadine 4,50%
Casalinghe 52,50%
Altre 0,75%
Queste percentuali, opportunamente arrotondate a intero, si imponevano, almeno nell’ambito di ogni regione, tra quelle che si sono dichiarate disponibili alla distribuzione e alla successiva raccolta delle informazioni, a cui venivano inviate 500 schede in media ciascuna.
Le regioni che hanno aderito al progetto sono state: Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio, Calabria, Puglia e Sicilia per un totale di circa 5.000 schede. Di queste, quattro (Veneto, Calabria, Puglia, Sicilia) non avevano ancora istituito i consultori pubblici al momento della distribuzione delle schede: in questo caso sono stati presi accordi diretti con centri universitari (Puglia) o con enti privati (AlED, Siciila) che si sono impegnati a seguire un’utilizzazione più limitata, come numero di consultori, che in altre regioni. Le altre sei avevano già in funzione da tempo i consultori familiari pubblici.
Alcuni centri universitari di pianificazione familiare, come quello delle Cliniche Ostetriche I e II di Roma, la cui partecipazione, e sembrava opportuna data la lunga esperienza in questo campo, che avevano inizialmente aderito all’iniziativa, si sono successivamente disinteressati della stessa senza dare alcuna motivazione.
Come analisi dei risultati è stato concordato, nelle varie riunioni e incontri, l’evidenziazione di alcune relazioni dalle quali ottenere dei dati sull’uso in generale degli anticoncezionali e i rischi da esso derivanti. Queste richieste rivestono la forma di indagine esauriente solo su alcune parti della scheda che, opportunamente codificate e standardizzate, consentono una elaborazione incentrata sulla conoscenza dei seguenti punti:
1) quante donne in età feconda usano gli anticoncezionali e quali;
2) correlazione tra metodi e contraccettivi conosciuti e:
a) grado di istruzione;
b) classe sociale di appartenenza;
3) correlazione tra metodi anticoncezionali usati e:
a) motivi di sospensione;
b) effetti collaterali;
4) durata media di uso degli anticoncezionali;
5) spostamento dalla contraccezione ormonale alla contraccezione con:
a) IUD
b) diaframma e viceversa:
6) tipo di contraccezione e i suoi rischi in rapporto:
a) all’età della donna
b) ai dati anamnesici personali.
Al di fuori dell’indagine strettamente inerente l’uso degli anticoncezionali, si sono voluti introdurre nella ricerca alcuni elementi per rilevare l’accoglimento e la valutazione fatte nei consultori a questa scheda direttamente dalle utenti e dagli operatori.
La ricerca si riprometteva intatti di portare un contributo sia alla reale e attendibile conoscenza dell’uso degli anticoncezionali in Italia, non inficiata da pressioni di carattere commerciale, né da terrorismi pseudoscientifici, sia alla possibilità di introdurre una metodologia meno approssimata di raccolta e analisi delle informazioni che interessano la salute pubblica ed anche, che mediante questo modo di procedere, di interessare da vicino le strutture pubbliche e l’utenza, per portare un miglioramento anche in Italia, come in altri Paesi, della consapevolezza rispettivamente privata e pubblica del grave problema coinvolgente l’uso di strumenti e di farmaci di così largo consumo.
Il 27 novembre 1980 si è tenuto a Roma il II Convegno Nazionale sulla « cartella per la contraccezione ». Il Convegno ha avuto lo scopo di rendere noti i risultati della ricerca e di programmare il lavoro futuro di raccolta di dati su tutto il territorio nazionale.
I risultati
Il risultato più interessante emerso durante il convegno riguarda la scarsità dell’informazione sull’esistenza di un ser- viizo pubblico gratuito — i Consultori — che si occupa di contraccezione. La scuola risulta all’ultimo posto per quanto riguarda questo tipo di informazione.
Le utenti che si rivolgono ai consultori sono in prevalenza giovani — l’età più rappresentata è dai 21 ai 25 anni — con grado di istruzione alto (media superiore – università); le categorie lavorative più rappresentate sono state quelle delle studentesse e delle casalinghe.
Il campione esaminato è stato di 1.388 donne che si sono rivolte a 26 Consultori di sette regioni italiane (Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia – Romagna, Umbria, Lazio, Sicilia).
Molto scarso è stato il numero delle contadine,, fatto che riflette la distribuzione prevalentemente urbana dei Consultori familiari.
La conoscenza dei metodi contraccettivi è risultata buona, maggiore per la pillola e più scarsa per i metodi meccanici — RJD e diaframma — che sono anche i meno usati anche se proporzionalmente più dalle donne con grado di istruzione superiore e meno da quelle con grado di istruzione elementare.
Si rileva dunque la necessità di potenziare il lavoro di informazione sull’esistenza del servizio, tra le donne con istruzione elementare, tra le quali più alto è anche il numero di aborti procurati.
Si è studiata l’abortività in funzione delle attività lavorative: essa è risultata massima nelle colf e nelle casalinghe, minore nelle studentesse e nelle impiegate.
Alto il numero di aborti procurati dichiarato da utenti dei consultori che non conoscevano i mezzi contraccettivi. Una utente ha dichiarato 19 aborti.
Il Consultorio è risultato intervenire in modo positivo, in quanto ha provocato un aumento dell’uso di metodi validi — ormonali e meccanici — in confronto a quelli meno validi — coito interrotto, metodi naturali usati in prevalenza dalle stesse donne prima dell’intervento del Consultorio.
Inoltre c’è stato un netto passaggio dall’uso di pillole a dosaggio alto a pillole a contenuto estrogenico più basso (30 microgrammi invece di 50) e un incremento netto nell’uso del diaframma che daU’8° posto nell’uso è passato al 3*.
La pillola è il metodo che dà il maggior numero di effetti collaterali di natura fisica quali ingrassamenti e nausea che diminuiscono con i dosaggi bassi recentemente introdotti.
Dei dispositivi intrauterini il più usato recentemente è risultato il ML Cu 250 e l’età prevalent eè 30-40 anni.
Il Centro di Elaborazione di Pisa ha indicato il tipo di elaborazione più adatto per gli Osservatori Epidemiologici Regionali.
La ricerca continuerà
Molto infatti deve ancora essere fatto. La percentuale delle donne che in Italia fanno uso costante e corretto di un metodo contraccettivo è certamente aumentato, tanto che l’aborto procurato non ha più la stessa incidenza degli anni 60- 70, quando l’OMS parlava di un milione di aborti clandestini, (per la gran parte delle donne italiane, a quel tempo unico mezzo di controllo delle nascite). Ma anche una lettura attenta dei dati più recenti sull’applicazione della L. 194 (vedi Effe n. 11/80), se da un lato dimostra che, malgrado tutto, questa legge funziona, dall’altro indica che molte, troppe donne ancora sono costrette a ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.
Quei dati infatti dicono che a 13 donne su 1000 è stato praticato l’aborto nelle strutture pubbliche: questa è una percentuale molto alta, che supera di 3 punti, la media europea. Ma dimostra che ancora tante, troppe donne (bisogna naturalmente aggiungere quelle che abortiscono ancora nella clandestinità, le minorenni quelle a cui non è giunta l’informazione), pagano sulla loro pelle le conseguenze di una mancata, incompleta, distorta conoscenza di mezzi capaci di impedire una gravidanza indesiderata.